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Opinioni

Scopri quale contratto precario sei

Ci sono le modifiche ai contratti a termine e all’apprendistato contenute nel decreto lavoro, diventato legge il 15 maggio. O l’annunciata flessibilizzazione del tempo indeterminato. Il co.co.pro, la partite iva: c’è un contratto per ognuno di noi. Scopri qual è il tuo.
A cura di Michele Azzu
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AP Photo/LaPresse (Jens Meyer)
AP Photo/LaPresse (Jens Meyer)

Vi siete appena diplomati? Avete appena concluso la laurea triennale o magistrale e iniziate ora a cercare lavoro. Allora è meglio che sappiate che i tempi del posto fisso sono finiti.  E non torneranno. Col decreto lavoro di Matteo Renzi, diventato legge lo scorso 15 maggio, il contratto di apprendistato viene liberalizzato, e ora ci si potrà fare anche il bagnino. Il contratto determinato, invece, diventa “acausale” e lungo tre anni. Significa che per tre anni, il datore di lavoro, non dovrà spiegarti perché non ti assume davvero.

Il vecchio contratto a tempo indeterminato – la vera e propria assunzione – andrà flessibilizzato per potere competere col determinato. È quello che dicono il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi e il senatore Pietro Ichino. Il mondo dei contratti cambia, in fretta. Ma per i più ostili alle novità c’è sempre la partita Iva, o il contratto a progetto (co.co.pro). Non temete, ragazzi, esiste di sicuro un contratto precario che fa per voi. Ecco una rapida guida.

• IL CONTRATTO DETERMINATO: “Non è un contratto precario”.
I contratti a termine raggiungono la durata massima di tre anni, e all’interno di questo periodo potranno avere un massimo di 5 rinnovi consecutivi. Insomma, si potranno avere 5 contratti della durata di 7 mesi ciascuno, di fila. I sindacati lanciano l’allarme precariato, eppure per il ministro del lavoro Giuliano Poletti è esattamente l’opposto: essendo più lungo il contratto (da uno si passa a tre anni) si è meno precari. Questo contratto, inoltre, diventa “acausale”: il datore di lavoro non deve più spiegarci perché si viene assunti per “tot” mesi, anziché a tempo indeterminato. E le sanzioni contro gli abusi? Le aziende che sforano il tetto del 20% di dipendenti a termine avranno come sanzione, anziché l'obbligo ad assumerli, una semplice multa amministrativa. Sempre che il contratto collettivo stipulato coi sindacati non sia più favorevole.

Consigliato: a chi per vivere non necessita di una causa.

• IL TEMPO INDETERMINATO: “Non è abbastanza flessibile”.
È la vera e propria assunzione di una volta, quella che per licenziarti serve la “giusta causa” (l’articolo 18). Ma non lo fa più nessuna azienda: costituisce solo il 16.1% di avviamenti nel IV° trimestre del 2013 (fonte: ministero del lavoro). A fronte di un quasi 70% di contratti determinati. Come cambierà? "Occorre ripensare con coraggio il modello del contratto a tempo indeterminato, in modo che le imprese siano incoraggiate ad utilizzarlo", afferma il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. Con lui anche il senatore Pietro Ichino: “L’unico modo in cui si può ridare uno spazio alle assunzioni a tempo indeterminato consiste nel rendere anche questa forma di contratto molto più flessibile”. Quindi, se da una parte abbiamo i contratti flessibili, dall’altra i contratti non flessibili andranno resi flessibili, perché non più appetibili. Alla fine avremo solo contratti flessibili.

Consigliato: a chi ha i parenti e gli amici giusti.

• IL CONTRATTO UNICO: “Non è veramente unico”.
Si tratta del nuovo contratto che verrà introdotto dal governo Renzi una volta convertita in legge il disegno di legge delega sul lavoro – il Jobs Act – ora all’esame del Senato. In realtà potrebbero volerci mesi, forse un anno, perché l’iter si compia, e nel frattempo il “disegno” può cambiare innumerevoli volte. Il contratto unico, per quanto ne sappiamo ora, dovrebbe consistere nel contratto a tempo indeterminato liberalizzato. Senza più la clausola della “giusta causa”, il tanto odiato (dalle imprese) articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che portava azienda e dipendenti in tribunale. Tuttavia, spiega Pietro Ichino, non si tratta veramente di contratto unico: “No, perché ‘contratto unico’ implicherebbe la soppressione di tutti i tipi di contratto alternativi”. Invece tutti gli altri rimangono. Meno male, perché se un datore di lavoro vuole affamarti a tempo determinato, o affamarti di più con contratto a progetto, deve avere la possibilità di scegliere.

Consigliato: a chi va a mangiare da Eataly.

• L’APPRENDISTATO: “Non serve più a nulla”.
Il contratto di apprendistato doveva servire per formare il nuovo dipendente tre anni in vista della futura assunzione, con consistenti sconti alla contribuzione (la tua futura pensione) da parte dell’azienda. Ora, col decreto lavoro il piano formativo scritto dell’apprendista verrà semplificato. Si introduce la possibilità di apprendisti anche per il lavoro stagionale (di brevissima durata). E il tetto del 20% relativo alla stabilizzazione di una quota di apprendisti varrà solo per le aziende con oltre 50 dipendenti (ma questo limite scompare negli enti di ricerca e nelle aziende con meno di 5 dipendenti). L'onere della formazione dell'apprendista passa alla Regione: se entro 45 giorni questa non fornisce “modalità e svolgimenti” con calendario, non se ne potrà fare carico l'impresa. Insomma, l’apprendistato non servirà più a formare un dipendente, servirà a far lavorare dei simil-dipendenti con un forte sconto sui contributi (per l’azienda). Ti interessa imparare? Pagati un master all’estero. Poi, già che ci stai, rimani là.

Consigliato: a chi ha finito tutti i rinnovi a tempo determinato.

• IL CONTRATTO A PROGETTO: “Non hai alcun diritto”.
Il contratto a progetto, meglio noto con la sua sigla co.co.pro è una delle più grandi aberrazioni che il diritto del lavoro conosca. Contratti brevissimi in vista di un “progetto” che troppo spesso non esiste, è una delle tante maniere di far fare a un precario il lavoro che farebbe un dipendente, ma pagato un terzo. E senza ferie, senza contributi, senza malattia, non parliamo di maternità. Il discorso è semplice: se lavori 8-12 ore al giorno in una postazione, con delle mansioni assegnate (sì, anche progetti) sei un dipendente. Se lavori coi tuoi orari, fuori dall’azienda, e in base alla tua iniziativa sei un autonomo, e dovresti aprire la partita Iva. Ma non ci pensate, questa è pura dissertazione. Il co.co.pro è più che valido, per farsi sfruttare.

Consigliato: a vegetariani, vegani, anoressici.

• LA PARTITA IVA: “Non hai i soldi per pagare le tasse?”.
Il bello di aprire la partita Iva è che, quando lo fai, non hai ancora idea del delirio che dovrai affrontare per sopravvivere nella burocrazia italiana. Non hai idea di quanto dovrai pagare un commercialista, che probabilmente non ti spiegherà nulla. Non hai idea di quanto davvero si prende lo Stato con le tasse, perché non hai fatto bene i conti, perché nessuno ti aveva spiegato che devi fare molti costi altrimenti sei fregato. Perché non ti avevano spiegato che oltre le tasse dell’anno in corso devi pagare l’acconto delle tasse dell’anno successivo (sì, anche se metà delle fatture dopo sei mesi non te le hanno ancora pagate). Ecco, la partita Iva è divertente, perché se avessi idea di tutto questo non la apriresti mai. Ogni giorno hai nuove soprese.

Consigliato: a chi ama l'avventura e ai fessi.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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