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Robot, reddito di cittadinanza, lavoro: di cosa dovrebbe parlare la sinistra in Italia

Il Pd si divide, la sinistra si scontra. Ma è solo una lotta di potere dove mancano i temi, i principi, le proposte. Eppure, i contenuti su cui scontrarsi sarebbero tanti. Per redistribuire la ricchezza, per tassare i robot, per riavvicinare la politica ai problemi delle persone.
A cura di Michele Azzu
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Nella sinistra italiana c’è oggi il più grande caos degli ultimi vent’anni. Fra l’ormai certa scissione all’interno del PD, politici influenti come Pierluigi Bersani che hanno lasciato il partito, il ministro Andrea Orlando e il presidente della Puglia Michele Emiliano che si sono candidati alla segreteria del partito contro Matteo Renzi. E fuori c’è la miriade di partiti di sinistra radicale che cerca nuove identità in vista di future elezioni.

Ma alla fine, in tutto questo caos, le idee quali sono? Le proposte, i programmi, su quali principi e metodi, soluzioni economiche e sociali si stanno scontrando questi politici? È la questione che sembra mancare del tutto dalla discussione di questi giorni. E la ragione è che aldilà delle lotte di potere individuali, di idee non ce ne sono, principi e soluzioni ancora meno.

Insomma, in questa guerra dei politici manca la politica. Mentre all’estero si discute di reddito minimo, di disoccupazione giovanile, di fine del precariato, mentre milioni di persone scendono in piazza in Europa e negli USA contro il razzismo dei governi – in particolare americano e britannico – in Italia la politica, ancora una volta, continua ad occuparsi solo di sé stessa.

Nel momento in cui avremmo un grande bisogno di politica, questa si conferma sempre più lontana dai problemi delle persone. Mentre i dati confermano il 40% di disoccupazione giovanile, mentre l’Oxfam spiega che perderemo 5 milioni di posti di lavoro a causa dei robot, e mentre perfino al meeting di Davos – quello dei più ricchi del pianeta – si parla della necessità di ridistribuire la ricchezza, ecco che a sinistra si pensa a tutt’altro.

Nessuno di questi problemi viene considerato dai nostri politici, che ora si scannano per il potere. E allora, vediamo su quali temi sociali, di diritti, ed economici la sinistra si sta concentrando nel resto d’Europa e negli USA.

TASSARE I ROBOT. La proposta è arrivata dal candidato alle presidenziali francesi – che si terranno il prossimo aprile – Benoit Hamon. “Dato che i robot rimpiazzeranno nei prossimi anni numerosi impieghi, l’idea è che debbano contribuire alla redistribuzione della ricchezza”, ha spiegato il politico francese. In pratica, sarebbe lo Stato a fissare una sorta di salario fittizio per i robot, su cui andrebbe applicata la tassa. L’idea è chiaramente un espediente più narrativo che altro: alla fine si tratta di far pagare alle aziende che acquisiscono ricchezze sempre maggiori impiegando però sempre meno persone, quelle tasse che verranno a mancare dalla perdita di milioni di lavoratori.

Perfino il magnate di Microsoft, Bill Gates, pochi giorni fa si è detto favorevole a questo provvedimento: “Le persone avranno più tempo per occuparsi di altre attività, come la cura degli anziani, migliorare l’educazione, aiutare i bambini con problemi”, ha spiegato in un’intervista a Quartz. Questi lavori che richiedono empatia umana, e non sarebbero dunque adatti ai robot secondo Gates, andrebbero finanziati proprio con la tassa sui robot. Che per il candidato francese Hamon, invece, servirebbe principalmente a finanziare il reddito di cittadinanza (di cui parliamo più avanti).

La questione della tassa sui robot, insomma, è più ampia dei robot, perché riguarda principalmente lo stato sociale, il welfare, e come nei prossimi decenni lo Stato potrà dare sostegno, servizi e reddito a milioni di persone che non avranno più lavoro con l’introduzione massiva dei robot. Secondo il recente studio del’’istituto McKinsey, il 50% dei lavori attuali sarebbero a rischio di essere rimpiazzati dai robot nei prossimi 20 anni. Sono 5 milioni di posti di lavoro secondo il WEF (world economic forum). E non si tratta solo di operai e autisti, ma anche di tanti lavori da ufficio, i cosiddetti “colletti bianchi” assieme alle tute blu.

LAVORO, CONTRATTI, SALARI. Fondamentale la questione sul lavoro, di cui non si intravede un barlume di discussione all’interno delle varie fazioni della sinistra italiana. Eppure ci sarebbe tanto da discutere e proporre. E ci sarebbe anche campo fertile, dato che esiste già una battaglia importante da affrontare nei prossimi mesi: quella del referendum della Cgil sull’abolizione dei voucher e sugli appalti. Ci sarebbe da ridiscutere tutto, ad esempio il fallimentare disegno sul lavoro del Jobs Act, che nonostante gli ingenti capitali regalati alle imprese, alla fine non ha prodotto più lavoro. O il programma Garanzia Giovani, anche questo non ha prodotto un singolo posto di lavoro.

Su una sostanziale riforma del lavoro contraria alla flessibilità e più improntata sulle tutele del lavoratore, ad esempio, si è basata la proposta del candidato socialista alle presidenziali francesi Benoit Hamon, che ha proposto di abbassare ulteriormente le ore di lavoro – dalle 35 attuali a 32 – e di cancellare definitivamente la riforma del lavoro (simile al Jobs Act di Renzi) introdotta dal premier Hollande e per cui i francesi hanno protestato per mesi nelle piazze del paese. Nel Regno Unito, invece, il leader radicale del partito democratico Jeremy Corbyn ha sostenuto la cancellazione dei contratti “a zero ore”, simili ai nostri contratti a chiamata, già aboliti in Nuova Zelanda nel 2016, e alla reintroduzione della contrattazione collettiva in 250 aziende del paese.

REDDITO DI CITTADINANZA. Fra le proposte di cui si sente parlare più spesso nel dibattito politico estero oggi, c’è senza dubbio quella del reddito di cittadinanza (che in Italia è portata avanti dal M5S). La questione riguarda l’impoverimento progressivo del ceto medio, degli operai, e l’alta disoccupazione giovanile e precariato diffuso, ormai giunti a livelli fuori controllo in grande parte dell’Unione Europea, ma in particolare modo in Italia. Con le prospettive riguardanti l’automazione, e come si diceva i milioni di posti di lavoro che verranno a mancare nei prossimi decenni per via dei robot, l’establishment inizia a chiedersi dove prenderà i soldi delle tasse di tutti quei lavori che non esisteranno più.

Ancora più preoccupante è la questione di dove tutte queste persone – e non parliamo solo di precari e lavoratori ma anche di ceto medio – potranno ricavare un reddito. Da qui la proposta sul reddito di cittadinanza. E quella che fino a pochissimo tempo fa sembrava un’utopia, ora è una misura che viene considerata seriamente da politici e governi di destra e sinistra in tutto il mondo. In Finlandia è già in corso il primo esperimento sul campo di reddito di cittadinanza, il programma UBI che coinvolge circa 2.000 persone. Che ora ricevono 560 euro al mese, cumulabili anche con i contributi all’affitto e perfino con piccoli redditi da lavoro a tempo.

I finlandesi si sono preoccupati perché il loro tasso di disoccupazione ha raggiunto l’8%, e quelli giovanile il 20%, su un paese di 5 milioni di persone. Ma allora, perché in un paese come l’Italia dove su 60 milioni di cittadini abbiamo il doppio della disoccupazione giovanile e il 12% di disoccupazione generale, ancora non si comprende la necessità di studiare nuove forme di reddito? In Olanda nei prossimi mesi si lancerà un programma simile a quello finlandese, con sussidi fra gli 800 e 1.300 euro al mese. E anche il candidato socialista francese Benoit Hamon ha discusso nel suo programma di governo un reddito di cittadinanza di 750 euro al mese.

LA VERA QUESTIONE POLITICA È DISEGNARE UN NUOVO MODELLO ECONOMICO. Tutti i punti discussi finora, dal lavoro ai contratti, alla precarietà, alla disoccupazione giovanile, all’impoverimento del ceto medio e alla tassa sui robot, ci portano alla fine sempre sullo stesso punto: la necessità di ridisegnare il modello economico attuale, che ormai non solo genera poca crescita e benessere, ma non è capace di distribuire la ricchezza. I ceti medi si sono impoveriti e ristretti in tutta Europa e negli USA, si è rotto il meccanismo della mobilità sociale, e le giovani generazioni sono sostanzialmente più povere dei loro genitori e nonni.

“La dura realtà”, ha detto il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, “è che la globalizzazione ha ridotto considerevolmente il potere contrattuale dei lavoratori e le aziende se ne sono approfittate”. Secondo l’ultimo rapporto di Oxfam, attualmente le 8 persone più ricche del pianeta hanno la stessa ricchezza dei 3 miliardi e mezzo di persone più povere. L’anno precedente anziché 8 queste persone erano 62. Di anno in anno, insomma, la più grande ricchezza si è concentrata nelle mani di sempre meno persone.

E le prospettive diventano di gran lunga peggiori se si pensa ai milioni di posti di lavoro che si perderanno per via dei robot: si passerà dalla precarietà alla reale impossibilità di accedere perfino ad un’occupazione precaria e misera. Ma il reddito di cittadinanza: “Può essere un grande strumento di redistribuzione”, dice il francese Hamon, e perfino al recente meeting di Davos il presidente del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde ha detto: “Dobbiamo fare di più per ridistribuire la ricchezza”.

Di queste cose dovrebbe occuparsi la politica, e la sinistra oggi. Perché i problemi ormai sono chiari, e ci sono perfino alcune soluzioni all’orizzonte che potrebbero cambiare già tanto: il reddito di cittadinanza, nuovi provvedimenti sul lavoro e per i giovani, la tassa sui robot. Di questo si sta occupando la politica all’estero, su questo le nostre vite si troveranno, politica o meno, a dover fare i conti nei prossimi anni e decenni. Su questo la politica dovrebbe discutere e litigare, e magari se è necessario scindersi e fondare nuovi progetti.

E invece no, ancora ci tocca assistere alla politica che parla solo di sé stessa, al PD con mille leader e correnti e movimenti e non uno che discuta di temi reali, importantissimi, decisivi per le vite dei lavoratori, dei giovani, dei cittadini. E così, oltre alla povertà e alla paura, si allarga ancora il divario fra persone e politica.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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