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Sesso, droga e mostri marini: il Pinocchio politicamente scorretto di Winshluss (INTERVISTA)

L’autore e regista francese racconta il “suo” burattino di legno (anzi, di metallo) nel fumetto grottesco e spietatamente satirico ispirato alla favola di Collodi, vincitore del Festival d’Angoulême nel 2009 ed ora edito anche in Italia per Comicon Edizioni.
A cura di Fran
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Immaginate il buon Geppetto nei panni di un inventore privo di etica e scrupoli, sposato con un'annoiata ed insoddisfatta casalinga dai capelli turchini; pensate al Gatto e alla Volpe trasformati rispettivamente in un estremista religioso in pieno delirio di onnipotenza, convinto di essere il Messia, ed un tossico eroinomane senza speranza; a Lucignolo, tramutatosi da dispettoso monello a bulletto violento dall'infanzia travagliata, e ad un Grillo Parlante divenuto uno scarafaggio apatico e logorroico; ed infine provate a chiedervi come andrebbero le cose se, anziché una Balena, vi trovaste a dover fronteggiare un mostruoso pesce geneticamente modificato dalle scorie radioattive.

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E' questo il contesto grottesco e pulp – ma tremendamente attuale – nel quale si muove il Pinocchio di Winshluss, al secolo Vincent Paronnaud, fumettista e regista francese candidato al Premio Oscar nel 2008, vincitore del Premio della giuria al Festival di Cannes 2007 per il lungometraggio di animazione Persepolis (tratto dall'omonimo graphic novel di Marjane Satrapi) e, nel 2009, del prestigioso Festival di Angoulême proprio con quest'opera di ispirazione collodiana, che da qualche mese è approdata anche in Italia grazie a Comicon Edizioni.

Come nasce il tuo Pinocchio, che è molto diverso da quello di Collodi?

Per essere onesto, mi sono ispirato più che altro al Pinocchio di Walt Disney ed ai ricordi che ne avevo: è il primo film che ho visto al cinema con mia madre, ed ho conosciuto quello di Collodi solo più tardi. I miei riferimenti sono più quelli dell'adattamento della Disney.

Nonostante l'ispirazione, però, sembra che il tuo personaggio sia una sorta di anti-Pinocchio Disney

Certo. Dopo aver fatto riferimento ai miei ricordi li ho usati come "motore", ma il mio lavoro consiste piuttosto nel guardare alla società e alla politica, perciò nella storia manca una dimensione morale. Alla fine, però, il mio Pinocchio è più simile a quello di Collodi: in lui c'è una visione sociale, e quindi anche uno sguardo alla propria epoca.

Il tuo Pinocchio è muto: un pretesto narrativo più che un protagonista reale, una sorta di spettatore passivo e senza difesa della barbarie che lo circonda. Pensi sia questo che siamo diventati? È questo il contesto in cui hai immerso il tuo personaggio?

Inizialmente volevo creare un anti-eroe, e mi sono chiesto come realizzare un'avventura con qualcuno che non reagisce a nulla a livello emozionale e che ha solo dei riflessi automatici: il mio Pinocchio è un robot, non ha emozioni. Mi sono chiesto come questo personaggio che non è un eroe potesse diventare il catalizzatore di tutta la merda che ha intorno; volevo parlare della globalizzazione ed ho trovato questo mezzo: l'idea è che tutto sia legato, in un modo o nell'altro.
Lui fa da catalizzatore, soprattutto della coglionaggine. Quello che mi interessava dimostrare è che, anche se non riusciamo ad avvicinarci emotivamente a questo Pinocchio, riusciamo comunque ad andare avanti.

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Il tuo Pinocchio è uscito in Francia 5 anni fa, ma solo in queste settimane è arrivato in Italia. La tua denuncia sociale e questo discorso sulla globalizzazione valgono ancora? Avresti cambiato qualcosa del libro, se lo avessi pubblicato oggi?

No, è tutt'ora attuale: è un fenomeno ancora contemporaneo, che è nato negli anni '80 e che non ha ancora trovato una conclusione. Da un punto di vista economico la catastrofe era annunciata, e si sta ancora producendo; e poi la lotta di classe e le battaglie sociali sono ancora lontane dal vedere la fine: i poveri sono poveri, i ricchi sempre più ricchi e tutto va peggiorando.
In più adesso ci sono delle mozioni ideologiche, religiose o politiche che rendono il tutto ancora più – come dire? – sporco.
È un argomento d'attualità, forse più di ieri: probabilmente oggi è ancora peggio.

Hai capovolto l'immagine moralizzatrice del Grillo collodiano e l'hai trasformato in Jiminy, uno scarafaggio buono a nulla, apatico e semi-alcolizzato che vive abusivamente nella testa del robottino Pinocchio.
Al contrario di Pinocchio, però, Jiminy parla (molto) e agisce (poco), anche se sembra condannato al fallimento. Perché hai scelto di farne il co-protagonista della storia e, anzi, di scrivere una storia parallela, raccontata dal suo punto di vista?

Potrei dirti che Jiminy è me stesso qualche anno fa, quando ero più giovane. Rappresenta la maledizione dell'uomo occidentale, sazio e benestante: quella di parlare molto e lamentarsi sempre, mentre il mondo attorno a lui crolla.

Un personaggio importante quasi quanto lo stesso Pinocchio, quindi…

Assolutamente. Rappresentano il dualismo tra la l'azione e il dialogo, che è importante all'interno della storia.
C'è una contraddizione permanente tra quello che succede e quello che può essere raccontato: la cosa interessante è che Jiminy è  assolutamente indipendente da Pinocchio.

È un caso che Jiminy sia uno scrittore, che faccia un lavoro intellettuale?

Vorrebbe scrivere e fare tutte le cose che uno vuole fare a 18/20 anni: parla molto e fa molto poco. Come ho detto, è il ritratto di me quando ero giovane.

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Nelle tue tavole illustri un mondo iper-reale, dove tutte le perversioni sono sistematicamente portate all'eccesso e ridicolizzate. Quanto hanno influito Robert Crumb e il fumetto underground sul tuo lavoro e su quest'opera in particolare?

Sono stato allevato con i fumetti per ragazzi: fumetti economici che hanno come protagonisti delle nullità.
Gli autori più interessanti li ho conosciuti durante la mia adolescenza, quando ho cominciato ad andare in biblioteca: Crumb e tutta l'onda di fumettisti indipendenti degli anni '70 li ho scoperti tardi, verso i 18 anni.

Hai scelto di raccontare Pinocchio, 130 anni dopo Collodi. Dobbiamo tornare ai grandi classici per comprendere meglio la realtà che ci circonda, per trarre dalle opere dei grandi autori del passato nuove ispirazioni e nuovi stili narrativi?

Per quanto mi riguarda leggo spesso i grandi classici: sono classici per delle buone ragioni, perché sono dei buoni libri.
Per me però quei riferimenti per me sono più degli esercizi di stile, anche perché mi serviva una matrice per raccontare la mia storia; quindi mi sono detto che Pinocchio era perfetto, visto che avevo bisogno di qualcosa di ludico, di giocare un po'. Avevo bisogno di tornare a quei miei ricordi d'infanzia per alimentare la macchina.
L'aspetto interessante dei classici è che qualcosa che è stato scritto 100 anni fa resti sempre attuale, e questo ci aiuta a comprendere cosa significhi “opera d'arte”: ecco perché il valore di un classico resta assoluto e senza tempo.

Il tuo Pinocchio è arrivato in Italia 5 anni dopo la pubblicazione in Francia. Quali reazioni ti aspetti per la tua opera nel paese di Collodi?

Non ho ancora avuto feedback. Credo che alcuni lo apprezzeranno, altri meno, ma non essendo italiano non so in quale misura potrò "intaccare" l'anima degli italiani: quello che so per certo è che Pinocchio in Italia è un'istituzione!

Ma in Francia è conosciuto?

Sì, ma solo grazie alla versione Disney. Collodi non è conosciuto; di Pinocchio conosciamo delle versioni corte, non complete, degli adattamenti, ma la versione originale non è molto nota al grande pubblico.

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Come regista, hai mai pensato di realizzarne un'adattamento cinematografico?

Avendo già fatto delle sceneggiature per il cinema partendo dai fumetti penso che questo libro sia particolarmente difficile da adattare, perché è troppo… “fumetto”. Quando ho adattato Persepolis con Marjane (Satrapi, autrice del graphic novel, ndr) è stato più semplice, perché il suo lavoro era meno codificato: la versione animata era più nel suo stile, mentre il mio lavoro è più legato al linguaggio fumettistico. No, credo che non sarebbe una cosa interessante. Preferisco fare altro, qualcosa di nuovo.

La domanda a questo punto è d'obbligo. Su cosa stai lavorando, ora?

Beh, ho finito un libro sulla religione cattolica – preciso cattolica, perché quando parliamo di religione ne abbiamo più di una. Potrebbe essere interessante per l'Italia. Poi ho finito due cortometraggi e sto per cominciare un lungometraggio.

Qual è il rapporto tra fumetto e l'animazione? Come avviene per te il "gioco", l'interazione fra questi due mondi?

Non c'è rapporto. Sono falsi amici: il fumetto ha il suo codice, il suo ritmo, mentre l'animazione è un'altra cosa. Forse vengono viste come due cose in relazione tra loro perché quest'ultima prevede uno storyboard, ma nel caso dell'animazione non è che una tappa all'interno di un processo. Ognuna delle due cose ha la sua tecnica, la sua "arte".

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