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Pompei, dallo sceicco al magnate gli investimenti promessi (e mai arrivati)

Pompei, il “Caravan Petrol” del ministro Franceschini: vuole stendere il tappeto rosso agli sceicchi del Kuwait interessati al recupero degli Scavi archeologici. Ma a quali condizioni, non si sa. Prima dei signori del petrolio tanti altri hanno manifestato interesse all’area. Ma alla fine nessuno ha mai sborsato un euro.
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«Canta Napoli, Napoli petrolifera!». Dopo il sogno dei campi di golf di cui dovrebbe essere pieno il Sud Italia per soddisfare i turisti americani, Dario Franceschini, ministro ai Beni Culturali del governo Renzi, giunge in visita agli Scavi di Pompei con un'altra sortita delle sue, il suo "Caravan Petrol", per dirla alla Renato Carosone. «Ho ricevuto l'Ambasciatore del Kuwait, lo sceicco Ali Kahled Al-Sabah – ha dichiarato Franceschini – Il loro interesse nei riguardi di Pompei è forte e sincero». E che vorranno i signori del petrolio? Investire su Pompei? Come, non si sa. Cosa vorranno in cambio? Nemmeno si sa. È certo che non si tratta di ricconi pronti a bruciare quattrini (se non per i loro piaceri) quindi, com'è ovvio, qualcosa in cambio la chiederanno. Cosa? Non è dato sapere. Di certo c'è che Franceschini vuole agevolare l'ingresso di capitali privati. Perché no. Il problema è che come al solito non si capisce bene chi siano gli interessati, cosa portino in dote e soprattutto cosa vogliano in cambio. «A quel punto non ci saranno più scuse – continua arrembante Franceschini –  i gruppi stranieri, così come le imprese italiane che in questi ultimi tempi hanno annunciato alla stampa la loro intenzione di sostenere Pompei, troveranno interlocutori certi e strumenti affidabili" afferma il ministro del governo Renzi». Per ora, dunque, si stende il tappeto rosso. Che arrivino poi i Re Magi o i Quaranta Ladroni lo scopriremo solo vivendo.

Gli investimenti privati a Pompei (che non sono mai arrivati)

C'è una cosa che Dario Franceschini ignora e che invece fa parte della storia recente di Pompei: gli annunci sparati a nove colonne e poi miseramente finiti nel vuoto. Delle promesse della politica circa i restauri e il recupero dell'area archeologica italiana più famosa al mondo abbiamo già scritto. Ma volendo, potremmo ripercorrere nella storia recente i vari annunci di fantomatici investitori, nababbi e magnati, «pronti a investire milioni d'euro» (o miliardi di vecchie lire) negli scavi archeologici. Nel 1998, l'allora sindaco di Pompei, Sandro Staiano, al New York Times che in un reportage si chiedeva giustamente perché un tesoro del genere venisse trattato come il peggiore dei problemi, spiegava di «star cercando 60 milioni di dollari da investimenti privati». Questi dollari, manco a dirlo, non si sono mai visti. Nel 2004 quando Bill Gates, il numero uno di Microsoft, venne in visita in Italia, volle visitare Pompei. E per settimane sui giornali si fantasticò di un interessamento del tycoon dell'informatica. Interessamento che era solo nelle fantasie di qualcuno, probabilmente. Nel 2008 l'ex spin doctor di Massimo D'Alema, Claudio Velardi, all'epoca assessore alla Cultura nella Regione Campania di Antonio Bassolino, sparò una serie di effetti speciali ad uso e consumo del settimanale statunitense Newsweek: «Pompei area archeologica per ospitare eventi»; «Pompei  location per set cinematografici». Poi, la proposta: «Potremmo anche aumentare le entrate offrendo a qualcuno come Google o Microsoft l'opportunità di usare il sito archeologico per un evento privato». L'allora assessore rivelò che c'erano numerose multinazionali interessate a pagare l'affitto «astronomico» di Pompei. Chi le ha viste?

E ancora: nel 2012 l'Unione degli Industriali di Napoli annunciava pomposamente che investitori privati erano pronti a puntare sull'area di Pompei al di fuori della mura della città antica una cifra pari a 300 milioni di euro per creare 5mila posti di lavoro. Il tempo di un lancio d'agenzia e due titoli sui giornali: tutta una farsa. Nel 2012 l'investitore c'era per davvero e aveva un nome: Epaseda della Défense, il più grande consorzio francese di multinazionali che aveva offerto, 200 milioni di euro per i restauri. L'affare sfumò miseramente per questioni di appalti e paura (della camorra e delle cricche, presumibilmente). Ci fu poi si lamentò (correva l'anno 2013) di non poter donare 20 milioni d'euro agli scavi «che stanno crollando» per motivi burocratici fu il costruttore Pietro Salini, oggi alla guida del gruppo Impregilo-Salini. "Non riesco a fare l'operazione" affermò. Non è stato mai chiarito successivamente se quei soldi pomposamente annunciati a mezzo stampa sono poi arrivati. E nel frattempo per il recupero dell'area vesuviana si sono spesi e si stanno spendendo milioni pubblici. Quelli sì, finiti nelle tasche di imprese private.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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