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Opinioni

Tassato, sfruttato, derubato: perché un giovane oggi dovrebbe restare in Italia?

Aumentano i cervelli in fuga, e sono soprattutto giovani. Che qui non hanno lavoro, né futuro. Ecco perché.
A cura di Michele Azzu
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L’entusiasmo dimostrato dal governo in queste settimane sulle previsioni di crescita del 2016 e sull’occupazione hanno una nota scritta in piccolo – come nelle televendite di una volta – che dovreste conoscere (specialmente se avete tra i 18 e i 35 anni). Dice questo: le cose iniziano, forse, ad andare un po’ meglio ma se siete giovani non vi riguarda. È la riflessione che emerge dalla lettura dei dati Istat, Eurostat, quelli dell’Inps e dell’OCSE.

Non si tratta di suggerire ai giovani di andare via. Ma di constatare che questi lo stanno già facendo, in massa. Lo dicono, inoltre, gli ultimi dati sull’emigrazione e i laureati, che dipingono una realtà preoccupante per i giovani. Nel 2014 secondo quanto riporta l’Istat, infatti, 90mila italiani hanno trasferito la residenza all’estero. Una crescita del 30% rispetto al 2012, senza considerare gli espatriati che non cambiano residenza (come succede a molti studenti).

Metà di questi 90mila ha meno di 40 anni, e questa fascia da sola è cresciuta del 34%. Giovani in fuga dal sud senza lavoro? Macché. Nel 2014 le città con più emigrati sono Milano, Roma e Torino. E questi dati fanno il paio con quelli dell’Eurostat sui laureati. Secondo l’istituto, infatti, solo il 53% degli italiani risulta occupato a tre anni dalla laurea. La media europea è dell’80%. Va peggio ai diplomati: dopo tre anni lavora il 30% (in Germania sono il 90%, nel Regno Unito l’83%, in Francia il 75%).

Tutto questo non stupisce. A pensarci bene la domanda che dovremmo farci non è sul perché i giovani stiano emigrando, ma, invece, perché diavolo dovrebbero rimanere in questo paese. La disoccupazione per i giovani oscilla sempre attorno al 40% (ma contando gli inattivi il dato reale è perfino più alto). Al sud e alle donne va ancora peggio: semplicemente non si lavora. Laurearsi e diplomarsi dà sempre meno garanzie di accesso a condizioni migliori, o a maggiori chance di trovare un’occupazione.

Ai giovani che aprono partita Iva lo Stato impone tasse altissime, e più sei precario più paghi (vedi il caso della Gestione Separata). Oppure trovi uno stage gratuito pagato coi soldi dei contribuenti, con la Garanzia Giovani, o un contratto a tempo di sei mesi e risulti “occupato”. E che dire dei pagati col voucher, i più precari di tutti? Tutto questo sapendo, come riportano le simulazioni Inps, che se sei giovane oggi non avrai una pensione dignitosa in futuro.

Seriamente, alla luce di queste considerazioni, perché diavolo un giovane dovrebbe voler restare in Italia oggi? Ecco nove punti per comprendere meglio l’attuale situazione.

I DATI SULL’OCCUPAZIONE. In questi ultimi giorni il governo si è speso per farci sapere che la disoccupazione è calata. Il problema, però, è che calano anche gli occupati, o, come nei dati di questo mese, il numero rimane fermo. Mentre aumentano gli inattivi: sempre più persone smettono di cercare lavoro. I dati di novembre, inoltre, confermano che l’aumento degli occupati riguarda principalmente gli over 50, con 233mila nuovi avviamenti al confronto dei 69mila per i 25-35enni e i 33mila per gli under 25 (secondo i dati Istat relativi ai primi 11 mesi del 2015). Il dato degli over 50, insomma, è superiore in maniera esponenziale a quello dei giovani.

NEET E INATTIVI CRESCONO. Questi numeri vanno sempre interpretati alla luce del tasso degli inattivi e del fenomeno dei “Neet” fra i giovani. E cioè quei giovani che non studiano, non lavorano, e smettono di cercare lavoro perché hanno perso la fiducia nel potere riuscire a trovarlo (i dati sul conseguimento di un’occupazione dopo il diploma o la laurea non sembrano dare loro torto). Anche questo mese il dato Istat degli inattivi rimane in linea col precedente, con 196mila persone inattive in più negli ultimi 12 mesi, e un tasso di inattività complessivo del 36.2%.

I CONTRATTI A TEMPO. I contratti a termine, ovvero i determinati o “a tempo”, generalmente di pochi mesi o un anno, continuano a rappresentare circa il 70% dei nuovi avviamenti lavorativi. Nei primi 11 mesi del 2015 questi contratti sono cresciuti di 124mila unità rispetto a 61mila contratti indeterminati (le vere e proprie assunzioni). Non sono bastati gli incentivi sui contratti indeterminati a fermare il dilagare di quelli a tempo. E mentre queste persone risultano “occupate”, rimane l’impossibilità ad accedere a un mutuo, comprare una casa, e pensare a prospettive di vita migliori.

I PADRI “RUBANO” IL LAVORO AI FIGLI. Ne abbiamo parlato nei dati sull’occupazione di questo mese, ma è bene evidenziare la tendenza complessiva su tutto l’arco del 2015. Secondo quanto riporta l’Istat da gennaio 2013 ad oggi sono circa 900mila gli avviamenti lavorativi in più per gli over 50 (una crescita del 13.9%). Un dato che viene confermato anche dal rapporto della Fondazione Di Vittorio della Cgil: “Tra il 2007 e il 2015 il numero degli occupati tra i 55 e 64 anni è cresciuto di un milione e 326 mila unità e il tasso di occupazione specifico ha segnato un aumento straordinario: dal 33.4% al 48.1%”.

FUGA DALLA PARTITA IVA. Il lavoro autonomo – che merita un discorso più ampio – ha costituito in questi anni di crisi una scappatoia per tanti giovani, ma le cose vanno sempre peggio. Un anno fa la Legge di Stabilità alzava le tasse per le casse più precarie, come la Gestione Separata, mentre introduceva condizioni migliori per i commercianti. Si cancellava, inoltre, il regime fiscale agevolato per i giovani. Le partite Iva sono calate nel 2015 di 83mila unità. La riforma Fornero, inoltre, inasprirà i contributi per la Gestione Separata. Il governo ha annunciato l’introduzione di un nuovo “Statuto per le partite Iva”, di cui però si sa ancora poco.

VIVERE A CASA DEI GENITORI FINO AI 35 ANNI. Lo scorso novembre L’Eurostat riportava che nel 2014 il 66% dei giovani tra i 18 e 34 anni continua a vivere a casa dei genitori. Due terzi del totale, quasi sette persone su dieci. Sono quasi 20 punti percentuali in più della media europea del 48%. Una percentuale più alta è presente solo in Croazia. I numeri, dice il rapporto, sono particolarmente alti nella fascia tra i 25 e 34 anni: sono il 49% contro al media europea del 29%. Numeri molto più bassi nei nostri partner europei: i 25-34enni che vivono ancora dai genitori sono l’11% in Francia e il 15% nel Regno Unito.

I GIOVANI NON VEDRANNO MAI UNA PENSIONE. “Chi oggi ha 35 anni”, riporta una recente simulazione dell’Inps, “Prenderà nell'intera vita pensionistica in media un importo complessivo di circa il 25% inferiore a quella della generazione precedente pur lavorando fino a circa 70 anni”. La simulazione dell'Inps è stata condotta su un campione di circa 5.000 lavoratori nati nel 1980. Inoltre, i giovani di oggi, avranno la pensione per meno anni rispetto ai genitori. Il recente rapporto OCSE ha definito il sistema pensionistico italiano: “non sostenibile”.

IL FLOP DELLA GARANZIA GIOVANI. Questo programma europeo, partito il 1 maggio 2014 con un miliardo e mezzo di fondi per trovare un lavoro o stage ai giovani, non è riuscito a produrre un impatto quantificabile sulla disoccupazione. Dopo oltre un anno e mezzo non sappiamo quanti abbiano effettivamente trovato lavoro (qui l’ultimo monitoraggio del ministero). Lo scorso marzo, dopo aver effettuato un monitoraggio dei programmi nei vari paesi, la Corte dei Conti europea aveva affermato: “Dobbiamo ancora vedere un singolo giovane che abbia trovato lavoro col programma”.

I NUOVI SCHIAVI DEL VOUCHER. Il sistema del voucher, con cui si paga il lavoro occasionale, è stato liberalizzato dal governo Renzi. Creato inizialmente per permettere agli agricoltori di far lavorare i parenti nei campi, è diventato oggi una maniera diffusa per il lavoro precario. Che è separata dai contratti nazionali: se lavori in un supermercato e ti pagano a voucher non rientri nel contratto del commercio e puoi venire pagato meno. Riporta l’Istat: "Nel primo semestre del 2015 risultano venduti 49.896.489 voucher destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio, del valore nominale di 10 euro, con un incremento, rispetto al corrispondente periodo del 2014, pari al 74.7%, con punte del 95,2% e dell’85,3% nelle regioni insulari e meridionali".

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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