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Opinioni

Un altro futuro non è possibile

Uno studio dell’Ocse conferma ciò che è sempre più evidente: la crisi ha aumentato la disuguaglianza e la disuguaglianza frena la ripresa. Un circolo vizioso che non sarà affatto semplice interrompere. Soprattutto senza mettere in discussione il sistema di welfare e l’intero modello sociale. Il punto è che manca la volontà politica. E idee. E visioni di “un altro futuro possibile”.
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Negli anni della crisi economica il 10% più ricco della popolazione ha continuato ad arricchirsi a spese del restante 90%, dice l’Ocse. Nel 2016 l’uno percento della popolazione deterrà una quota di ricchezza superiore a quella del restante 99 percento, aggiunge l’Oxfam. L’indice di Gini, che misura la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza, mostra come negli ultimi dieci anni nei paesi a reddito medio – alto sia aumentato il divario fra i gruppi sociali, con una penalizzazione dei redditi più bassi, si legge su LaVoce. In Italia, tale aumento della disuguaglianza è stato finanche più marcato, con le famiglie delle fasce più alte che hanno avuto “rendimenti maggiori della media” anche negli anni della crisi, sostiene Banca d’Italia. A peggiorare sono state soprattutto le condizioni delle famiglie numerose, con “capofamiglia poco istruito o privo di occupazione” e le dinamiche del lavoro hanno sì “contenuto il calo dei redditi degli impiegati e dei dirigenti”, ma hanno penalizzato oltre misura “le famiglie operaie”, chiosa l’Istat. Insomma, tanto per aver chiaro un concetto: la crisi ha aumentato le disuguaglianze reddituali e sociali, cementato la barriera reddituale, vero argine di una società sempre più ingiusta.

E sarebbe sbagliato ridurre tali considerazioni a “questioni secondarie”, magari alimentando la retorica della speranza e del cambiamento imminente. Perché, come scrivevamo a proposito della necessità di confrontarsi con le “uniche barriere” ancora alte e resistenti, “è il denaro a produrre distanze, a scavare solchi; è la distanza reddituale ad influenzare scelte, comportamenti, visioni del mondo. E, in un contesto o nell'altro, è la ricchezza l'unica coordinata con la quale leggiamo le esistenze individuali, elaboriamo il giudizio di merito e stabiliamo la distanza fra il bene ed il male”.

Il punto è che, per citare Piketty, "l’attuale tendenza nella distribuzione del reddito non è compatibile con la democrazia" e, fatta salva appunto la volontà politica, "non c’è motivo per cui le disuguaglianze debbano necessariamente continuare a crescere […] Non c’è nulla di naturale nella distribuzione del reddito o nella storia dell’economia”.

In tal senso la crisi ha agito come acceleratore di un processo già in atto, evidenziando le differenze fra i gruppi sociali, ampliando il fossato tra le classi e rendendo la società meno “scalabile”, meno inclusiva, meno permeabile alle contaminazioni e ai cambiamenti. Come nota Andrea Festa, sempre su LaVoce, “un esempio sono i giovani cresciuti in famiglie a basso reddito, che vedono progressivamente ridursi le possibilità di avanzamento economico-sociale: i dati evidenziano infatti che l’aumento delle disparità nella distribuzione del reddito incide negativamente sullo sviluppo delle capacità lavorative di coloro che provengono da nuclei familiari con scarsi livelli di istruzione, perché per loro diminuiscono le opportunità di istruzione di grado elevato, di carriera lavorativa e di mobilità sociale”.

Sostanzialmente, la disuguaglianza frena la crescita e la crisi acuisce la disuguaglianza. Un circolo vizioso che le politiche riformiste intendono spezzare “con la logica dei piccoli passi”, inseguendo la follia della meritocrazia (che, sia detto per inciso, perde qualunque senso e significato in una società in cui le basi di partenza sono su “pianeti diversi”) e provando ad agire sulla leva della crescita economica, confidando in ultima istanza nelle virtù taumaturgiche della ripresa. La redistribuzione del reddito? Non è una priorità. La lotta alla povertà? È "consequenziale" alla ripresa economica. La giustizia sociale? Cominciamo con gli 80 euro al mese. Una società più scalabile? Il concetto chiave è "flessibilità".

Francamente, il sospetto è che ci stiano prendendo per il culo.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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