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Quarantasei anni fa l’omicidio Pietro Scaglione, il primo giudice ucciso dalla mafia

Pietro Scaglione, procuratore della Repubblica di Palermo è stato assassinato il 5 maggio del 1971 insieme al brigadiere Antonino Lo Russo, che gli faceva da scorta. L’assassinio del giudice che indagò sui Corleonesi è il delitto che apre la guerra tra mafia e Stato, sancendo un cambiamento culturale e strategico senza precedente nel codice di Cosa Nostra.
A cura di Angela Marino
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L'omicidio del procuratore Pietro Scaglione è il primo delitto della guerra tra mafia e Stato. Mai, prima del 5 maggio 1971, Cosa nostra aveva osato tanto. Quella del giudice che scoperchiò i segreti dei Corleonesi sarà la prima di una lunga serie di toghe sporche insanguinate, fino ad arrivare alla strage di Capaci e all'omicidio di Paolo Borsellino.

Il delitto

La mattina del 5 maggio 1971, Scaglione è appena uscito dal cimitero dei Cappuccini, dove va ogni giorno a pregare sulla tomba della moglie Concettina Abate, da quando un male incurabile se l'è portata via. Avrebbe dovuto accompagnarlo anche suo figlio Antonio, 32 anni, assistente di Diritto penale, ma quel giorno una sessione d'esami lo ha richiamato all'università. È solo con il brigadiere lo Russo quando esce dal cimitero e sale nella sua Fiat 1300 nera per andare a lavoro, quando una ‘850' bianca sbuca all'improvviso affiancandosi all'auto del procuratore di Palermo. Poco dopo una voce anonima telefona ai carabinieri: "Ci sono due uomini coperti di sangue su un'auto in via dei Cipressi". Quando i carabinieri accorrono nella strada del cimitero di Palermo, trovano i cadaveri di Pietro Scaglione, procuratore della Repubblica di Palermo e del brigadiere Antonino. In quella strada,  un tempo roccaforte del boss Gaetano Filippone, nessuno ha visto niente, nessuno parla. Di fronte al punto in cui è avvenuta la sparatoria abita Rosa Badalamenti, ma anche lei non ha visto niente.

Le indagini

Il delitto fa un'enorme impressione. I giornali riportano indiscrezioni secondo le quali proprio il procuratore avrebbe favorito la fuga del boss  Luciano Liggio, detto ‘Lucianeddu' mettendo in discussione l'operato del giudice alla Procura di Palermo. Tali voci si riveleranno poi del tutto infondate. Proprio nella ingiustamente discussa attività decennale del magistrato era da ricercare il movente dell'atroce assassinio. Dagli esordi della sua carriera Pietro Scaglione si era occupato di temi scottanti, dagli omicidi dei sindacalisti Placido Rizzotto e Salvatore Carnevale, passando per la strage di Portella della Ginestra fino alla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, sulla quale indagava negli anni che precedettero la sua morte. Non solo. Il giudice di Palermo fu il primo a decifrare gli affari dei Corleonesi e a individuare le connessioni sotterranee tra mafia e politica.

Un cambiamento culturale

"È il tempo del cosiddetto braccio di ferro tra l’alto magistrato e i politici – scriverà Mauro Francese – il tempo in cui la “linea” Scaglione portò ad una serie di procedimenti per peculato o per interesse privato in atti di ufficio nei confronti di amministratori comunali e di enti pubblici”. Anche Mauro Francese morirà nel 1979, 8 anni dopo l'omicidio di Scaglione. Lo uccisero per fermarlo, per punirlo anche, ma più ancora per lanciare un messaggio preciso: per fermare lo Stato basta una rivoltella. Per arrestare un'indagine basta una sventagliata di mitra. Una triste verità che giudici come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, avrebbero saggiato sulla loro pelle. L'omicidio del procuratore rimase insoluto per lungo tempo, fino a quando il superpentito Tommaso Buscetta, nel fiume delle dichiarazioni rese nella sua storica collaborazione con la giustizia, non farà un nome. Luciano Liggio, Lucianeddù, il boss di cui era accusato di aver favorito la latitanza si rivela essere il mandante di via Cipressi. Per capire in che contesto maturerà l'omicidio della prima vittima eccellente, è necessario capire chi è la ‘primula rossa di Corleone'.

‘Lucianeddu'

Leggio fu introdotto negli ambienti mafiosi giovanissimo da suo zio Luca. Ben presto la sua natura sanguinaria venne fuori facendo di lui un feroce pluriomicida. Il 2 agosto 1955 ordinò l'eliminazione del boss Navarra, di cui prese il posto, diventando signore indiscusso del territorio di Corleone. Fu arrestato nel 1964 proprio a Corleone nella casa di Leoluchina Sorisi, la fidanzata di Placido Rizzotto, il sindacalista che Liggio uccise sedici anni prima. Fu assolto con formula dubitativa nel processo sulla prima guerra di mafia. Dopo l'assoluzione in quel processo, Liggio, sulla cui testa pendeva comunque un ergastolo, si ricoverò in una clinica a Roma – dove era piantonato –  per una infezione ai reni. Da lì sparì, dando inizio alla latitanza che gli avrebbe guadagnato il nome di "primula rossa di Corleone". Scaglione, allora, mandò al al confino, sia pure per brevissimo tempo, la sorella nubile del boss che non era mai uscita da Corleone in vita sua. Questo il motivo di un astio personale che avrebbe indotto il boss latitante a ordinare l'eliminazione del giudice. Un motivo che si affianca alla volontà di fermare la macchina dello Stato, di colpirla, di sancire un cambiamento culturale senza precedenti.

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