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Opinioni

Blonde su Netflix è un disastro, Marilyn Monroe svilita a due gocce di sangue e Chanel

Blonde, l’attesissimo e controverso biopic su Marilyn Monroe è approdato su Netflix. Pretenzioso e superficiale, non racconta quasi nulla dell’icona che invece dovrebbe narrare, rivelandosi una grandissima e fastidiosa occasione perduta. La recensione del film con Ana De Armas prodotto da Brad Pitt.
A cura di Grazia Sambruna
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Cosa ci si poteva aspettare da un film di cui il grosso del battage pubblicitario si basava sulla quantità di scioccanti scene di sesso? Che fosse brutto, certo. Ma quanto? Abbiamo visto Blonde, l'attesissimo biopic su Marilyn Monroe presentato in anteprima alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia e in cartellone Netflix dal 28 settembre. Di seguito, la recensione del film con Ana De Armas prodotto da Brad Pitt.

Di una durata spropositata, tre deliranti ore di minutaggio finale, la pellicola è un disastro di supponenza e confusione che, oltre a non rendere omaggio all'icona (né alla persona) di Marilyn Monroe, pastrocchia con effetti visivi imbarazzanti e appiattisce ogni tentativo di analisi psicologica soffocandolo con un'estetica così incolore da diventare soporifera: non importa cosa dicano i personaggi, sembra di riguardare all'infinito le stesse tre scene in croce. Se la ripetizione è un'ottima figura retorica, lo sanno più o meno bene i politici, per conquistare l'attenzione di una platea, il regista e sceneggiatore Andrew Dominik s'è scordato un ingrediente fondamentale affinché l'espediente possa funzionare: l'incisività. "Yes, we can", "Sole, cuore, amore", "Happy sha la la". Barack Obama, Valeria Rossi e Alexia, nei loro differenti campi di competenza, ci sono arrivati. Dominik, purtroppo, no. E il risultato è un film che somiglia in tutto e per tutto al frastagliato soliloquio di un ubriaco dopo la sbronza del secolo. AAA cercasi sceneggiatura. Disperatamente.

Dal punto di vista degli effetti visivi, il picco di atrocità viene raggiunto dal gigantesco feto in cgi (computer grafica, ndr) che compare più volte nel corso del film. Si tratta di una sorta di consigliere della protagonista, protagonista la cui età mentale è settata per tutto il tempo sui cinque massimo sei anni. Per via dei traumi subiti durante l'infanzia, forse, dall'abbandono del padre alla convivenza con una madre che la rifiutava. Poi gli anni in orfanotrofio, la continua ricerca di qualcuno che potesse volerle del bene e i vari incontri con uomini interessati solo a due lati di lei: il lato A e il lato B. Ne esce il ritratto di una Marilyn perennemente vittima, svenevole e melensa all'inverosimile, sempre stupita dalla meschinità altrui, anche quando la colpisce, nello stesso identico modo, per l'ottantesima volta. Va bene la purezza, passi pure l'ingenuità, ma se la protagonista di un biopic è completamente priva di un qualsivoglia tipo di carisma, fosse anche malvagio, viene a mancare la necessità stessa di trarre un film dalla sua vita. Tre ore di soggettiva su una bellissima piantana che illumina uno splendido salotto anni Cinquanta, così si può definire Blonde.

Ad affossare definitivamente la pellicola, scende in campo anche la terribile struttura che da grande vorrebbe tanto diventare una sceneggiatura di Pablo Larraín. Ma oggi come oggi è solo un Andrew Dominik. Per intenderci: Spencer, l'angosciante biopic sulla principessa Diana (Prime Video), è un insieme di suggestioni, un incubo di non detti, che genera nello spettatore una sensazione di forte inquietudine e disorientamento dall'inizio alla fine. Blonde è un incubo e basta. Oltre al fatto che, al termine della visione, di Marilyn Monroe se ne sappia tanto quanto prima, l'intero film, un po' in bianco e nero e un po' a colori, è come un susseguirsi infinito di spot pubblicitari per profumi griffati. Ogni scena il più delle volte non ha un raccordo con la successiva, ma vuole disperatamente essere intensa e segnante per farsi ricordare. Questa dinamica narrativa può funzionare nelle pubblicità o nei videoclip, ma è inevitabile che, prolungata per tre ore sia paragonabile alla tortura della goccia cinese. Cosa stiamo guardando? E perché risulta tanto fastidioso nonostante l'aspetto così beatamente innocente?

Ana De Armas è Marilyn Monroe in Blonde
Ana De Armas è Marilyn Monroe in Blonde

Stiamo guardando la bellissima Ana De Armas, lode al reparto make up per averla resa identica a Marilyn, avvilupparsi in rapporti sessuali audaci e molto spesso respingenti perché non propriamente consensuali. Stiamo guardando Ana De Armas, doppia lode al make up, prendere la rincorsa per farsi apparire sul viso un'espressione di sgomento, gioia o disperazione. Si potesse mandare il film in ralenty, risulterebbe evidente lo sforzo muscolare dell'attrice mentre tenta di far apparire sul suo volto un'emozione plausibile. Sta recitando, si vede. Si vede dolorosamente. E ciò forse è perfino peggio del fatto che, in lingua originale, De Armas parli inglese con un'inflessione sudamericana (la sua) che di certo il personaggio di Norma Jean-Marilyn Monroe, nata a Los Angeles, non poteva possedere. Negli Stati Uniti questa critica, più che legittima, è stata recepita come una forma di #shaming. Perché fin troppo spesso l'hashtag tout court non si ferma nemmeno davanti all'evidenza dei fatti. E l'accento di De Armas, in questo film, è uno degli elementi che, innegabilmente, più prende a randellate la sospensione dell'incredulità dello spettatore.

L'idea di dar vita sullo schermo ad alcune storiche fotografie della diva ossigenata non era affatto malvagia. Anche qui, però, l'esperimento, in assenza di una sceneggiatura a corredo, sarebbe stato molto più riuscito se limitato a un reel Instagram dall'effetto wow. Purtroppo, invece, Andrew Dominik ha scelto di usarlo come espediente narrativo di una storia che s'è scordato di narrare. D'altronde, è stato lui stesso ad ammetterlo: "Avrò letto un centinaio di libri su di lei e parlato con molte persone che l'hanno conosciuta. Ma poi ho usato pochissime di queste mie ricerche per scrivere il film". Ancora una volta, si vede. Blonde sembra l'incessante eco di un sentito dire che imprigiona la figura di Marilyn nel ruolo che con ogni probabilità lei stessa ha sempre disprezzato: l'eterna ingenua sexy da morire ma oca per natura, la quintessenza della "bionda", nel significato più cliché del termine. Nonostante ciò, Marilyn Monroe è un'icona che brillerà per sempre, Blonde due gocce di Chanel prima di morire di sonno.

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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