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“Un sopravvissuto” alla guerra: in libreria dopo 70 anni l’invincibile forza della memoria

Rischiava di andare perduta per sempre, l’emozionante storia di Moritz Scheyer, sopravvissuto alla Seconda Guerra Mondiale. Ma grazie a suo nipote la memoria torna a parlare: raccontando orrori e tragedie, ma anche una incredibile speranza.
A cura di Federica D'Alfonso
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Il campo di concentramento di Auschwitz
Il campo di concentramento di Auschwitz

Il 29 settembre è arrivato in libreria, edito da Guanda, un libro che non è affatto solo un libro. Una testimonianza unica e preziosa, ma anche molto dolorosa, di quanto la memoria sia fragile e rischi in ogni momento di essere buttata via. Si tratta di “Un sopravvissuto”, romanzo del giornalista e scrittore Moritz Scheyer, che dopo oltre settant'anni viene finalmente pubblicato. Scritto in un convento di suore francescane in Dordogna nel 1943, dopo la fuga dall'Austria ormai annessa al Reich, il romanzo è stato chiuso per decenni in una vecchia valigia, e la sua scoperta (casuale) lo ha reso uno dei casi editoriali dell'anno. Una prova concreta che la forza della memoria è dura da combattere.

Moritz Scheyer muore prima di riuscire a farlo pubblicare, e il dattiloscritto passa nelle mani del suo figliastro: pagine troppo aspre, dure, troppo esplicitamente antitedesche, tanto da portare l'uomo a decidere di distruggerlo. A cinquant’anni di distanza, fortunatamente, si scopre che il proposito è fallito: il nipote di Scheyer, lo scrittore e traduttore P.N. Singer ne rinviene una copia carbone nella soffitta della casa paterna, probabilmente quella stessa copia che suo nonno aveva inviato alla moglie dello scrittore Stefan Zweig, in America, per ottenerne la pubblicazione. Il libro è ora in libreria, corredato da un apparato di fotografie e testi a cura di Singer stesso. E il racconto più emozionante, più veritiero, per comprendere fino in fondo il libro, lo fa proprio lo scrittore statunitense.

Il “problema” della scoperta

La scoperta ha sollevato fin da subito molti problemi, racconta l'uomo. “Alcuni ovvi, naturalmente: la necessità di un'accurata traduzione, la ricerca di un editore, e la domanda fondamentale, ovvero se il libro avrebbe interessato anche tutte quelle persone che non avevano, con la storia, un legame sentimentale come il mio”. Il libro, almeno per quanto Singer ne aveva sempre saputo, era andato distrutto molto tempo prima. Dunque un'ulteriore domanda sorge nell'uomo, dopo l'inaspettato ritrovamento: “perché mio padre non si era minimamente interessato a preservare questo raro e importantissimo documento storico?”.

Una risposta interessante la da lo stesso Singer: suo padre, giovane nel 1945, si era impegnato come gran parte della sua generazione a sognare e attuare un mondo migliore, libero, lontano dalle catastrofi e dalla disperazione del passato. Risiede, qui, una questione storica importante: la difficoltà della giovane generazione nel parlare della vita dei propri genitori, nell'utilizzare lo strumento più importante, la memoria, per costruire il futuro. Dopo gli orrori della guerra, una sola parola era dolce alle orecchie: dimenticare. E così, ricominciare. Almeno questo è quello che Singer racconta. Il libro di Scheyer ha effettivamente una furia e una veemenza rare nel racconto dei fatti: la storia va avanti spietatamente, senza compromessi, e questo a volte, ancora oggi, mette a disagio il lettore, soprattutto quando ci si scontra con la follia dell'ideologia nazista e con la sua messa in pratica. Ma, racconta Singer:

è una voce che ci riporta immediatamente indietro “al vissuto del tempo”. Ed è per questa ragione, prima di tutto, che il libro pretendeva di essere salvato dall'oscurità.

Un sopravvissuto

Nel mezzo di una cantina quasi abbandonata, Singer trova un tesoro preziosissimo: una cartella contenente 200 fragilissime pagine, scritte in tedesco e datate 1945, chiuse in una valigia probabilmente mai aperta da allora. Il frontespizio riporta un nome stampato: “Moriz Scheyer”, e un titolo. “Un sopravvissuto”. “Una storia che a noi nipoti era sempre stata raccontata come straordinaria, persino miracolosa, ma in frammenti, con dettagli poco chiari o dimenticati, con i nomi dei protagonisti caduti nel silenzio”. Singer racconta con estrema emozione la storia del ritrovamento del volume:

Fin dalla prima pagina sono stato trasportato a Vienna, nel febbraio 1938, subito prima dell'Anschluss. E qui ho conosciuto un membro della famiglia per la prima volta: Moriz Scheyer, patrigno di mio padre, amico di Stefan Zweig, morto molto tempo prima che io nascessi.

Un racconto a colori della Vienna degli anni Trenta, di Parigi prima e dopo l’occupazione nazista, e di una storia drammatica: l'esodo di un uomo braccato, la sua prigionia in un campo di concentramento in Francia, i contatti con la Resistenza, l’infruttuoso tentativo di fuga in Svizzera, il rocambolesco salvataggio e il periodo trascorso in clandestinità in un convento di suore francescane. Ma anche l’amarezza di una liberazione che “ha un sapore di cenere… una cenere una cenere che il vento porta con sé”.

La rivincita della memoria

Il lavoro per la pubblicazione del libro, e il libro stesso, mi hanno insegnato molto su quello che la mia famiglia ha subito. Ma, soprattutto, mi ha messo faccia a faccia con la fragilità della memoria. La cosa più sorprendente è stata scoprire la precarietà della storia stessa: ho visitato uno dei luoghi del racconto, la cittadina di Belvès, in Dordogna. In nessun luogo ho trovato traccia dei tre profughi provenienti dall'Austria. Senza la sopravvivenza precaria del dattiloscritto in una soffitta famiglia, senza la sua scoperta puramente casuale, questa storia straordinaria, fatta non solo di crudeltà e sofferenza, ma anche di coraggio e spirito di sacrificio, sarebbe stata perduta per sempre.

Moritz Scheyer è morto nel 1949 senza speranza alcuna di poter anche solo immaginare una pubblicazione. Settant'anni dopo, la memoria ha preso la sua rivincita.

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