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William Shakespeare compie 450 anni

1564-2014. Il più grande drammaturgo dell’occidente e icona stessa della letteratura, compie oggi 450 anni: William Shakespeare era nato a Stratford-upon-Avon, secondo la tradizione, il 23 Aprile del 1564.
A cura di Luca Marangolo
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Ci sono menti che superano con la velocità della loro immaginazione interi secoli di storia, interi secoli di vita. Sembrano emergere spontaneamente da istanti assai particolari- unici- della cultura, in cui i profondi mutamenti della nostra società scagliano come lampi immagini che precorrono in pochi istanti tutta la modernità. William Shakespeare è stato soprattutto questo: la sua poesia si è come proiettata irresistibilmente lungo oltre 450 anni di storia, precorrendo tutto, praticamente tutto quello che è stato mai scritto. È come se in un lampo, allo spalancarsi della modernità, una sola persona l’avesse attraversata con la sua forza creativa, proiettando un’ombra lunghissima su tutto quello che sarebbe venuto poi.

Quando arrivano certi anniversari, ricorrenze che celebrano menti così importanti, non si può non sentirli: in Inghilterra è in corso la settimana di Shakespeare: “mr. Shakespeare” sarà dovunque. Oggi avverrà la prima di una speciale messa in scena dell’Amleto, al Globe Theater, a Bankside, Londra, una copia fedele del teatro in cui Shakespeare, con i King's Men, ha lavorato per la maggior parte della sua attività. Il progetto Globe-to-globe Hamlet porterà l'opera in tutti i teatri in ogni singolo paese del mondo, per una tournée lunga due anni.

Shakespeare è insomma la testimonianza vivente che il tempo storico da noi percepito è artificiale, convenzionale: una costruzione culturale che non tiene conto della capacità della mente umana di spaziare ben oltre quella che è apparentemente la propria condizione storica, pur rimanendovi profondamente ancorato. Ipermoderno e rinascimentale, ma anche romantico, esistenzialista, avanguardista, medievale, senechiano, filosofico, stoico, scettico, precartesiano, novecentesco, astratto e concreto. Tutto insieme proprio perché tutto ciò è nato –in un solo colpo- mentre Shakespeare lo scriveva. È  questo in un senso letterale, non come qualche sorta di enfatico elogio astratto: è proprio che Shakespeare ha messo in forma poetica per primo tutto ciò che poi sarebbe stato, in breve, il materiale della letteratura di tutti questi 450 anni.

La sua scrittura dirompente ci parla con una forza tale che ancora la stiamo esplorando, e man mano che la capiamo, ridiscutiamo inevitabilmente tutto quel che sappiamo della letteratura che da lui proviene e capiamo più approfonditamente l’origine della vita emotiva che vi è rappresentata. Leggere Shakespeare significa insomma ridiscutere in toto il concetto di modernità, vale a dire questi ultimi quattrocentocinquant’anni. È questo che si deve intendere quando si dice che i testi di Shakespeare sono di “straordinaria modernità”: la loro modernità è fuori dall’ordinario perché non seguono l’ordine regolare dell’epoca moderna, ma condensano il suo andamento lineare in un unico, energico, vitale, potente, “straordinario” gesto poetico.

Il 23 Aprile, il giorno di San Giorgio è, secondo quel poco che sappiamo, il giorno in cui Shakespeare sarebbe morto, nel 1616. Ma secondo una tradizione ormai radicata profondamente nella cultura inglese, è anche il giorno in cui sarebbe nato da un guantaio pieno di debiti di Stratford. Della sua vita non sappiamo niente, o quasi. Sappiamo quel poco che si può ricavare dai pochissimi documenti scritti che testimoniano la vita di un attore qualsiasi, un pennivendolo di provincia giunto a Londra per fare fortuna a teatro, come molti altri talenti della sua stessa generazione: Marlowe, Greene, Marston, Chapman (tutti inevitabilmente oscurati). Ed ha raccontato dal suo palcoscenico la crisi profonda della monarchia Tudor, il passaggio radicale da una cultura olistica, di ascendenza medievale, in cui il mondo era ordinato secondo una visione trascendente, alla cultura moderna, frammentata, proiettata verso il futuro senza punti di riferimento, carica di vita e pronta a esplodere proprio in quegli anni, fra il 1564 e il 1616.

Se dovessimo fare una media dei pezzi che Shakespeare scriveva, ne verrebbero fuori circa due  commedie all’anno, un ritmo di produzione impressionante; c’è poi un raffinato e ambiguo canzoniere di sonetti, pubblicati- pare- senza il suo consenso, e due poemetti che, all’epoca, furono dei successi di pubblico incredibili. Idolo delle folle, il suo teatro è il primo successo di massa della storia dell’arte, ed è stato un vero mito per tutti gli scrittori delle epoche successive; da Victor Hugo, che lo vedeva come un ideale di libertà creativa in grado di rompere qualsiasi vincolo, alle contaminazioni che le icone shakespeariane hanno subito nel Novecento, da Strelher sino a Carmelo Bene. Quest'Ultimo, fra tutti quelli che hanno messo in scena Shakespeare,  ha avuto il merito di sconfiggere il sovrapporsi inevitabile dell’immagine del grande drammaturgo a qualsiasi gesto artistico e teatrale, svelando il trucco: “io non faccio Shakespeare, io sono Shakespeare”. Inevitabilmente, si potrebbe aggiungere, dato che da 450 anni, in un certo senso, non stiamo facendo altro che Shakespeare.

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