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Un nuovo Statuto dei lavoratori: così la Cgil vuole vincere la “sfida sui diritti”

Le Giornate del Lavoro della CGIL ruoteranno intorno alla Carta dei diritti universali del Lavoro: un progetto che mira a ridisegnare norme e garanzie per i lavoratori, senza alcuna distinzione.
A cura di Redazione
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Le Giornate del Lavoro della Cgil, quest'anno a Lecce, si svolgeranno all'insegna della "Sfida per i diritti", con la presentazione di una proposta articolata di riforma dello Statuto dei lavoratori.

“La Carta per i diritti universali del lavoro è la riscrittura del diritto del lavoro in nome di un principio di uguaglianza che travalichi le varie forme e tipologie nelle quali esso si è diversificato e frammentato negli anni”. Così la CGIL, il primo sindacato italiano per numero di iscritti, ha lanciato la raccolta firme intorno alla proposta di legge di iniziativa popolare che riscrive le norme dello Statuto dei lavoratori. Si tratta di una proposta composta da 97 articoli che sostanzialmente aggiorna lo Statuto dei lavoratori, inserendo una serie di “integrazioni” e norme che tengono conto dei cambiamenti intercorsi nel mercato del lavoro in questi ultimi anni.

Il titolo I della Carta individua i diritti fondamentali, le tutele e le garanzie di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori: diritto al lavoro, decente e dignitoso, diritto a condizioni di lavoro chiare e trasparenti (formulate per iscritto e utili alla tutela dei loro interessi), diritto a un compenso equo, alla libertà di espressione e alla libera espressione del pensiero sul luogo di lavoro. Particolare attenzione è riservata alla sicurezza sul lavoro, disciplinata dall’articolo 7, e al diritto al riposo e alla conciliazione tra vita familiare e professionale, che investe anche i tempi della propria genitorialità e la concessione di congedi e riduzioni di orario per i lavoratori con responsabilità familiari particolari. C’è poi il divieto di controlli a distanza (ricorderete la polemica su tale aspetto del Jobs Act del Governo), inserito nel contesto del diritto alla riservatezza, giudicato incompatibile col trattamento dei dati personali (ove non ci siano comprovate esigenze lavorative).

La Carta ribadisce ancora una volta il diritto alle pari opportunità tra donna e uomo in materia di lavoro e professione e si sofferma sulle discriminazioni sul luogo di lavoro. C’è sostanzialmente una ridefinizione del concetto di discriminazione, che tiene conto delle evoluzioni nel tempo dei rapporti di lavoro. Il comma 1 dell’articolo 11 chiarisce:

Tutti i lavoratori hanno diritto a non essere discriminati, nell’accesso al lavoro e nel corso del rapporto di lavoro, a causa delle convinzioni personali, dell’affiliazione e partecipazione all’attività politica o sindacale, del credo religioso, del sesso e delle scelte sessuali, dello stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, dell’orientamento sessuale, dell’età, degli handicap, della razza, dell’origine etnica, del colore, del gruppo linguistico, dell’ascendenza, della nazionalità, della cittadinanza, della residenza, dello stato di salute, di condizioni sociali o condizioni e scelte personali, di controversie con l’attuale datore di lavoro o con i precedenti, o del fatto di avere denunciato condotte illecite di cui siano venuti a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro.

È particolarmente significativo l’articolo 17, che disciplina il “diritto ai saperi” ( “Ogni persona ha diritto all’accesso al sistema della conoscenza e alla formazione continua per tutto l’arco della vita, con pari opportunità in ragione delle personali condizioni economiche e sociali” ), in cui è inserito anche un passaggio per garantire “a tutti l’accesso a nuove tecnologie digitali al ne di combattere nuove forme di esclusione sociale legate al divario digitale”.

All’articolo 19 è affidato uno dei passaggi più discussi degli ultimi anni, anche in relazione alle modifiche predisposte dal Jobs Act (ricordiamo che, parallelamente alle firme per la Carta, la CGIL raccoglierà quelle per referendum abrogativi di parti della riforma del lavoro del Governo Renzi):

Fatte salve le ipotesi del lavoro domestico e del lavoro in prova, il recesso del datore di lavoro o del committente deve avvenire sulla base di un valido motivo, o della specifica giustificazione prevista dalla legge, dai contratti o dagli accordi collettivi stipulati dalle associazioni dei lavoratori autonomi, ove applicabili, o dal contratto individuale

Il titolo 2 affronta poi la questione della rappresentanza, con la disciplina attuativa degli articoli 39 e 46 della Costituzione e dunque la modifica della struttura dello stesso sindacato e dei suoi rapporti con istituzioni, imprese e lavoratori.

Ulteriore considerazione merita la parte II, ovvero la revisione della disciplina dei contratti di lavoro. Si comincia dalla ridefinizione della disciplina generale del contratto di apprendistato, per poi affrontare la questione del contratto a tempo determinato (si stabilisce un massimo di 36 mesi), con la possibilità che, nel caso in cui il rapporto di lavoro continuasse anche dopo la scadenza dei termini, il datore di lavoro corrisponda al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20 per cento no al decimo giorno successivo e al 40 per cento per i giorni successivi al trentesimo. Per quel che concerne i lavori a somministrazione, si prevedono regole più stringenti e l’applicazione a tutti i lavoratori dipendenti da agenzie di somministrazione dei diritti sindacali.

La proposta della CGIL modifica anche le tutele contro i licenziamenti illegittimi. C’è sempre il reintegro (e il risarcimento) in caso di licenziamenti nulli, discriminatori o intimati in forma orale. In presenza di licenziamento per giustificato motivo oggettivo sarà il giudice a stabilire se sussistano le condizioni per il reintegro o, in alternativa, per l’indennizzo.

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