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Quando l’Italia firmò il Patto d’acciaio

Il 22 maggio 1939, sotto lo sguardo vigile di Hitler, Galeazzo Ciano e Joachim von Ribbentrop siglano a Berlino il Patto d’acciaio in cui le parti sono obbligate a fornire reciproco aiuto militare qualora si fosse scatenata una guerra.
A cura di Marcello Ravveduto
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Nella foto ufficiale Galeazzo Ciano è alla sua destra, Joachim von Ribbentrop è alla sua sinistra. Al centro c’è Adolf Hitler, führer del terzo Reich.

I due ministri degli esteri stanno siglando il “Patto d’acciaio”, nella sala principale della Cancelleria, sotto lo sguardo del dittatore e dello stato maggiore tedesco. È il 22 maggio 1939, il giorno successivo il “Corriere della Sera” titolerà: «Ciano e Ribbentrop alla presenza di Hitler firmano il Patto italo-tedesco»; poi s’informano i lettori che, a margine della sottoscrizione, «Il führer decora il ministro italiano di un’altissima onorificenza». Un gesto d’attenzione al duce, di cui Ciano è il genero avendone sposato la figlia Edda che con quel matrimonio ottiene il titolo nobiliare di contessa di Cortellazzo e Buccari.

Nell’introduzione del documento ufficiale è scritto: «è stata creata tra l'Italia e la Germania la base sicura per un reciproco aiuto ed appoggio, i due Governi riconfermano la politica, che è stata già da loro precedentemente concordata nelle sue fondamenta e nei suoi obbiettivi e che si è dimostrata altamente proficua tanto per lo sviluppo degli interessi dei due paesi quanto per la sicurezza della pace in Europa».

Continuando si legge «Il popolo italiano ed il popolo tedesco, strettamente legati tra loro dalla profonda affinità delle loro concezioni di vita e dalla completa solidarietà dei loro interessi, sono decisi a procedere, anche in avvenire, l'uno a fianco dell'altro e con le forze unite per la sicurezza del loro spazio vitale e per il mantenimento della pace. Su questa via indicata dalla storia, l'Italia e la Germania intendono, in mezzo ad un mondo inquieto ed in dissoluzione, adempiere al loro compito di assicurare le basi della civiltà europea».

Insomma, se prendessimo in considerazione solo le carte ufficiali, senza conoscere la storia successiva, potremmo pensare che le due nazioni stanno operando per la pace all’interno di un contesto di crisi che minaccia la guerra. In verità questo è lo scenario europeo in quel momento, solo che le minacce alla pace provengono proprio da chi sta sostenendo di volerla difendere.

Il passaggio cruciale è «sono decisi a procedere, anche in avvenire, l'uno a fianco dell'altro e con le forze unite per la sicurezza del loro spazio vitale e per il mantenimento della pace». Significa che la pace ha valore se viene garantita, dagli altri Stati europei, la libertà d’azione alla Germania e, di scorta, all’Italia ad annettere le regioni e le nazioni considerate “naturalmente” parte del bacino nazionale tedesco e italiano.

È una vera e propria sfida alla politica di appeasement promossa da Inghilterra e Francia che, spaventate dalla possibilità sempre più concreta di una guerra totale, hanno concesso a Hitler di compiere passi da gigante nel ripristino della potenza militare germanica.

Otto mesi prima del Patto c’è stata la conferenza di Monaco in cui i primi ministri di Francia e Inghilterra (Chamberlain e Daladier), guidati da Mussolini (che godeva ancora di una certa credibilità agli occhi delle democrazia occidentali), accettano la cessione dei Sudeti (regione tedescofona della repubblica Cecoslovacca) alla Germania che promette guerra in caso di diniego delle due nazioni alleate. Il duce non fa altro che perorare la causa di Hitler (con il quale ha preventivamente concordato la strategia da adottare).

Nonostante le stampa, di entrambi le parti, suoni la marcia di gloria per lo scongiurato pericolo, Churchill, rivolgendosi a Chamberlain, dirà: «Dovevate scegliere tra la guerra ed il disonore. Avete scelto il disonore e avrete la guerra».

Dopo Monaco Mussolini, che al rientro in Italia la propaganda fascista presenta come il campione della pace, viene messo in disparte dai governanti delle democrazie occidentali perché è ormai considerato il semplice portavoce di Hitler. Un atteggiamento di ostracismo che favorirà il rafforzamento dei rapporti tra Italia e Germania e che condurrà alla stipula del Patto d'Acciaio nella primavera del 1939.

L’accordo consta di sette punti:

«Art. I. – Le Parti contraenti si manterranno permanentemente in contatto allo scopo di intendersi su tutte le questioni relative ai loro interessi comuni o alla situazione generale europea.

Art. 2. – Qualora gli interessi comuni delle Parti contraenti dovessero esser messi in pericolo da avvenimenti internazionali di qualsiasi natura, esse entreranno senza indugio in consultazione sulle misure da prendersi per la tutela di questi loro interessi. Qualora la sicurezza o altri interessi vitali di una delle Parti contraenti dovessero essere minacciati dall'esterno, l'altra Parte contraente darà alla Parte minacciata il suo pieno appoggio politico e diplomatico allo scopo di eliminare questa minaccia.

Art. 3. – Se, malgrado i desideri e le speranze delle Parti contraenti, dovesse accadere che una di esse venisse ad essere impegnata in complicazioni belliche con un'altra o con altre Potenze, l'altra Parte contraente si porrà immediatamente come alleata al suo fianco e la sosterrà con tutte le sue forze militari, per terra, per mare e nell'aria.

Art. 4. – Allo scopo di assicurare per il caso previsto la rapida applicazione degli obblighi di alleanza assunti coll'articolo 3, i membri delle due Parti contraenti approfondiranno maggiormente la loro collaborazione nel campo militare e nel campo dell'economia di guerra. Analogamente i due Governi si terranno costantemente in contatto per l'adozione delle altre misure necessarie all'applicazione pratica delle disposizioni del presente Patto. I due Governi costituiranno, agli scopi indicati nei summenzionati paragrafi 1 e 2, Commissioni permanenti che saranno poste sotto la direzione dei due ministri degli Affari esteri.

Art. 5. – Le Parti contraenti si obbligano fin da ora, nel caso di una guerra condotta insieme, a non concludere armistizi e paci se non di pieno accordo fra loro.

Art. 6. – Le due Parti contraenti, consapevoli dell'importanza delle loro relazioni comuni colle Potenze loro amiche, sono decise a mantenere ed a sviluppare di comune accordo anche in avvenire queste relazioni, in armonia cogli interessi concordati che le legano a queste Potenze.

Art. 7. – Questo Patto entra in vigore immediatamente al momento della firma. Le due parti contraenti sono d'accordo nello stabilire in dieci anni il primo periodo della sua validità. Esse prenderanno accordi in tempo opportuno, prima della scadenza di questo termine, circa il prolungamento della validità del Patto».

A differenza dell’introduzione qui la parola pace è scritta una sola volta come condizione accessoria all'ipotesi di conflitto. Non ha nessun valore morale. È un accordo, quindi, per fare la guerra e per garantire un intervento armato sia in caso di difesa, sia in caso di offesa.

Secondo quanto sancito dall’art. 3 del Patto, l’Italia sarebbe dovuta entrare in guerra nel settembre del 1939, quando Francia e Inghilterra, a seguito dell’occupazione della Polonia, dichiarano guerra alla Germania.

Mussolini, con la solita abilità pubblicitaria, inventa la “non belligeranza” che, in realtà, nasconde l’impreparazione della Forze armate sia per quanto riguarda le risorse umane, sia per l’inadeguatezza degli armamenti. Scoppia la guerra quattro mesi dopo la firma dell’intesa e immediatamente l’Italia si tira indietro declinando “creativamente” «la rapida applicazione degli obblighi di alleanza assunti coll'articolo 3».

Il che la dice lunga sull’affidabilità degli italiani, fascisti e non, e sulla capacità di affrontare le sofferenze di una guerra di movimento sempre più tecnologica e priva di tutele per i civili. Proprio perché nel 1939 la Germania è stata lasciata sola (l’Italia entrerà nel conflitto nel giugno 1940, con la Francia già in ginocchio, nella bieca speranza di sedere al tavolo della pace), Hitler sospetterà, subito dopo l’arresto di Mussolini (25 luglio 1943), l’intenzione del re e di Badoglio di contravvenire all’art. 5 del Patto: «Le Parti contraenti si obbligano fin da ora, nel caso di una guerra condotta insieme, a non concludere armistizi e paci se non di pieno accordo fra loro».

Comincia, allora, con la scusa di dare una mano all’Italia invasa dagli Alleati, ad occupare militarmente il suolo nazionale. Cosicché l’8 settembre del 1943, quando il maresciallo Badoglio comunica l’avvenuto armistizio con gli angloamericani, i tedeschi hanno sotto il loro diretto controllo buona parte dell’Italia centro-settentrionale. Ma questa è un’altra storia e appartiene a quella stagione di riscatto che conosciamo con il nome di Resistenza.

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