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Quando era proprio Rodotà a proporre l’abolizione del Senato

Non si fermano le polemiche sul progetto di ridefinizione del Senato del Governo Renzi. E, a proposito dell’appello contro la “svolta autoritaria” di Rodotà e Zagrebelsky, ecco un precedente “particolare”…
A cura di Redazione
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Come vi abbiamo raccontato, il progetto di revisione della forma istituzionale del Governo Renzi, con la trasformazione del Senato in una sorta di camera delle autonomie dai poteri decisamente contenuti e con eletti di secondo livello, ha provocato un ampio dibattito e non poche perplessità. A guidare il fronte di opposizione è l'associazione Libertà e Giustitzia, con un appello sottoscritto da personalità del mondo della cultura e della politica (e fatto proprio anche dal Movimento 5 Stelle). Tra tutte spicca la firma di Stefano Rodotà, che ha ribadito la sua critica alla riforma proposta da Renzi anche in una recente intervista al Fatto, in cui sottolinea la sua contrarietà a partire dai "pericoli" di una deriva autoritaria (nell'appello si parla esplicitamente della necessità di opporsi alla "democrazia plebiscitaria" ed alla "prospettiva di un monocameralismo e la semplificazione accentratrice dell’ordine amministrativo").

Una analisi che non convince tutti però, anche in relazione a quanto emerso su "suggerimento" del costituzionalista ed ex parlamentare Pd Stefano Ceccanti. Come riporta Claudio Cerasa sul Foglio, Ceccanti ha ripescato una vecchia proposta di riforma costituzionale co-firmata proprio da Stefano Rodotà, nella quale, tra le altre cose, si immagina un Parlamento monocamerale con 500 deputati, con la eliminazione tout court del Senato, l'obbligatorietà del quorum per i referendum costituzionali. Ma non basta, perché, grazie a segnalazioni successive, sono stati "ripescati" altri pensieri di Rodotà, relativi alla proposta:

Mi colpisce, poi, la scarsa attenzione che la sinistra, il Pci soprattutto, dimostra per una proposta di ridisegnare profondamente il circuito Parlamento-governo in un modo che non porta con sè rischi di riduzionismo e di autoritarismo. Sto parlando dell' ipotesi di passare ad un sistema monocamerale, con diminuzione del numero dei parlamentari, abolizione delle preferenze, adozione del collegio uninominale. Una via difficile? Certo, ma più moderna delle altre, visto che la tendenza verso parlamenti con una sola Camera è quella propria del costituzionalismo contemporaneo […] Un Parlamento con un profilo personale più alto (abolizione delle preferenze, più rigorosa selezione dei candidati), più agile, meglio raccordato con la società (potenziamento della iniziativa popolare, nuova disciplina del referendum per le grandi decisioni) non solo si libererebbe di molte delle attuali cause di lentezza e frammentazione. Potrebbe essere un interlocutore vero di un governo anch'esso rafforzato, più autorevole e meno affollato da competenze inquinate e inquinanti (come quelle nel settore dell' informazione).

Certo, contesti e momenti diversi, ma i parallelismi con l'idea alla base del progetto di Renzi sono evidenti. Ovviamente a prescindere dalla valutazione nel merito della riforma, che secondo la lettura di Libertà e Giustizia non rende la Camera "forte ed indipendente dal Governo", come da obiettivo della proposta Rodotà del 1985.

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