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Schettino si sfoga: “Sono stato trattato peggio di Bin Laden”

Il comandante intervistato da “La Stampa”, non ci sta ad essere additato ad unico responsabile della tragedia del Giglio: «Posso avere anche sbagliato ma quella notte non ero solo. Non mi diedero informazioni esatte».
A cura di Biagio Chiariello
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comandante schettino

E' passato quasi un anno dalla tragedia della Costa Concordia. Era la notte tra il 13 e 14 gennaio 2012 quando 32 persone persero la vita all'ombra del Giglio. Accusato di essere il responsabile dell’accaduto, oggi il comandante Francesco Schettino rilascia il suo sfogo in un’intervista al quotidiano La Stampa. Si dice stufo dell’immagine che gli è stata cucita addosso, delle dure accuse rivoltegli in questi dodici mesi, delle battute e delle barzellette sul suo conto: «Hanno ridicolizzato non solo 30 anni del mio lavoro, della mia esperienza in tutto il mondo, ma anche l’immagine del nostro Paese esposto alle critiche, spesso ingiuste, dell’intero pianeta». E si difende, sottolineando ancora una volta di non essere stato il solo a sbagliare le manovre e che con lui in plancia c'erano anche altre persone.

Per me l’ultimo anno è stato un anno di tormenti. Ed è un dolore sincero, dal profondo del cuore. Sono stato dipinto peggio di Bin Laden, mentre il mio rammarico per quello che è successo è enorme“.

Prova quindi a ricostruire i fatti di quella notte per i quali è accusato di omicidio plurimo colposo, abbandono della nave e disastro ambientale: «L'inchino? Tutti sapevano che per omaggiare l'isola si doveva passare più vicino. L'avevamo sempre fatto». Sui dubbi in merito all'inabissamento della nave  a così pochi metri dalla terraferma, spiega: «Guardi che anche la storia della navigazione turistica, del cosiddetto inchino all'isola, è tutto un fraintendimento. Avvicinarsi a 0,3 miglia era una pratica consolidata». E insiste sulla tesi molto discussa dello scivolamento sulla scialuppa: «Ma lei ha presente come si era inclinata la nave quella sera? – dice all'intervistatore -. Il calpestabile era diventato un muro e nella parte dove mi trovavo io era impossibile restare a bordo. Sarei finito sommerso: in quel modo sarei stato forse più utile? Non credo proprio».

Se Schettino è diventato il capro espiatorio del caso Concordia, un po' lo si deve anche a quella telefonata col comandante Gregorio De Falco: «Lui è un comandante di terra, io di nave. Sapevo quello che facevo» si limita a dire. Anzi, precisa che il suo comportamento non fu dettato dalla paura per le conseguenze dello schianto («ero calmo perché mantenevo i nervi saldi, perché è così che dev'essere un comandante»). Ci tiene poi a precisare comunque che non vuole «puntare il dito contro gli altri, ma quella sera non mi vennero fornite le informazioni fornite le informazioni esatte. Io posso avere pure sbagliato ma non ero solo» dice a La Stampa.

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