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Spagna, il Re dà l’incarico a Sanchez: quale futuro politico per la Spagna?

Nuovo capitolo della crisi politica spagnola, dopo l’incertissimo esito delle elezioni di dicembre. A seguito del rifiuto di Rajoy di dieci giorni fa, Felipe VI ha dato mandato al leader socialista di cercare una maggioranza che sostenga un governo.
A cura di Biagio Chiariello
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Il leader socialista Pedro Sanchez ha ricevuto da re di Spagna Felipe VI l’incarico di formare un nuovo governo. L'incarico arriva a circa 40 giorni dalle elezioni che hanno consegnato un quadro politico fortemente confuso nel Paese iberico, con quattro partiti senza maggioranza (popolari al 28,7%, socialisti al 22,1%, indignati di Podemos al 20% e centristi al 13,9%)."Proverò a formare il governo con le forze del cambiamento, spero che tutti siano all'altezza delle responsabilità", sono state le prime parole del leader dei socialisti del Psoe, che ha chiesto da tre settimane ad un mese per le consultazioni. La scelta di Sanchez è stata resa quanto mai obbligata dal clamoroso rifiuto di Mariano Rajoy che lo scorso 22 gennaio  aveva rinunciato all’incarico, motivando la sua decisione con l’impossibilità di mettere assieme una maggioranza. Il leader dei popolari, che ha vinto le elezioni, ieri nel colloquio con il re spagnolo aveva insistito sulla sua proposta di grande coalizione fra Pp Psoe e i liberali di Ciudadanos. “Gli spagnoli vogliono che i partiti si ascoltino, negozino e siano capaci di formare un governo: la mia proposta è un esecutivo guidato dal Partito popolare insieme a socialisti e Ciudadanos. Siamo d’accordo sulle questioni fondamentali: unità del Paese, sovranità, giustizia sociale, l’euro, la lotta al terrorismo” aveva detto Rajoy.

Il futuro politico della Spagna

Il nuovo capitolo della crisi politica spagnola ha quindi Pedro Sanchez come protagonista principale. Al momento le strade che il leader dei socialisti del Psoe può intraprendere sono due: 1) governo di larghe intese guidato da Rajoy, opzione malvista dai socialisti; 2) esecutivo di sinistra, con l’appoggio (fra gli altri) degli indipendentisti catalani, opzione scartata dallo stesso Psoe, anche solo per questione di principio. Il partito Podemos, arrivato terzo alle elezioni di dicembre, si è detto comunque disponibile ad entrare in un governo con i socialisti. Il leader  Pablo Iglesias, già nei primi colloqui con Felipe VI, era stato molto chiaro nel sostenere “un governo di cambiamento guidato dal socialista Pedro Sanchez sostenuto anche da Izquierda Unida”, proponendosi come vicepremier. “Sono pronto per iniziare a lavorare. I socialisti – aveva detto Iglesias – non sono nella posizione di formare da soli il prossimo governo. Credo che il destino stia sorridendo a Sanchez offrendogli l’opportunità di diventare premier. E credo che Sanchez dovrebbe per sempre essere riconoscente per questo”.

Le elezioni di dicembre

Le elezioni dello scorso 20 dicembre in Spagna hanno chiuso nettamente le porte al classico bipolarismo politico fra popolari e socialisti, che ha governato il Paese dalla fine della dittatura franchista: il Pp ha ottenuto 123 seggi su 350, il Psoe 90, Podemos e i suoi alleati 69, Ciudadanos 40, gli indipendentisti catalani 17, quelli baschi 2, come Izquierda Unida (Iu), e 6 i nazionalisti baschi del Pnv, possibili alleati di Sanchez.

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