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Rio 2016, Bolt e gli altri dei dell’Olimpo dei Giochi

Bolt conquista per la terza volta di fila 100 e 200 ai Giochi. E’ l’uomo copertina di Rio 2016. Con lui Michael Phelps, Katie Ledecky e Simon Biles. Senza dimenticare Teddy Riner, il judoka che non perde mai, e la coppia d’oro del ciclismo su pista: Trott e Kenny.
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Bolt nella leggenda. Il giamaicano trionfa anche nei 200 in 19.78. Non arriva il tempone, ma la pioggia rovina grip e tempi. Secondo l'ottimo De Grasse, già bronzo nei 100. Al fotofinish Cristophe Lemaitre risorge e strappa il bronzo al delusissimo Gemili. La domanda a questo punto non è più procrastinabile: la terza doppietta consecutiva 100-200 alle Olimpiadi quanto vale rispetto ai quattro ori consecutivi di Oerter, Lewis e Michael Phelps?

The last goodbye -L'uomo che ha vinto più medaglie nella storia delle Olimpiadi moderne, ha salutato in lacrime. Si è commosso, Phelps, con il piccolo figlio Boomer, lui che ha accettato anche di perdere, ha accettato paure e debolezze, ma non accetterà mai di essere un cattivo papà visti le storie tese col suo, di padre. Ha chiuso con l'oro numero 23 nella staffetta mista che firma il nuovo record olimpico. Ha chiuso con sei medaglie, come ad Atene, quando ha iniziato a diventare lo Squalo di Baltimora. Non lascia il mondo del nuoto, però.

Phelps, tornato nella luce dei trionfi un'icona degli Stati Uniti del mondo allenerà, come volunteer assistant coach, la squadra di nuoto dell'Arizona State University, la più grande università pubblica americana. Cancellata l'immagine dei selvaggi party delle fraternities, incarna oggi la visione della New American University, un fiore all'occhiello per qualità accademica e livello della ricerca. Con questa mossa, il presidente Michael Crow punta a perfezionare ancora il modello. Mal che vada, si è garantito comunque il boom di iscrizioni.

Ledecky show – Ma a Rio c'è chi ha saputo rubare la scena al “cannibale”: Katie Ledecky che ha centrato la tripletta 200-400-800 stile libero e ha frantumato il record del mondo sulla distanza più lunga. È tornata a casa con lo stesso palmares di Phelps, con l'oro nella 4×200 e l'argento nella 4×100. Sugli 800, di fatto, corre solo contro se stessa e contro la progressione virtuale del record del mondo. Corre contro la storia, eguaglia Debbie Meyer, unica donna ad aver vinto tre ori olimpici individuali prima di lei. E può fregiarsi di appartenere a un altro club molto esclusivo. È uno dei soli 35 profili che Bruce Srpingsteen, di cui è grande fan grazie a suo padre, segue su Twitter. Welcome to Lucky Town.

Golden couple – A Rio ha trionfato l'amore, che ai tempi delle Olimpiadi ha assunto forme diverse. L'argento di Rachele Bruni per la compagna diletta. La proposta di matrimonio direttamente sul podio per He Zi (argento nei tuffi), il trionfo di quella che con poca fantasia i giornali inglesi hanno ribattezzato “golden couple”. Ma è l'unica etichetta possibile per i Posh and Beck del ciclismo su pista.

Lei, Laura Trott, è la britannica più medagliata di sempre ai Giochi. Lui, Jason Kenny, erede di Hoy e Wiggins, a Rio ha vinto tre ori ((keirin, velocità individuale e a squadre): fanno dieci in totale in due. Si sono conosciuti nel 2010, ma galeotto fu il bacio a Londra 2012 durante un incontro di beach volley. “Ho capito che fra loro c'era qualcosa quando mi ha detto; porto Laura a casa per un bacon butty” ha raccontato alla Reuters Lorraine, la madre di Kenny. Laura le è piaciuta subito, Jason le ha chiesto di sposarla sul divano di casa, mentre guardavano Eastenders. Il ménage familiare ha regole e spazi precisi: lei rifornisce la dispensa di cioccolato, lui cucina l'arrosto. Insieme fanno sognare la Gran Bretagna. E già guardano a Tokyo 2020.

Teddy bear – Nel Brasile delle contraddizioni che festeggia per il trionfo da favola di Rafaela Silva, dalla favela al gradino più alto del podio, il judo consegna alla storia l'oro di Teddy Riner, otto volte campione del mondo e per la seconda volta di fila campione olimpico. “Teddy Bear”, il gigante da 137 chili che ha portato con orgoglio la bandiera francese alla cerimonia d'apertura, non perde mai da sei anni, dal verdetto contestatissimo contro Kamikawa ai Mondiali 2010: non subisce un ippon (il ko del judo) da quando aveva 18 anni.

“Quale sarà il mio posto nel judo” diceva alla vigilia. “lo saprò quando avrò smesso”. Voleva il secondo oro per togliersi l'ombra leggendarua di David Douillet, il più forte di sempre. E se n'è liberato alla sua maniera. Cresciuto nella banlieu di Parigi da genitori di Guadalupe, che di sacrifici ne han fatti tanti per permettergli di inseguire un sogno, Riner è una star della pubblicità e ha presentato un documentario sulla sua vita, “All'ombra di Teddy Riner”, al festival di Cannes. “Teddy è proiettato sui prossimi Giochi” profetizza Douilet. “Sa che un oro conta per il giorno in cui lo vinci, e domani nessuno più se ne ricorderà”. Ha cambiato il suo sport, ha lasciato il calcio perché vuole vincere o perdere da solo. Ha reso il suo motto una regola di vita e di sport: “Non esiste avversario che non puoi battere”.

Biles da record – Riner ha rimesso al centro del dibattito la questione della razza. Ancor di più dopo le meraviglie di Simon Biles, la farfalla che ha illuminato di magia le finali di ginnastica artistica, quarta donna born in Usa dopo Amy Van Dyken, Missy Franklin e Katie Ledecky capace di portarsi a casa quattro ori in una stessa Olimpiade. ““Non sono la nuova Bolt o la nuova Phelps, sono la prima Simon Biles” ha detto: sarà la frase simbolo di Rio 2016. Con il suo metro e 45 centimetri per 47 chilogrammi, ha conquistato tutti. Eppure nulla di tutto questo sarebbe successo se un'operatrice del servizio sociale non avesse chiamato nonno Ron, ex controllore del traffico aereo, in Texas perché si prendesse cura della piccola Simone, cresciuta per tre anni con una mamma drogata e alcolizzata. Ron e la sua compagna Nellie, originaria del Belize, l'hanno adottata. E il resto è storia, come il regalo più bello per un'Olimpiade da favola: il bacio di Zac Efron.

Manuel nella storia – Da Simone a Simone, poi, il passo è breve. Simone Manuel ha scritto la storia del nuoto, è il primo afroamericano a conquistare un oro in vasca. Accolta al George Bush Intercontinental Airport con tanto di banda e ballerini, ancora non riesce a realizzare di essere diventata un esempio. Anche di quanto sia grande la distanza fra l'America dei bianchi e l'America degli altri. Una distanza che il San Jose Mercury News ha riassunto col titolo più discusso di Rio: “Phelps condivide una notte storica con un'afro-americana”. Manuel è più sensibile alle questioni razziali di Biles, che ha messo questo aspetto in secondo piano nella sua narrazione. Manuel è il punto di non ritorno di una storia iniziata negli impianti separate ma uguali degli anni Cinquanta, nell'acido che il proprietario di una piscina di Augustine, Florida, sciolse nell'acqua nel 1964 per allontanare protestanti bianchi e neri in cerca di uguaglianza.

Una distanza, quella fra le due Americhe, che nella scherma ha provato a colmare Ibtihaj Muhammad, una donna di colore impegnata nelle prove di sciabola, il primo musulmano a rappresentare gli Stati Uniti.

Le prime volte – È anche l'Olimpiade delle prime volte. Il primo oro di Figi, con il trionfo per 43-7 sui maestri della Gran Bretagna nel rugby a sette, festeggiato da migliaia di persone nella capitale Suva. La prima volta dell'inno kosovaro che ha suonato per Majlinda Kelmendi, judoka di 25 anni a Londra sul tatami per l'Albania: alle note di Evropa, Kelmendi non è riuscita a trattenere le lacrime. «Avevo a lungo sognato questo momento – ha aggiunto la judoka -, rifiutando anche moltissime offerte e ingaggi milionari da altri Paesi che volevano che io gareggiassi per loro. Ma tutti i milioni del mondo non sarebbero stati sufficienti a farmi sentire come mi sento io oggi».

Se Monica Puig ha dato a Porto Rico il primo oro nel tennis (e Javier Culson ha rovinato l'attesa per un bis da leggenda con la falsa partenza in finale sui 400 ostacoli), è lo shooting center a regalare le grandi storie. Xuan Vinh Hoang, che si era imposto in Coppa del Mondo nel forte militare Usa di Fort Benning, regala il primo oro al Vietnam. E il kuwaitiano Fehaid Al-Deehani ha conquistato il primo per un atleta indipendente: la sua federazione infatti è stata squalificata dal CIO per interferenze politiche. Anche questo racconta il vero motto coubertiniano, ben diverso dal semplicistico “l'importante è partecipare”. Quel che conta, diceva, non è solo vincere ma essersi ben battuti. Quando poi i due aspetti si uniscono, si fa la storia.

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