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60 anni fa moriva Umberto Saba, il poeta “più difficile” del Novecento

Fu intimo amico di Ungaretti e Montale, ma allo stesso tempo fu molto lontano dalla loro poesia. Sessant’anni fa moriva Umberto Saba, l’uomo che cantò la rima più difficile di sempre: quella “fiore amor”.
A cura di Federica D'Alfonso
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Umberto Saba (1883-1957)
Umberto Saba (1883-1957)

Il 25 agosto del 1957 muore, in una clinica di Gorizia, Umberto Saba. Scrivendo di lui, Pier Paolo Pasolini lo definirà “il più difficile dei poeti contemporanei” perché difficili, complessi e ambivalenti sono i sentimenti che il poeta ha raccontato nei suoi versi più famosi. Parlare della vecchia rima “fiore amore”, delle donne, della guerra e della propria città natale non è semplice: trovare, come ha fatto Saba, l’infinito nel quotidiano, è ciò che ha reso la sua voce una delle più intense del Novecento.

Il Canzoniere, il “romanzo” di una vita

Umberto Saba mentre cammina per le strade della sua Trieste
Umberto Saba mentre cammina per le strade della sua Trieste

Più di quattrocento poesie scritte nell'arco di mezzo secolo: Il Canzoniere racconta una vita intera, passata attraverso i turbamenti di un’infanzia malinconica, orfana negli affetti fondamentali, che matura, forse troppo in fretta, attraverso la poesia. Alcuni critici hanno affermato che si potrebbe leggerlo come un romanzo: perché nei versi di Saba è racchiusa tutta l’esperienza esistenziale di un uomo.

C’è la guerra, che per Saba coinciderà con i primi sintomi di un malessere psicologico che lo accompagnerà per tutta la vita, ma anche la vita quotidiana delle borgate triestine, specchio di un’umanità ultima e, per questo, autentica. Ci sono le donne, e il racconto dell’affetto mancato per quella madre “mesta” e dell’amore infantile per la “lieta” balia Peppa, e ancora la Poesia, forte, diretta, “semplice” nella sua complessità interiore.

Amai la verità che giace al fondo, quasi un sogno obliato, che il dolore riscopre amica. Con paura il cuore le si accosta, che più non l’abbandona. Amo te che mi ascolti e la mia buona carta lasciata al fine del mio gioco.

Una verità nascosta nei versi dedicati alla moglie (“annunciavi un’altra primavera”) e alla balia, figura che richiama la fanciullezza perduta e sempre invocata: “sono passati quarant’anni. Il bimbo è un uomo adesso, quasi un vecchio, esperto di molti beni e molti mali”.

Ma, soprattutto, c’è Trieste, altra fondamentale donna della sua vita: per Umberto Saba la città è molto più che uno sfondo per le proprie poesie, è un corpo vivo, fremente, attraversato dai suoi stessi turbamenti:

tra la gente che viene che va dall'osteria alla casa o al lupanare, dove son merci ed uomini il detrito di un gran porto di mare, io ritrovo, passando, l’infinito nell'umiltà.

Una poesia "difficile"

Amai trite parole che non uno osava. M’incantò la rima fiore amor, la più antica difficile del mondo.

Per molto tempo al nome di Umberto Saba si è affiancato l’aggettivo “facile”. Fu Pasolini, a metà degli anni Cinquanta, a smentire quell'interpretazione che lo voleva come uno dei prosecutori e “volgarizzatori” del lirismo petrarchesco: la poesia di Saba è tutt'altro che facile proprio perché indaga nel profondo quella rima “fiore amor” che niente ha di superficiale o scontato. Pasolini lo definì “il più difficile dei poeti contemporanei”, proprio per la sua capacità di tracciare corrispondenze e significati laddove gli altri vedono solo “quotidianità”.

Sono i quartieri popolari e le folle di prostitute, marinai, “vecchi che bestemmiano” e “giovani impazzite d’amore” che vivono e popolano alcune delle sue poesie più belle, affilate come lame che incidono chirurgicamente la superficie delle cose per andare ancora più giù: verso l’interiorità più profonda del sé e della propria esperienza di vita.

Prostituta e marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega, il dragone che siede alla bottega del friggitore, la tumultuante giovane impazzita d’amore, sono tutte creature della vita e del dolore; s’agita in esse, come in me, il Signore.

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