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Salvini: “Sto con i poliziotti, no al reato di tortura”. E Beccaria si rivolta nella tomba

Matteo Salvini contro il reato di tortura: “Le Forze dell’Ordine non sarebbero più in grado di svolgere il loro compito”. Ma non è la verità, Salvini cerca di raccogliere voti facendo leva sulle paure degli elettori.
A cura di Charlotte Matteini
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Salvini si oppone all'introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento. "La polizia deve fare il suo lavoro", dice lui. "Chiunque nel 2015 è contro la tortura, ma ci vuole libertà di azione assoluta per polizia e carabinieri. Chi sbaglia, paga ma il cosiddetto reato di tortura è un'idiozia che espone chi porta una divisa al ricatto dei delinquenti. E l'ultima cosa di cui ha bisogno l'Italia è ostacolare l'attività di poliziotti e carabinieri", sostiene. Insomma, il niet è netto. La tortura è sbagliata, ma niente reato di tortura in Italia. La polizia non riuscirebbe più a lavorare.
A sentire le sue dichiarazioni sembra quasi che Salvini sostenga che le Forze dell'Ordine debbano essere libere di torturare una persona in stato di fermo, che possano agire ponendosi al di sopra della legge.

Risale al 1984 la Convenzione contro la Tortura approvata dall'assemblea ONU e ratificata da 155 paesi del mondo, tra cui figura anche l'Italia. Questa Convenzione, all'articolo 1, stabilisce che: "Il termine «tortura» designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate" e la nostra stessa Costituzione, all'articolo 13, vieta inoltre "ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”.

Questa, secondo i trattati internazionali, è tortura. Una fattispecie di reato ben delineata da un documento di 13 pagine, che ben poco ha a che vedere con un ginocchio sbucciato o le manette troppo strette come più volte avrebbe lasciato intendere da Matteo Salvini, e che andrebbe introdotta nel nostro ordinamento sia al fine di distinguere il reato di lesioni semplici o aggravate da quello di tortura, che sarebbe per esempio immune dalla prescrizione per via della peculiarità e della gravità del tipo di reato, sia per evitare all'Italia un'altra sentenza di condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, come accaduto pochi mesi fa in relazione alla vicenda Diaz. Già ne "Dei delitti e delle pene", testo risalente al 1764, pietra fondante della cultura illuminista e giuridica italiana ed europea, si parla della tortura in questi termini: "Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società può toglierli la pubblica protezione, se non quando sia deciso ch'egli abbia violati i patti col quale fu accordata. Quale è dunque quel diritto, se non quello della forza, che dia la potestà ad un giudice di dare una pena ad un cittadino, mentre si dubita se sia reo o innocente? Non è nuovo questo dilemma: o il delitto è certo o incerto; se certo, non gli conviene altra pena che la stabilita dalle leggi, ed inutili sono i tormenti, perché inutile è la confessione del reo; se è incerto, è non devesi tormentare un innocente, perché tale è secondo le leggi un uomo i di cui delitti non sono provati", scrisse Cesare Beccaria riguardo all'inutilità dello strumento di tortura applicato agli interrogatori.

Insomma, a oltre tre secoli dalla morte di Beccaria, nel 2015, nel paese che da sempre è riconosciuto come la culla del diritto, ci ritroviamo a discutere e litigare sulla necessità o meno di introdurre in reato di tortura nel nostro ordinamento. Nonostante la ratifica, i ripetuti richiami internazionali e le condanne della Cedu, l'Italia non ha mai introdotto il reato di tortura nel Codice penale perché le opposizioni, da anni, sostengono quello che sostiene Salvini: le Forze dell'Ordine non sarebbero più in grado di svolgere il proprio lavoro perché qualsiasi delinquente potrebbe attaccarsi al reato di tortura per rovinare la vita a un poliziotto o un carabiniere che lo arresta con troppa veemenza. Ma stanno veramente così le cose? Decisamente no, visto che un poliziotto o un carabiniere che dovessero essere accusati di tortura, godrebbero delle stesse protezioni giuridiche stabilite dalla legge e l'accusa di tortura andrebbe sostenuta da prove certe, inconfutabili, insomma la condanna potrebbe essere comminata solo "al di là di ogni ragionevole dubbio". Delle due, l'una quindi: o chi sostiene che il reato di tortura impedirebbe alle forze dell'ordine di svolgere il proprio compito non ha idea di cosa sia la tortura, non ha mai letto la Convenzione e non ha idea di come funzioni la procedura penale in Italia, oppure dei diritti umani se frega e il sostegno al giustizialismo più bieco e del populismo viene visto come un'opportunità per raccogliere facili consensi, facendo leva sulle paure.

Nel primo caso, sarebbe vergognoso dover pagare lo stipendio a politici privi di qualsivoglia cultura in ambito giuridico, nel secondo caso proverei terrore e sdegno, perché arrivare a sostenere sia giusto calpestare la dignità umana per un pugno di voti in più, sarebbe davvero agghiacciante.

 

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