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“Ti piace il presepe?”: 87 anni fa debuttava Natale in Casa Cupiello di Eduardo De Filippo

Era il 25 dicembre del 1931 quando, nell’Italia dominata dal fascismo, debuttava a teatro “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo. Al Cinema Teatro Kursaal di Napoli andava in scena la prima versione di una commedia che avrebbe per sempre cambiato il teatro italiano.
A cura di Redazione Cultura
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Eduardo De Filippo
Eduardo De Filippo

Era il 25 dicembre del 1931 quando, nell'Italia dominata dal fascismo, andava per la prima volta in scena a teatro “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo. Al Cinema Teatro Kursaal di Napoli, infatti, la Compagnia del “Teatro Umoristico I De Filippo”, composta dai tre fratelli Eduardo, Peppino e Titina, debuttava con una piccola commedia, un atto unico, in programma subito dopo il film della sera. L’accordo con l’impresario prevedeva nove giorni di repliche, ma dato l’inaspettato successo rimase in cartellone fino alla metà di maggio dell'anno successivo. Si trattava della prima versione di “Natale in casa Cupiello” che oggi corrisponde grossomodo al secondo atto della commedia.

Non tutti sanno, infatti, che “Natale in casa Cupiello” è una delle opere più travagliate, tanto che lo stesso Eduardo De Filippo una volta la definì: “un parto trigemino con una gravidanza di quattro anni”. Alla commedia, infatti, fu aggiunto l’anno seguente (1932) un primo atto introduttivo e tre anni dopo (1934) un terzo atto conclusivo, nonostante non tutti siano d’accordo sulle date, altre fonti collocano nel 1943 la stesura dell’ultimo atto. Ma poco importa, ciò che conta è che si tratta senza dubbio di un’opera paradigmatica del teatro di Eduardo, molto utile per capirne la sua evoluzione drammaturgica. Il che significa che, quel Natale di 85 anni fa, alla commedia mancava ancora la pantomima tra Luca e Concetta su “Fa freddo fuori?”, sul caffè, sulla colla, inoltre non c’era il risveglio di Tommasino e il conseguente litigio col padre in merito allo “zuppone”, ecc. ecc…

Il ‘miserabile' natale dei Cupiello contro il fascismo

Altro elemento che va tenuto in seria considerazione quando si parla di “Natale in casa Cupiello” è il contesto storico. L’Italia degli anni ’30, soprattutto in prossimità delle ricorrenze come il Natale, era invasa di cerimonie fasciste, di roboanti manifestazioni che celebravano il mito romano e italiano e che veicolavano una narrazione ben codificata: gioventù granitica, masse di lavoratori infaticabili, donne dedite alla famiglia e all’educazione della prole, ecc… ecc… Ma qual era invece l’Italia che, seppur con i modi della commedia popolare, i De Filippo raccontavano in “Natale in casa Cupiello”? La scena a cui assistiamo è quella di un “interno miserabile, popolato di personaggi incredibili, folli, egoisti, alienati, intrisi di miseria e malattia” come ha scritto Federico Fellini. Un microcosmo delirante e “addirittura conturbante” in cui avviene il disfacimento della famiglia, la sua dissoluzione, in cui vediamo l’incapacità di Luca Cupiello di essere padre, la volontà di Nennillo di sfuggire alle responsabilità, la forza di Concetta che regge sulle sue spalle il peso della crisi di un’intera società. È in conclusione un’opera che ha una valenza politica molto forte che risiede sia nella sua carica liberatoria sia nel ribaltamento che fa di quella tragica pagliacciata fascista che andava in scena per le strade dell'Italia di allora.

Il presepe di Eduardo: metafora della crisi della famiglia

Pensiamo ad esempio alla simbologia della primissima scena, dopo la riscrittura, in cui Eduardo/Luca Cupiello e Nennillo sono a letto completamente coperti di cenci e scialli. D’improvviso con un gesto plateale, e simbolico, Luca Cupiello si sveglia e si mette a dissertare a proposito del rapporto tra veglia e sogno, poi inizia a litigare con la moglie per della “colla” e infine si dirige verso il presepe, una natura morta della famiglia, che ha bisogno, guarda caso, proprio di quel collante “che non è stato riscaldato” per essere ri-costruito. Ma la colla è fredda, come è fredda la stanza, come è freddo un cuore senza sentimento. Non si tratta di naturalismo quanto di un gioco di simboli, di metafore molto elaborate. Oppure pensiamo al finale quando Luca muore e sul letto di morte il figlio gli dice “sì, mi piace o presebbio” facendosi finalmente carico della responsabilità di tenere insieme la famiglia. Ecco, lì scopriamo finalmente che quel “presebbio” non è altro che la rappresentazione simbolica di un microcosmo, metafora di un’intera società e che in Eduardo è sempre la famiglia, che si serve di un’altra rappresentazione quale è il teatro, in cui peraltro c’è in scena una famiglia vera, per raccontare le tensioni del suo tempo. Insomma, un gioco di scatole cinesi dove la ricorrenza simbolica del Natale agisce da detonatore per un congegno molto articolato che evolve nei tre atti ed è supportato da un ricco apparato di didascalie in cui sono molto forti gli echi cechoviani. Esiste una parola molto precisa quanto abusata per definire e riassumere tutto questo: capolavoro.

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