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Opinioni

Sorgenia, ennesimo fallimento del capitalismo italiano

Le banche dovranno fare uno sconto a Sorgenia (gruppo De Benedetti), dopo aver già messo mano al portafoglio coi gruppi Agnelli, Zunino, Zaleski, Marcegaglia. Il problema è sempre lo stesso: pochi mezzi propri, troppo debito, redditività in calo.
A cura di Luca Spoldi
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La famiglia De Benedetti ha un problema, che si chiama Sorgenia. A fine gennaio, come annunciato da Cir (azionista di controllo col 52,9% del capitale, mentre il gruppo austriaco Verbund controlla il 45,7%) Sorgenia aveva livello di indebitamento lordo per cassa di 1.863 milioni e per firma (garanzie emesse) per altri 304 milioni. L’importo complessivo dei pagamenti sospesi da Sorgenia al 31 gennaio 2014 nei confronti degli istituti di credito era pari (incluse le scadenze di dicembre e gennaio) “a 60,7 milioni comprensivi di capitale, interessi e commissioni”. Cir, pur non avendo rilasciato garanzie a favore della controllata “ad eccezione del contratto di approvvigionamento di gas naturale take or pay stipulato da Sorgenia” (in relazione al quale le garanzie sono state rilasciate pro quota da entrambi i soci), corre il rischio di veder finire in default il prestito obbligazionario “Cir Spa 2004-2024”, contenente “una clausola di cross default che potrebbe dare luogo a richieste di rimborso anticipato del prestito (ammontante a complessivi 259  milioni di euro) in caso di mancati pagamenti da parte di società controllate, compresa Sorgenia e le sue controllate”.

Per questo lo scorso 2 gennaio “seguito all'interruzione dei pagamenti relativi ai propri debiti finanziari da parte di Sorgenia, Cir ha inviato una comunicazione al Trustee del prestito obbligazionario dando atto del verificarsi di un event of default”, Trustee che in qualunque momento potrebbe chiedere il rimborso anticipato del prestito se ricevesse domanda in tal senso da almeno il 20% degli obbligazionisti. Cir, peraltro, ha fatto sapere di avere “liquidità sufficiente per un pronto rimborso del prestito”. Ma se il bond non dà soverchi problemi, per ora, le cose sembrano filare meno lisce sul fronte bancario. Sorgenia ha già inviato il 3 dicembre scorso una proposta di “stand still e moratoria dei pagamenti degli interessi” alle banche coinvolte (sono coinvolti in prima fila Mps, Unicredit, Intesa Sanpaolo e Mediobanca) e punta a “ridurre l’indebitamento della società di circa 600 milioni di euro”.

Oibò, direte voi, come si fa a farsi sospendere per qualche mese i pagamenti sul debito, riscadenziandolo (ossia allungando i tempi di rimborso), facendosi anche “condonare” 600 milioni di euro? Molte piccole e medie imprese se lo chiedono inutilmente da anni, non le “grandi famiglie” del capitalismo familiare italiano a cui le banche hanno sempre prestato con generosità persino eccessiva visti i problemi emersi, dalla crisi del gruppo Zunino-Risanamento, che nel 2009 arrivò ad avere 3 miliardi di debiti nei confronti di Intesa San Paolo, Unicredit, Bpm, Mps e Banco Popolare, poi diventate azioniste (e da allora impegnate a cercare di vendere il vendibile del patrimonio immobiliare), ai problemi della Carlo Tassara, ex società siderurgica divenuta holding di partecipazioni di Romain Zaleski, finanziere franco-polacco trapiantato a Brescia e vicino a Giovanni Bazoli (presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo), finanziato negli anni per complessivi 9 miliardi dalle banche per comprare titoli in borsa.

Un portafoglio ricco, che a fine 2007 spaziava dal 6% di Intesa Sanpaolo al 2,2% di Mediobanca, dal 2,3% Generali al 2,3% di Ubi Banca, dal 20% di Mittel al 2,9% di Mps, dal 2,5% di A2A, dal 10% di Edison, dall’1,9% di Telecom Italia al 2% della francese Vinci, ma le cui quotazioni crollarono dopo la crisi del 2008-2009 lasciando Carlo Tassara esposta per 2,2 miliardi nei confronti di Intesa Sanpaolo (quasi 1,2 miliardi di crediti), Unicredit, Mps, Ubi Banca, Bpm, ma anche Banco Popolare e Banca Carige. Istituti che hanno prima accettato di convertire in “strumenti finanziari partecipativi” (sfp, equivalenti ad azioni privilegiate senza diritto di voto) 650 milioni di debiti, a fronte di una ricapitalizzazione “a monte” di Zaleski di 200 milioni, poi hanno accettato di prorogare sino al 2016 gli accordi in essere impegnandosi a sottoscrivere ulteriori sfp (di Carlo Tassara, ndr), utilizzando parte dei propri crediti verso la società qualora maturassero perdite rilevanti.

Potevano i De Benedetti non cercare un trattamento “di riguardo visti simili precedenti storici, cui vanno aggiunti d’ufficio il celebre “convertendo Fiat” da 3 miliardi di euro concesso nel marzo del 2000 da Capitalia, Sanpaolo Imi, Unicredito, Banca Intesa, Bnp, Bnl, Abvn Amro e Mps che (non esercitato nel 2002 perché il titolo Fiat era nel frattempo crollato rispetto al valore a cui era stato stipulato il prestito) nel 2005 consentì alla famiglia Agnelli, attraverso una complicata operazione finanziaria, di rimanere azionista di controllo evitando anche il “disturbo” di lanciare un’Opa sul mercato, piuttosto che il caso recentissimo di Gabetti Property Solution, controllata fino a poche settimane fa al 56% dalla famiglia Marcegaglia (Emma, ex presidente di Confindustria, siede nel Cda), scesa poi al 38,45% dopo la conclusione di un aumento di capitale da 20 milioni riservato alle banche creditrici (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Popolare, Mps, Bpm e Bnp Paribas, salite nel complesso al 32,87% del capitale) effettuato tramite la conversione di parte dei crediti vantati dagli istituti (a fine settembre scorso l’indebitamento netto era pari a 54,2 milioni)?

Non potevano e infatti la Cir, secondo quanto racconta Repubblica (controllata dalla stessa Cir e dunque si presume ben “informata sui fatti”) a fronte della richiesta di ricapitalizzare per 150 milioni avanzata dalle banche in cambio del loro assenso alla ristrutturazione del debito vrebbe opposto un garbato ma deciso “non possumus” dicendosi in grado di versare 100 milioni non uno di più. Nel frattempo, forse per “dare una mano” alle banche (oltre che a se stessa) Cir starebbe tentando di ottenere dal governo il cosiddetto “capacity payment”, ossia una sorta di contributo pubblico alle aziende di settore per mantenere in esercizio gli impianti anche se non vengono chiamati a produrre energia, come è il caso di quelli di Sorgenia che, per quanto nuovi, sarebbero utilizzate al 30%-40% della capacità produttiva a causa della domanda debole e della concorrenza degli impianti a carbone, a ciclo combinato e idroelettrici.

Col che, se fosse vero, si finirebbe col chiudere il cerchio, essendo partiti dal far pesare sulla bolletta elettrica il sussidio alle energie rinnovabili per arrivare a aumentare ulteriormente il peso dell’energia venduta in Italia per sussidiare le energie non rinnovabili (come appunto il gas naturale, che tra l’altro ci espone al rischio non trascurabile di dipendere da fornitori quali Russia o Algeria, ma che volete farci). In verità, vale per Sorgenia ma vale per molte altre imprese italiane, il peccato originale è nato nel momento in cui si sono caricate le imprese per rilevare attività a redditività decrescente: per Sorgenia si tratta di Tirreno Power, nata nel 2009 rilevando gli asset di una delle tre “genco” privatizzate di Enel e di cui Sorgenia detiene indirettamente il 39% (controllando il 78% di Energia Italiana Spa, socia al 50% di Tirreno Power, l’altro 50% essendo in mano al gruppo francese GdF Suez), il cui indebitamento lordo per cassa era pari al 31 gennaio scorso a circa 875 milioni di euro (più altri 50 milioni di indebitamento “per firma”) contro un Mol che dai 221,2 milioni a fine 2011 è poi calato a 155,2 milioni nel 2012.  Pochi mezzi propri, molti debiti, buone relazioni: quelle che un tempo erano considerati i punti di forza del capitalismo familiare italiano si stanno sempre più rivelando punti di debolezza. Avevate ancora qualche dubbio?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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