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Pnrr, l’Europa avverte Meloni: “Scadenza al 2026 non cambia, modifiche al piano solo se mirate”

Il governo Meloni ha lanciato l’allarme sulle difficoltà a rispettare i termini del Pnrr, il piano di finanziamenti europei che per l’Italia vale oltre 200 miliardi. Di conseguenza, diversi ministri hanno chiesto di rivederne progetti e scadenze. Nel corso dell’evento annuale di rendicontazione del piano, però, i responsabili europei del Recovery Plan hanno gelato le aspettative dell’esecutivo. Ecco cosa hanno detto.
A cura di Marco Billeci
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Quando gli alti funzionari della Commissione europea, responsabili per il Recovery Plan salgono sul palco, i ministri Giorgetti e Fitto hanno già lasciato la sala congressi della Guardia di Finanza, a Roma, dove si tiene l'evento annuale di rendiconto del Pnrr. I due uomini del governo Meloni che hanno in mano le redini del piano di Ripresa e Resilienza, dunque non sono lì ad ascoltare l'avvertimento chiaro lanciato all'Italia da Bruxelles che suona più o meno così: il resto d'Europa vi guarda, dovete realizzare i progetti del piano e dovete farlo entro il 2026, perché non ci saranno proroghe.

Per carità, il governo è comunque ben consapevole che il faro europeo è acceso sul nostro Paese. D'altra parte Giorgetti e Fitto hanno avuto modo d'incontrare, nei giorni scorsi, i membri della task force Ue, in visita a Roma proprio per verificare lo stato di attuazione del Pnrr. A maggior ragione, però, è difficile non leggere nelle presa di posizione degli alti funzionari europei, durante l’evento pubblico, una risposta indiretta agli allarmi e alle richieste di modifica del piano da 209 miliardi, lanciati da parte di diversi esponenti di governo, nelle ore precedenti all'incontro, proprio in contemporanea con la missione Ue.

I ritardi del Pnrr

Lo stesso ministro Fitto (che ha le principali deleghe sul Pnrr) ha avvertito qualche  giorno fa, che la quantità di risorse spese quest’anno sarà più bassa, rispetto al target di 21 miliardi (già rivisto al ribasso, rispetto agli obiettivi iniziali), previsto dal governo Draghi. Non certo un buon viatico verso il 2023, quando dovrebbero essere realizzati lavori, per oltre 40 miliardi.

Molti ministri poi hanno lamentato la difficoltà di concretizzare gli investimenti di loro competenza, sottolineando come il quadro sia cambiato, rispetto a quando il piano è stato varato nel 2021, per le conseguenze della guerra in Ucraina, tra caro energia e aumento del costo delle materie prime. "I miei tecnici hanno stimato 5 miliardi di spesa in più del previsto", ha detto ad esempio il ministro dell'Ambiente Pichetto Fratin.  Risultato, c’è chi – come Salvini e Musumeci – ha chiesto un allungamento della scadenza del Pnrr, oltre quella prevista del 2026, addirittura fino al 2028.

Su questo punto, però, la risposta della Commissione europea è un secco no. “La deadline tassativa per la rendicontazione dei progetti è il 2026”, dice durante l’evento di Roma, Declan Costello, vicedirettore generale della direzione Affari Economici della Commissione Europea, appellandosi alle autorità italiane, affinché rispettino anche le diverse scadenze intermedie, pena il blocco dell’esborso dei fondi.

I piani non cambiano

Anche sulla possibilità di rivedere il piano, alla luce dell’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia, la via sembra stretta. Costello spiega come si possa discutere non di una revisione complessiva, ma mirata su singoli progetti, solo dove “ci sono evidenze chiare, che l’inflazione ha impattato sui costi”. E anche in questo caso, vanno trovate soluzioni veloci, per rispettare i tempi previsti.

Nessun passo indietro è concesso nemmeno sulle riforme previste dal Pnrr, che pure stanno incontrando non poche difficoltà. Basti pensare che entro il 31 dicembre dovrebbe essere approvata la nuova legge sulla concorrenza, mentre ancora mancano i decreti attuativi, di quella dello scorso anno. Tuttavia, per la Ue le riforme rimangono una parte essenziale del piano, come spiega, sempre dal palco del summit di Roma, Erik Von Breska, direttore della task force della Commissione sul Recovery Plan. Sulle rinnovabili,  per fare un esempio, secondo Von Breska, va accelerato il processo di autorizzazione, "altrimenti si rischia di non arrivare a realizzare i progetti".

Più sfumato, il discorso di apertura dell'evento, del commissario europeo per gli Affari Economici Paolo Gentiloni, che ha parla di un'Unione pronta a collaborare con l'Italia "per risolvere le difficoltà e correggere quello che serve per rispettare gli impegni presi".

Il suo ammonimento, però, Gentiloni lo aveva lanciato il giorno prima, durante un altro convegno, organizzato sempre a Roma, da Il Messaggero. In quell'occasione, oltre a ribadire che la scadenza del 2026 non cambierà, il commissario aveva invitato l'Italia a prendere esempio dalla Spagna, l'unico Paese europeo che storicamente ha maggiori difficoltà di noi nell'assorbire le risorse comunitarie, ma che, ha spiegato Gentiloni, "a testa bassa sta cercando di mantenere gli impegni del suo piano".

La vera sfida comincia adesso

A parziale consolazione, il governo incassa un sostanziale via libera dall'Europa sullo sblocco della tranche di finanziamento del Recovery da 19 miliardi, prevista per dicembre, perché i 55 obiettivi da realizzare entro fine anno sembrano alla portata ("Siamo già a buon punto e centreremo sicuramente questo traguardo", afferma il ministro dell'Economia Giorgetti). Il difficile però comincia adesso, come ricorda sempre il dirigente Ue Costello, "sugli investimenti siamo all'inizio e c'è ancora molto lavoro da fare per implementare il piano".

Mettere a terra le risorse, infatti, sarà la vera sfida per il governo Meloni e per le amministrazioni locali, chiamate ad attuare gran parte dei progetti, ma in molti casi ancora oggi prive delle competenze e dei tecnici necessari. "La questione dirimente è la semplificazione dell’iter autorizzativo, serve un unico procedimento con una tempistica certa –  dice il presidente dell'Associazione dei Comuni Antonio Decaro -,  altrimenti non riusciremo a rispettare i tempi. Noi sindaci non vorremmo restare con il cerino in mano".

Come fare per superare le difficoltà? Un suggerimento arriva dal direttore della task force Ue per il Recovery, Erik Von Breska: "Concentratevi sui progetti che sono già maturi, perché se ci sono opere che devono ancora essere disegnate, non arriveranno a termine e perderete i soldi". L'idea potrebbe essere quindi quella di rivedere il Pnrr, tagliando il numero dei progetti e canalizzando le risorse su quelli effettivamente realizzabili.

Una strada che sembra prefigurare anche il ministro Fitto quando nel suo discorso al convegno sul Pnrr dice: "Bisogna uscire dalla parcellizzazione degli interventi e avere una semplificazione". Quando a margine, gli chiediamo se l'obiettivo del governo sia dunque rivedere la quantità delle opere, però, Fitto si limita a rispondere: “Stiamo lavorando con la Commissione europea e poi avrete le indicazioni su questo”.

La cosa che gli emissari di Bruxelles vogliono mettere bene in chiaro, è che l’Italia non si può permettere di fallire. “Molti altri stati membri stanno guardando a voi per capire come va il Recovery Plan e se con il nuovo governo potremo continuare la collaborazione, che c’era con quello passato”, dice Von Breska. E Costello aggiunge il carico: “Il successo o il fallimento dell’intero piano dipenderà dal successo o il fallimento dell’Italia”.

La posta in palio non è solo lo sviluppo del Paese, ma anche la possibilità che in futuro l’Europa (e in particolare i Paesi cosiddetti frugali) si convincano ad adottare nuove forme di debito e finanziamento comuni, a partire da quelle per affrontare la crisi energetica. Lo aveva spiegato, nei giorni passati, sempre Gentiloni, sostenendo che solo che se condizioni saranno rispettate, l’esperienza del Recovery Plan potrà ripetersi. “Per varcare il limite delle regole attuali – ha detto Gentiloni – e dare all’Unione una capacità (fiscale) permanente, serve che il Next Generation Eu funzioni”.

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