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Reati 2.0: da stalking alle molestie su Facebook, i giudici saranno più severi

Diffamazione sui social network, password rubate e falsi profili. Si sta consolidando sempre più la giurisprudenza sugli illeciti commessi via internet, come evidenzia un articolo de Il Sole 24 Ore.
A cura di Biagio Chiariello
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Negli ultimi tempi la giurisprudenza sui reati commessi nel web si è consolidata e diventata più dura, anche sulla scia delle numerose querele che negli ultimi anni hanno  invaso le Procure italiane. Dalle molestie, allo stalking, passando per la diffamazione sui social network, i giudici hanno adottato un approccio più severe nei confronti dei crimini 2.0.

Il Sole 24 Ore ha pubblicato una lista delle “sei cose da non fare via web”.

Molestie

Il reato di molestie è configurabile a mezzo Facebook, in quanto il social network rappresenta un «luogo aperto al pubblico», in base all'articolo 660 del Codice penale. I commenti a sfondo sessuale postati sulla bacheca della vittima in modo costante e petulante, se idonei a recare disturbo o a mutare le abitudini di vita, possono ritenersi molestie penalmente rilevanti

Cassazione, sezione I penale, sentenza 37596 del 12 settembre 2014 

Falso profilo

Creare un falso profilo su un social network integra il reato di sostituzione di persona perché il dolo specifico previsto dalla norma è rappresentato dal soddisfacimento di una propria vanità (vantaggio non patrimoniale) o dall'altrui danno (arrecato alla persona cui si sottrae l'identità). Commette lo stesso reato chi apre un account mail sotto falso nome, inducendo in errore gli utenti della rete
Cassazione, sezione V penale, sentenza 25774 del 16 giugno 2014

Diffamazione

Scatta l'ipotesi di risarcimento del danno per diffamazione aggravata quando la notizia pubblicata sul web non è aggiornata (con l'eventuale sentenza di assoluzione) e lede la reputazione dell'interessato. In questo caso si tratta di diffamazione aggravata in base all'articolo 595, comma 3, del Codice penale e non aggravata secondo la legge sulla stampa (legge 62/2001)
Cassazione, sezione III civile, sentenza 18174 del 25 agosto 2014

Password rubata

Denunciare il furto della propria password di Facebook non salva da una eventuale condanna per diffamazione. Anche se sono trascorsi più di 60 giorni dalla pubblicazione dell'offesa (termine previsto negli Usa per conservare i file di log), le offese e l'identità dell'autore del reato possono essere provate con mezzi tradizionali, senza che basti invocare un eventuale furto della password per escludere la responsabilità
Cassazione, sezione V penale, sentenza 18887 del 7 maggio 2014

Link

Non costituisce diffamazione linkare sul proprio sito un articolo offensivo scritto da altri, in quanto la creazione di un link non può portare a inglobare quel documento diverso nella propria pagina web. Chiunque nel nostro ordinamento dev'essere responsabile o perché ha scritto il pezzo a suo nome o perché ha scritto un dossier anonimo, ma non perché rinvia ad un articolo scritto da terzi
Tribunale di Genova, sezione II, sentenza del 12 marzo 2014

Fotografie

Anche se il fatto non costituisce reato perché non lede l'onore o la reputazione della persona ritratta, quest'ultima può adire il giudice con ricorso d'urgenza (articolo 700 del Codice di procedura civile) per ottenere la rimozione della foto postata da altri online.
Così in caso di separazione tra coniugi, il marito ha il diritto di chiedere la rimozione della foto postata dalla moglie: il consenso alla foto non equivale a quello alla pubblicazione
Tribunale di Napoli, ordinanza 12749 del 31 luglio 2014

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