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Yara Gambirasio: perché Bossetti non fu mai chiamato per il test del dna

Massimo Giuseppe Bossetti, l’uomo arrestato il 16 giugno scorso con l’accusa di aver ucciso Yara Gambirasio, non era stato mai chiamato per il prelievo del dna. Questo nonostante il suo cellulare risultasse in zona a Brembate Sopra la sera della scomparsa della ragazzina.
A cura di Susanna Picone
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A più di un mese dal fermo di Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore di Mapello accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio, continuano a emergere dettagli sull’inchiesta. Un’inchiesta lunga – Yara fu rapita il 26 novembre 2010 e trovata senza vita tre mesi dopo – e anche ricca di elementi talvolta contraddittori. Com’è noto, per tentare di risolvere il caso Yara, da anni gli inquirenti si sono concentrati sulle tracce di dna lasciate dall’assassino sul corpo della vittima. Sono stati prelevati migliaia di campioni genetici pur di trovare l’assassino della 13enne di Brembate e proprio attraverso il dna si è giunti al fermo del muratore di Mapello. Bossetti, infatti, è stato identificato come “Ignoto 1”, per la scienza è suo il dna trovato sul corpo di Yara. Ma a Bossetti si è giunti solo poche settimane fa anche perché il muratore in passato non è stato mai chiamato per il prelievo del dna. Non è stato chiamato per il prelievo nonostante il suo cellulare risultasse in zona a Brembate Sopra la sera della scomparsa di Yara Gambirasio.

Massimo Giuseppe Bossetti mai convocato per il test del dna

È il Corriere a ricostruire quanto accaduto e a spiegare che in fondo Bossetti, dopo la morte di Yara, si aspettava di essere convocato dai carabinieri. Cosa che è accaduta, ad esempio, a suo cognato come a tanti altri conoscenti che, in quei giorni, si erano trovati nei pressi di Brembate Sopra. Bossetti ricorda di averne parlato proprio con il cognato Agostino Comi, nel 2011: “Due o tre giorni prima era stato chiamato mio cognato, che in quegli orari a Brembate Sopra passava. Presumo che tramite le celle l’abbiano captato”, avrebbe detto Bossetti nel corso dell’interrogatorio. Tanto che anche lui, appunto, si aspettava di essere chiamato. Gli inquirenti avevano convocato, per un prelievo di saliva necessario per un confronto con il Dna isolato dai vestiti della ragazzina, decine di persone che il 26 novembre (e non solo) avevano utilizzato il telefonino agganciando una cella di Brembate Sopra oppure di Ponte San Pietro e Mapello.

Il lavoro di carabinieri e polizia sulle celle telefoniche

Perché dunque Bossetti non fu chiamato nonostante il suo telefonino avesse agganciato la cella di Mapello alle 17,45 del 26 novembre? Secondo quanto ricostruisce il Corriere esiste un retroscena sulle indagini: furono inizialmente i carabinieri del nucleo investigativo di Bergamo a concentrarsi sulle celle telefoniche acquisendo migliaia di file dai quali estrapolare milioni di dati. Non tutto però sarebbe filato liscio. Dopo i carabinieri del nucleo investigativo all’inchiesta aveva iniziato a lavorare anche la squadra mobile di polizia. Gli uomini della questura, utilizzando una propria chiave di accesso ai server della procura, avevano estrapolato gli stessi elenchi dei carabinieri. Un doppione forse dovuto a una rivalità tra inquirenti che non era mancata nei primi mesi dell’inchiesta. Inoltre su quei dati era finita anche l’attenzione del Ros dei carabinieri e dello Sco della polizia. A lungo, insomma, carabinieri e polizia avrebbero lavorato su più livelli, non sempre comunicanti. Come ricorda ancora il Corriere, le celle telefoniche sono state probabilmente l’elemento d’indagine che, dopo il Dna, ha richiesto più tempo. Il dato oggettivo è che Massimo Giuseppe Bossetti era anche nell’elenco finale di circa 120 mila contatti telefonici da mettere sotto la lente. Nonostante questo la chiamata per il Dna, basata sulle celle, per il muratore non è mai arrivata.

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