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Opinioni

Senza lettori, senza pubblicità, senza soldi pubblici: così i giornali chiudono

Dalla relazione annuale dell’AgCom una serie di dati che contribuiscono a spiegare il perché della crisi di un intero settore. E non c’entra solo la fine della “pacchia” dei finanziamenti pubblici (anche perché, in realtà la crisi riguarda anche i giornali online).
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Ormai ogni pezzo sullo stato di salute del settore della carta stampata (o più in generale dell'editoria) comincia con l'elenco dei "caduti" e dei moribondi, in numero sempre crescente (anche per blasone, storia e peso nel mercato). A seguire, c'è sempre la constatazione delle difficoltà delle imprese editoriali che ancora resistono sul mercato. E la chiosa è di solito riservata alle considerazioni sulle potenzialità dell'online, con qualche breve pensiero sulle tante difficoltà che i giornali tradizionali hanno incontrato e incontrano tuttora nel passaggio al digitale. In mezzo, la ripresa del dibattito sulla valenza, sul peso, sulle trasformazioni e sulla sostenibilità del mercato online (qui il pezzo del nostro direttore Francesco Piccinini e qui, qui, qui altri spunti di discussione).

Non si sottrae a questo schema nemmeno l'AgCom, anche se la relazione annuale contiene alcuni spunti decisamente interessanti e una serie di riscontri numerici che contribuiscono a chiarire i termini della discussione. Va però chiarita qual è la chiave di lettura dell'AgCom, con un passaggio che risulta decisamente illuminante: "Tuttavia, tale evoluzione tecnologica (la nascita di testate esclusivamente online e la crescita dell'offerta online dei quotidiani cartacei, ndr), sebbene piuttosto incisiva e crescente nel tempo, non appare aver scalfito la natura di mezzo di informazione della stampa quotidiana, poiché internet, sebbene abbia incrementato l’accesso alle fonti di informazione, non sembra, almeno in Italia, aver ancora sostituito i quotidiani cartacei quale mezzo fondamentale per la produzione di informazione primaria". Considerazioni in parte smentite dai successivi passaggi, che evidenziano la crescita del numero di utenti che si affidano esclusivamente alle versioni online, che "supera anche quello degli individui che utilizzano le testate quotidiane", oltre che l'inesorabile calo delle vendite delle versioni "tradizionali" (vabbeh).

La flessione complessiva del mercato editoriale nel 2013 è valutata nell'ordine del 7 percento, secondo un trend costante e così disaggregato:

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Il crollo delle vendite medie giornaliere è evidente:

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Per inciso, se il crollo delle vendite ha prodotto una minima riduzione dei guadagni dei giornali (il decremento netto su base annuale è dello 0,5%), ciò è dovuto al costante aumento dei prezzi dei quotidiani (con una media del 60% in più in meno di vent'anni). Molto contenuta è invece l'incidenza sul totale dei ricavi delle vendite di copie e abbonamenti esclusivamente online (al 4,3% degli introiti complessivi). Su tale aspetto si gioca gran parte della partita, come si legge nel report: "Mentre dal lato pubblicitario il web rappresenta ormai una posta significativa, avendo superato nel 2012 il 10% del totale dei ricavi pubblicitari, dal lato della vendita di copie i prodotti digitali rappresentano ancora una frazione marginale (2% nel 2012 e 4% nel 2013) dei relativi ricavi. La composizione dei ricavi da servizi digitali è, pertanto, largamente sbilanciata a favore della componente pubblicitaria (85% contro il 15% dei ricavi da vendita di copie digitali) […] Anche da un punto di vista pubblicitario la valorizzazione dei prodotti informativi risulta, per gli editori di testate quotidiane, assai meno favorevole quando è in rete: il ricavo medio per visitatore raggiunto è stato, sempre nel 2012, pari a circa un terzo di quello dei lettori del prodotto su carta".

Quanto vale il finanziamento pubblico ai giornali

A questa difficoltà, che minimizza anche il peso degli investimenti online e che si tramuta nella difficoltà degli editori nel valorizzare il loro prodotto (anche per limiti enormi per quel che concerne lo sviluppo tecnologico, l'innovazione, lo svecchiamento di modelli tradizionali eccetera), si aggiunge la diminuzione costante (o in molti casi, il blocco) dei finanziamenti pubblici.

Del resto, sul capitolo dei fondi pubblici all'editoria tanto si è scritto, anche a sproposito, e tanto si è speculato (il nostro consiglio è di consultare questo post su ValigiaBlu e questo su IlPost, mentre per le specifiche dei contributi si può tornare qui). Cominciamo col dire che, allo stato attuale (Art. 3 Legge 250/1990 e s.m. – D.L. 18/05/2012 n. 63 conv. dalla Legge 16/07/2012, n. 103), i finanziamenti pubblici diretti sono "riservati" ad alcune tipologie di giornali: quelli editi da cooperative, fondazioni o enti morali, quelli pubblicati e diffusi all'estero (anche editi in Italia e diffusi "prevalentemente" all'estero), o alla sottocategoria dei giornali "organi" di partiti politici (qui l'elenco completo per l'anno 2012). La cifra complessiva inizialmente stanziata (nel quadro di una costante diminuzione del contributo pubblico) era di 80 milioni per l'anno 2012 e di 52 nel 2013; poi bisogna considerare il "Fondo straordinario a sostegno dell'editoria" (che solo in parte può essere aggiunto al complesso dei finanziamenti alla stampa), provvedimento cui ha dato il via libera l'esecutivo guidato da Matteo Renzi: 120 milioni nel triennio 2014 – 2016, con tre blocchi da 50, 40 e 30 milioni di euro per "incentivare gli investimenti in innovazione tecnologica, l'assunzione di giornalisti e per sostenere programmi di ristrutturazione aziendale che prevedano una revisione dell’organico con il ricorso ai prepensionamenti" (parte delle risorse servirà anche al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, ma solo se "cofinanziati dagli editori"). Un fondo che, come spiega il sottosegretario Lotti, "servirà a combattere la crisi anche favorendo l’ingresso di nuova forza lavoro, magari proprio di quei giornalisti che fino ad oggi non hanno avuto l’opportunità di una stabilizzazione", individuando come strumenti gli sgravi fiscali al 100% per le nuove assunzioni a tempo indeterminato e al 50% per quelle a tempo determinato.

Infine sul piatto della bilancia finisce ciò che resta dei finanziamenti indiretti, ovvero qualche agevolazione fiscale, che peraltro riguarda l'editoria ma in egual misura "il commercio dei sali e tabacchi ceduti dall'Amministrazione dei Monopoli di Stato attraverso le rivendite di generi di monopolio, il commercio di fiammiferi commercializzati dal Consorzio industrie fiammiferi, le prestazioni dei gestori di telefoni posti a disposizione del pubblico, la vendita di qualsiasi mezzo tecnico per fruire dei servizi di telecomunicazione, la vendita al pubblico da parte di gestori autorizzati di "biglietti" relativi al trasporto pubblico urbano di persone".

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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