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Reggio Emilia: marocchina offre la doccia a italiani e migranti senza acqua calda

La marocchina, in Italia da 33 anni, ha offerto la sua doccia a centinaia di persone a cui la Iren, società che eroga il gas metano, ha chiuso i contatori per morosità nei pagamenti.
A cura di Davide Falcioni
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Khadija Lamami è una ragazza di Reggio Emilia di origine marocchina e – proprio mentre incalzano le discussioni sull'immigrazione – ha avuto un'idea originalissima: quella di offrire una doccia calda ai residenti di via Turi, sia italiani che stranieri, a cui la Iren, società di erogazione del gas metano, ha staccato i contatori da più di un mese e mezzo: “Ho ricevuto tanto da questa città, da quando, oramai 33 anni fa, accolse me e la mia famiglia – ha scritto sul gruppo di Facebook "AAA Doccia Calda Offresi", che in pochi giorni ha registrato oltre un centinaio di iscritti – Grazie al modo in cui sono stata accolta oggi sono una persona che vuole, che sente come suo dovere, restituire quanto ricevuto alla sua comunità”.

L'iniziativa è partita ad aprile, da quando 397 famiglie si sono ritrovate senza acqua calda e riscaldamento a causa della morosità nei pagamenti delle bollette. La multiutility, dopo numerosi solleciti, ha deciso di passare alle soluzioni drastiche, staccando le erogazioni di gas a moltissime famiglie e lasciando ben 1.200 persone senza la possibilità di adoperare acqua calda. A farne le spese, tuttavia, non sono stati solo gli utenti morosi, ma anche quelli che hanno sempre pagato il dovuto. Iren e amministrazione comunale infatti hanno bloccato impianti condominiali usufruiti da tutti.

In breve tempo la situazione si è fatta difficilissima: mentre molti si arrangiavano come potevano, tantissimi sono rimasti senza riscaldamento e acqua calda. Ed è qui che Khadija Lamami, 35enne arrivata da bambina a Reggio Emilia dal Marocco, si è fatta avanti, offrendo una doccia calda a chi ne avesse bisogno: "Spero che questo mio gesto serva a dimostrare che chi viene accolto bene, poi restituisce il bene – spiega al Fatto Quotidiano.it – Quando ho saputo dei distacchi, mi sono detta che questa non era la città che ha accolto me e la mia famiglia 33 anni fa, e ho deciso di fare qualcosa”. la giovane racconta: “Quelli che hanno bisogno mi telefonano e vengono qui se non riescono ad andare da famigliari o amici – continua – Con altre persone ci siamo organizzati per essere di aiuto in questa situazione di disagio, anche se è il Comune che dovrebbe dare delle risposte diverse. Gli amministratori devono essere attenti ai loro doveri. La Reggio Emilia che ricordo da bambina è quella dove per ogni problema c’era come risposta un ‘ci penso io’, una mano tesa. Non so se i bambini che adesso vivono in via Turri da grandi potranno dire la stessa cosa. Il rischio è che tra dieci anni, di fronte a tutto ciò, scelgano la via della violenza e non della convivenza”.

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