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Sette cose da sapere sulla riforma della Costituzione del Governo Renzi

Con l’avvio della discussione parlamentare sembra definitivamente partito il “treno delle riforme costituzionali” del Governo Renzi. Ecco cosa c’è da sapere.
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Con l'avvio della discussione generale nell'Aula di Palazzo Madama, dopo una lunga fase di gestazione in Commissione Affari Costituzionali durata praticamente tre mesi, si entra nel vivo del percorso che dovrebbe portare alla riscrittura di una parte consistente della Costituzione. Il disegno di legge costituzionale, che porta la firma del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, infatti prevede "disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione".

A che punto siamo, qual è l'iter del ddl costituzionale e quali sono le tempistiche

Come detto, nella giornata di oggi è cominciata la discussione generale sul ddl costituzionale. Il termine ultimo per la presentazione degli emendamenti è fissato per le ore 20:00 di domani, mentre nella giornata di oggi sono 124 gli iscritti a parlare sulla relazione introduttiva di Anna Finocchiaro, presidente della Commissione Affari Costituzionali e relatrice di maggioranza. Tecnicamente ognuno di loro avrebbe la possibilità di parlare per 20 minuti, dunque non è possibile prevedere con certezza quando il dibattito introduttivo possa terminare. Sono invece state bocciate le pregiudiziali di costituzionalità. Domani poi sapremo quale sarà il numero di emendamenti presentati e si capirà subito se l'intenzione delle opposizioni sarà quella di adottare tecniche ostruzionistiche in modo da ritardare l'approvazione del provvedimento e provare a mettere in difficoltà la maggioranza su alcuni aspetti molto controversi (vedremo più avanti quali). Successivamente all'approvazione, ovviamente, il ddl passerà alla Camera, per la discussione e conseguente approvazione. Bisogna ricordare poi che trattandosi di un ddl costituzionale, dopo un intervallo di riflessione di almeno 3 mesi, il provvedimento tornerà al Senato per una nuova lettura e quindi nuovamente alla Camera dei deputati. Nel caso in cui non ci fosse la maggioranza qualificata dei due terzi sia alla Camera che al Senato, poi, sarebbe possibile chiedere un referendum confermativo senza quorum. Solo al termine del percorso la modifica costituzionale sarebbe effettiva (a seguito di promulgazione del Presidente della Repubblica). Ecco lo schema riepilogativo dell'Istituto Fumagalli:

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Quali sono le principali novità del ddl Boschi – Renzi

L'iniziativa del Governo mira a ridisegnare l'architettura istituzionale, aggiungendo alla ridefinizione di ruoli e composizione del Senato, l'abolizione del Cnel e la revisione del titolo V della Costituzione (su cui era intervenuta la precedente riforma del centrosinistra). Nella lettura dei promotori della legge la riforma del Senato (qui la scheda completa) porterà alla fine del bicameralismo paritario, alla riduzione del numero dei parlamentari (che passerebbero dai 945 + senatori a vita attuali a 730, di cui solo 630 retribuiti ed eletti direttamente dai cittadini).

Cosa contiene la riforma del Titolo V della Costituzione

La riforma del titolo V mira invece a risolvere alcuni "limiti" dell'impostazione precedente. Si interviene ad esempio sugli articoli 117 e 119 della Costituzione, che determinano le competenze legislative fra Stato e Regioni. Prima di tutto si sopprime totalmente la legislazione concorrente fra Stato e Regioni, alle quali viene lasciata possibilità di determinare la legislazione su "pianificazione del territorio regionale, mobilità al suo interno, dotazione infrastrutturale, programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali, promozione dello sviluppo economico locale e organizzazione in ambito dei servizi alle imprese e in materia di servizi scolastici, istruzione e formazione professionale, promozione del diritto allo studio, anche universitario". Completamente nelle mani dello Stato passano la finanza pubblica, il sistema tributario, le infrastrutture energetiche, le reti di trasporto eccetera (è poi passato anche un emendamento che consente allo Stato di intervenire in altre materie, nel caso in cui si risconti la superiore "tutela dell'interesse nazionale). Con la modifica dell'articolo 119 si prevede poi l'inserimento dei cosiddetti "costi standard", ovvero di "indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno, uniformati a criteri di efficienza". Scompare poi ovviamente ogni riferimento alle "province", mentre entrano in Costituzione le "città metropolitane". Infine, con la modifica dell'articolo 122 si fissa un limite ai compensi dei consiglieri regionali, che non possono essere superiori "a quelli attribuiti ai Sindaci dei Comuni capoluogo di Regione".

Quanto si risparmia con la riforma del Senato

Si tratta di un calcolo meno complesso di quanto si possa immaginare (qui abbiamo provato a riepilogare tutti i passaggi). Infatti, bisogna considerare che il "Senato spende meno di 43 milioni all’anno per lo stipendio dei senatori, cui bisogna aggiungere i circa 20 milioni di euro di rimborso per spese sostenute e i 37 milioni di euro che vengono assegnati ogni anno ai gruppi parlamentari. Una somma totale di 100 milioni di euro che sarebbe “interamente” risparmiata con la nuova formula. Resterebbe invariata anzi, destinata a subire un (iniziale, ma considerevole) aumento la quota destinata al “trattamento dei senatori cessati dal mandato”, che nell’ultimo bilancio incideva per 82 milioni di euro. Allo stesso modo non ci sarebbero variazioni (se non in negativo) per quel che concerne le spese per i trattamenti previdenziali di dipendenti e parlamentari, che incidono per oltre 150 milioni di euro, circa il 30% della spesa complessiva del Senato". A questa analisi va aggiunta la considerazione della permanenza dell'intera struttura, i cui costi diminuirebbero in virtù della minor mole di lavoro, ma non crollerebbero (qualche stima parla di un 25 – 30 percento in meno di spese). Insomma, senza di conoscere se i membri del nuovo Senato avranno rimborsi di viaggio / spese, non sembra azzardato quantificare il risparmio complessivo intorno ai 100 milioni di euro l'anno.

Come sarà composto il Senato e come saranno eletti i senatori dopo la riforma Renzi Boschi

Il nuovo Senato sarà composto da 100 membri, nessuno dei quali eletto direttamente dai cittadini. Cinque membri saranno nominati direttamente del Presidente della Repubblica, per un periodo di 7 anni. Ventuno Sindaci (uno per Regione e per le Province di Trento e Bolzano) e 74 consiglieri regionali saranno eletti senatori dai Consigli Regionali e dalle Province autonome di Trento e Bolzano, con metodo proporzionale.

Con una modifica in Commissione poi si sono poi stabiliti i parametri dell'elezione: "I consigli regionali e i consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano eleggono i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori – recita il testo -. I seggi sono attribuiti con sistema proporzionale sulla base dei criteri stabiliti con legge costituzionale, tenuto conto della composizione di ciascun consiglio regionale. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a due; ciascuna delle Province autonome di Trento e di Bolzano ne ha due". "La ripartizione dei seggi tra le Regioni si effettua, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall'ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nelle quali sono stati eletti". Nello specifico, ogni consigliere regionale voterà una lista di candidati formata da un Sindaco e da un numero di consiglieri regionali (con eventuali candidati supplenti), mentre i seggi saranno attribuiti su base proporzionale con il metodo del quoziente e con il calcolo dei resti. Infine, la precisazione: "Per la lista che ha ottenuto il maggior numero di voti, può essere esercitata l'opzione per l'elezione del sindaco o, in alternativa, di un consigliere regionale, nell'ambito dei seggi spettanti, secondo le modalità stabilite dalla legge".

Il perché del dibattito sull'immunità dei senatori

Nel testo base del ministro Boschi non c'erano riferimenti ad alcun tipo di immunità per i membri del Senato, poi la Commissione Affari Costituzionali ha ripristinato la norma che equipara i "nuovi" senatori ai deputati: la modifica è passata con il voto favorevole della maggioranza di Governo, di Forza Italia (tranne Minzolini) e della Lega Nord, su proposta dei relatori Finocchiaro e Calderoli". La polemica è evidentemente legata alle funzioni dei senatori ed alla natura non elettiva del loro incarico. Se al Senato fossero riservati compiti ritenuti essenziali, di tutela, controllo ed indirizzo, allora evidentemente non saremmo in presenza di uno scandalo (fermo restando la necessità di risolvere da un punto di vista tecnico eventuali discrepanze "costituzionali"); così come è chiaro che in questo modo si tratterebbe di una immunità ricevuta per "nomina" e non per elezione diretta dei cittadini. Tutto ciò fermo restando la possibilità di una discussione più ampia sul senso complessivo dell'istituto dell'immunità parlamentare (qui il nostro approfondimento).

Le polemiche e la "deriva autoritaria"

Sono molti gli spunti polemici sulla riforma Renzi – Boschi, in particolare per quel che concerne la necessità di un equilibrio fra i poteri, legislativo ed esecutivo (al netto dell'assenza dello "spirito Costituente", di cui abbiamo parlato qui). In generale sono molti gli analisti che segnalano i pericoli della riforma "combinata" con l'Italicum, come spiega ad esempio Claudio Sardo su L'Unità: "Se il principio-guida dell’Italicum (al di là dei vari aspetti che vanno cambiati, a partire dalle indigeribili liste bloccate) è assegnare la maggioranza della Camera politica, quella che esprime la fiducia al governo, a uno solo dei tre poli (o dei tre partiti principali), non è possibile che quella stessa maggioranza si impadronisca del presidente della Repubblica grazie al premio di maggioranza. Non è accettabile che il premio, concepito per assicurare stabilità al governo, risulti determinante anche per l’elezione del Capo dello Stato. Questo altererebbe il ruolo di garanzia del presidente. E cambierebbe le dinamiche della sua elezione". Una critica cui si possono aggiungere le tante obiezioni di senso ad alcuni provvedimento specifici indicati nel testo della Commissione: dall'innalzamento delle firme per le leggi di iniziativa popolare al carattere di "doppia nomina con liste bloccate" dei futuri senatori. Ma soprattutto resta la sensazione di un percorso monco, con l'assenza di quell'ampia maggioranza di cui si avrebbe bisogno per portare a termine la modifica della Costituzione. All'appello manca infatti gran parte dell'opposizione (M5S, Sel, Lega e gran parte del Misto), parte consistente del Pd (vedremo i numeri al Senato), buona parte di Forza Italia (con buona pace di Berlusconi, anche qui li conteremo al Senato) e qualche malpancista centrista. E, davvero, non è poco.

Il testo del ddl:

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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