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Yara, l’unico indagato Fikri racconta: “Trattato come un assassino”

A quasi due anni dalla morte della giovane Yara Gambirasio è ancora mistero sull’assassino e nel registro degli indagati compare solo un nome, quello del marocchino Mohammed Fikri. In un’intervista a “Oggi” lui ribadisce la sua innocenza e accusa gli inquirenti.
A cura di Susanna Picone
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A quasi due anni dalla morte della giovane Yara Gambirasio è ancora mistero sull’assassino e nel registro degli indagati compare solo un nome, quello del marocchino Mohammed Fikri. In un’intervista a “Oggi” lui ribadisce la sua innocenza e accusa gli inquirenti.

Mancano pochi giorni al secondo anniversario dalla morte di Yara Gambirasio, la giovane di Brembate Sopra uccisa da qualcuno che ancora non ha un nome. Le indagini proseguono, soprattutto con la pista del Dna, mentre nel registro degli indagati per l’omicidio c’è ancora il nome di Mohammed Fikri, l’operaio che fu inizialmente arrestato per il delitto ma poi scarcerato. A indirizzare i sospetti nei suoi confronti fu una telefonata intercettata, che recentemente è stata tradotta nuovamente, di cui parla proprio lui in un’intervista a “Oggi”. Mohammed Fikri ha ribadito la sua innocenza, parlando di quella telefonata del dicembre 2010, nella quale lui conferma di non aver mai detto di aver ucciso Yara. E si chiede anche: “Perché gli investigatori non provano a mandare la frase incriminata su Al Jazeera?”. Quella frase che gli ha rovinato la vita e che potrebbe essere tradotta facilmente dal miliardo di persone, ripete Fikri, che al mondo parlano arabo.

Il suo arresto e le accuse agli inquirenti – Fikri, nel corso dell’intervista, ripercorre le ore della scomparsa di Yara: lui era arrivato al cantiere di Mapello, dove i cani hanno segnalato il passaggio della ginnasta, la mattina del 26 novembre (giorno della scomparsa della giovane). “Dopo le 18, racconta l’operaio, nel cantiere siamo rimasti in tre. Io, il mio principale Roberto Benozzo e il guardiano. Alle 19 io e Benozzo siamo usciti, per andare a cena e se qualcuno è entrato il guardiano dovrebbe saperlo. Noi non abbiamo visto o sentito niente”. Il marocchino racconta del suo biglietto fatto per tornare, nei primi giorni di dicembre, in Marocco, dei recapiti lasciati ai carabinieri e del suo arresto che l’ha terrorizzato. Dice che i carabinieri gli hanno messo un cappuccio nero in testa, che l’hanno trattato come un assassino.

Andavano a 220 all'ora, anche di più. A mezzanotte eravamo a Bergamo, hanno cominciato a far domande, poi con 6 gradi sotto zero, sulle scale davanti al cortile della caserma mi hanno fatto spogliare. Ho tolto tutto, slip, calzini e sono rimasto nudo. Insistevano “confessa, Benozzo ha detto che sei stato tu!”. Ho preso un ceffone e un calcio sulla tibia, poi mi hanno portato in carcere.

Un incubo che continua dopo due anni – La cronaca dei giorni successivi è nota: Mohammed Fikri è stato scarcerato perché quella frase (che dopo due anni, appunto, fa ancora discutere) era stata tradotta male. Ma lui non può mettere ancora la parola fine a questa storia, “l’incubo continua”, ripete al giornale. Consapevole del fatto che l’unica vittima di questa storia sia Yara, Fikri si sente a sua volta vittima di un’ingiustizia. Un’ingiustizia che, ripete, gli ha tolto l’onore, il lavoro e anche la sua fidanzata che l’ha lasciato in seguito alle accuse nei suoi confronti.

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