361 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Suicidi (annunciati) in cella: la sottile soglia tra scontare una pena e morire di carcere

Marco Prato, il trentenne killer di Luca Varani, si è suicidato inalando gas in cella. È l’ennesimo caso di suicidio, praticamente annunciato, in cella. Perché il carcere che dovrebbe rieducare segna la fine di vite già bruciate?
A cura di Angela Marino
361 CONDIVISIONI
Da sn: Roberto Succo, Milena Quaglini, Igor Diana e Marco Prato
Da sn: Roberto Succo, Milena Quaglini, Igor Diana e Marco Prato

Nell'opinione comune i detenuti siano tutti uguali, tutti criminali, deviati, sbagliati, scarti della società che devono pagare per quello hanno fatto. La verità a cui non pensiamo mai, è che le loro storie sono sempre diverse. Ci sono i puri, quelli che mettono piede in cella senza aver fatto nulla, reclusi per un errore giudiziario, gli innocenti; ci sono i recidivi, i professionisti, quelli che hanno rapinato, truffato o ucciso con serialità. Ci sono quelli il cui bisogno di delinquere è incontrollabile; ci sono gli ‘orchi’, i malati, i disperati, gli assassini per una sola volta e quelli arsi dalla sete di sangue.

Dietro le sbarre d’acciaio che sbattono la sera e la mattina, negli spazi strettissimi tra un letto e l’altro, davanti al minuscolo fornelletto del caffè, una sola cosa li accomuna, il destino di una esistenza che non è più vita. Gli individui fragili non reggono a questo regime e suicidarsi in carcere è ancora pericolosamente facile. Basta un sacchetto di plastica, uno spazzolino da denti, un rasoio per la barba, un lenzuolo, una bottiglia di candeggina, uno qualsiasi degli oggetti che assemblano la squallida quotidianità di una cella.

È successo ancora, ieri, nel carcere di Velletri, dove l'uomo accusato dell'assassinio di Luca Varani, il trentenne Marco Prato, si è tolto la vita alla vigila dell’udienza del processo, inalando gas. Non ha retto allo spettro del carcere a vita, a quello dell’opinione pubblica che gli augurava l’inferno per quel delitto crudele e insensato, messo in scena come una macabra life experience, sotto l’effetto di stupefacenti. A nulla sono valsi il sostegno psicologico, quello del suo avvocato, della famiglia e nonostante avesse alluso più volte al suicidio è riuscito a mettere fine alla propria vita aspirando una bomboletta di gas di quelle che si usano in cella per cucinare. Una tragedia annunciata, forse evitabile, perché i detenuti a rischio di suicidio devono essere monitorati e posti in condizione di non autoledersi. Perché ciò non è avvenuto con Prato?

Marco non è stato in grado di convivere con se stesso e con la società dopo quello che era successo come non lo fu, all’epoca, Roberto Succo, il serial killer veneziano che ammazzò i genitori dando il via a un’escalation di violenze, stupri e omicidi. Si soffocò con un sacchetto riempito di gas nella cella del carcere di Vicenza nel 1988.

Non ce la fece neanche Milena Quaglini, triste bizzarria del crimine italiano, la serial killer dei pedofili e dei violenti, una donna minuta come uno scricciolo, reduce da un’infanzia di violenza e maltrattamenti, divenuta, adulta, una spietata assassina borderline. Nonostante la sua intelligenza sopra la media, il suo comportamento disciplinato in carcere, che faceva ben sperare gli operatori, si ammazzò impiccandosi al gancio del suo armadietto. Neanche Igor Diana, 28enne di origini russe che aveva massacrato i genitori a bastonate, fu in grado di sopravvivere in cella. Anche lui riuscì a togliersi la vita nel penitenziario di Uta (Cagliari), impiccandosi alla finestra del bagno con i lacci delle scarpe.

Accanto a questi casi ce ne sono tanti altri che vedono la detenzione come momento di riflessione, di rinascita, di cambiamento. Costretti dalla privazione della libertà di disporre della propria vita a confrontarsi con le proprie colpe, alcuni detenuti riescono a rinascere persone nuove a reinserirsi nella società.

È proprio questa la funzione del carcere: rimettere al mondo le persone, rieducarle al rispetto del vivere sociale. Eppure ci sono momenti in cui le prigioni appaiono come luogo di disordinato abbandono e di caos, esasperazione di una vita già bruciata che porta alla scelta di morire come unica via di uscita dal fallimento. Il proprio e quello della società che non sa combattere i suoi demoni.

361 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views