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Quanto è buona la patata: dal Perù alla Spagna, come è diventato uno dei cibi più amati

Dalle famose “Fish and chips” inglesi alle “French Fries”, la patata è sicuramente una delle protagoniste della cucina europea, eppure non sempre ha fatto parte del nostro patrimonio gastronomico. Fecero il loro ingresso sul continente all’indomani della scoperta dell’America, dando avvio al cosiddetto “scambio colombiano”.
A cura di Laura Di Fiore
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Dalle famose “Fish and chips” inglesi alle “French Fries” ai piatti tipici irlandesi, la patata è sicuramente una delle protagoniste della cucina europea, nonché il contorno generalmente preferito da adulti e bambini alle sane e consigliatissime verdure. Eppure le patate non hanno sempre fatto parte del patrimonio gastronomico europeo. Esse appartengono a quella serie di prodotti che fecero il loro ingresso sul continente all’indomani della scoperta dell’America, dando avvio al cosiddetto “scambio colombiano”.

Con questa espressione ci si riferisce generalmente al processo di omogeneizzazione biologica del mondo che si accompagnò alla scoperta del Nuovo Mondo, allorché piante, animali e batteri viaggiarono da una sponda all’altra dell’Atlantico trasformando radicalmente l’assetto biologico (ed epidemiologico) del globo. Tra i prodotti sconosciuti in Europa che giunsero dall’America vi fu appunto la patata.

Presente nel continente americano fin dal II millennio a.C., fece il suo incontro con gli spagnoli in Perù, nel 1539. La patata attraversò così l’oceano e raggiunse la Spagna – e da lì il resto d’Europa – molto precocemente, eppure sarebbe stato necessario attendere quasi due secoli prima che essa fosse integrata pienamente nella cucina europea. Cosa che avvenne soltanto a seguito di una serie di gravi carestie e dunque, sostanzialmente, per necessità. Ma perché?

Eppure la patata poteva essere coltivata su diversi tipi di terreno e per di più era in grado di garantire un nutrimento sano in quantità enormi, per unità di superficie, rispetto alle altre colture, tra cui il grano. Il fatto è che la sconosciuta patata americana venne accolta con un misto di timore e disprezzo. Oltre a essere considerata velenosa e difficile da digerire, essa veniva accusata di procurare la lebbra. Era inoltre guardata con disprezzo perché considerata un alimento povero e plebeo.

A partire dal ‘700, invece, non furono soltanto i ceti più umili a consumare patate cuocendone la radice al forno, ma anche le persone più agiate, che le accompagnavano alla carne, le cucinavano con il burro e ne facevano frittelle. Certo, si continuava a rimproverare alla patata di essere un cibo flautolento. “Ma – si chiedevano nell’Encyclopédie Diderot e d’Alembert – cosa sono mai questi venti per i vigorosi organismi dei contadini e dei lavoratori?”.

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Nata nel 1979, vivo a Napoli e ho due gemelli. Sono ricercatrice in storia, (al momento) a Bologna, e ho pubblicato due monografie: Alla frontiera. Confini e documenti di identità nel Mezzogiorno continentale preunitario (Rubbettino 2013) e L’Islam e l’impero. Il Medio Oriente di Toynbee all’indomani della Grande guerra (Viella 2015).
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