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Opinioni

Profughi e migranti, cronaca di un’emergenza infinita (che non fa più notizia)

C’era grande attesa per il vertice di Malta fra Paesi europei e africani sull’emergenza immigrazione. In realtà è stato l’ennesimo mezzo flop: un fondo per aiutare i Paesi africani, ma nessuna certezza su rimpatri e corridoi umanitari. Insomma, la questione è tutt’altro che risolta.
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La Germania ha “ripristinato” il Trattato di Dublino, chiedendo che siano i Paesi di primo arrivo a gestire le richieste di protezione internazionale dei profughi (anche dei siriani). La Slovenia sta completando la barriera al confine con la Croazia, in una triste riedizione del muro di filo spinato “brevettato” da Orban in Ungheria. Ungheria che ha appena fatto sapere di non volersi riprendere i profughi che la Germania manderà indietro. In Grecia continuano a sbarcare centinaia di persone al giorno, e i morti non si contano più. A fine ottobre il numero dei profughi sbarcato in Grecia ha superato le 500mila unità. Le richieste di asilo ai Paesi Ue superano il milione da gennaio a oggi. Ogni settimana decine di persone perdono la vita tentando di raggiungere le coste greche.

Anche se derubricata a questione minore sui mezzi di informazione italiani, l'emergenza immigrazione resta in tutta la sua complessità. Anzi, con l'arrivo dell'inverno la situazione rischia di peggiorare, soprattutto se continuerà lo scaricabarile tra i Paesi dell'Ue.

Il vertice di Malta, a cosa doveva servire

Al vertice di Malta, convocato su iniziativa del Consiglio Europeo, erano presenti circa 60 delegazioni di Paesi europei e africani. All’ordine del giorno vi erano le linee guida sull’immigrazione, con una serie di questioni specifiche: i rimpatri, il traffico di esseri umani, un nuovo fondo per gli aiuti umanitari, il lavoro diplomatico per la risoluzione dei contrasti.

Il vertice europeo del 15 ottobre si era risolto in un mezzo fallimento, nonostante l’entusiasmo della vigilia della delegazione italiana. Sui rimpatri ci si era limitati a rinviare la questione al vertice di Malta, ribadendo “l’orientamento” ad ampliare il mandato di Frontex, con la possibilità per l’agenzia di organizzare “operazioni di rimpatrio congiunte di propria iniziativa e acquisire i documenti dei migranti da rimpatriare”. In sospeso anche la questione dei Paesi terzi, ovvero quelli interessati dal transito dei migranti: l’idea era quella di una sorta di lasciapassare, che superasse il problema dei visti e garantisse il passaggio dei migranti. Le difficoltà tecniche avevano consigliato un rinvio prudenziale.

Come affrontare la questione con i Paesi africani? La scelta è stata quella di mettere sulla bilancia il nuovo piano di aiuti, con un fondo di 3,6 miliardi di euro e con la disponibilità a discutere della detassazione delle rimesse che i migranti inviano nei loro paesi di origine. Un azzardo, come ben spiegato su Internazionale, che lo ha definito “un ricatto politico”: “L’Unione europea è il principale donatore di aiuti per l’Africa, per questo la promessa di più fondi per la cooperazione in cambio di accordi per i rimpatri è percepita da molti leader africani come un ricatto che indebolirà la posizione dell’Africa nel suo rapporto con l’Europa”.

Del resto, è la dicotomia "migranti economici / profughi" che non convince pienamente:

I paesi africani accusano l’Unione europea di avere adottato un doppio standard per i migranti in arrivo dal Medio Oriente e per quelli africani, in particolare accusano l’Europa di concedere asilo solo ai profughi siriani e di respingere le domande dei migranti di origine africana e subsahariana su base etnica, invocando la definizione di “migrante economico”. I paesi africani sostengono che ci dovrebbero essere dei canali legali d’ingresso in Europa, anche per chi è in fuga dalle carestie provocate dai cambiamenti climatici o dallo sfruttamento intensivo delle terre, per chi scappa dalla povertà o da guerre meno coperte dai mezzi d’informazione come il conflitto nella Repubblica Centrafricana, in Sud Sudan o nel nord della Nigeria.

Cosa si è deciso (un mezzo flop, as usual)

Le riammissioni sono un punto centrale della strategia elaborata dalla Commissione Europea e accettata dagli Stati membri (quasi tutti), la quale si fonda sulla distinzione fra migranti economici e rifugiati / profughi / richiedenti asilo, sul rafforzamento degli accordi bilaterali, sugli hotspot e sulla revisione delle procedure di asilo. Chiaramente, se non ci si smuove da quel 30% di rimpatri raggiunto lo scorso anno, diventa tutto più complicato.

E i Paesi dell’Unione africana (quelli invitati, almeno) hanno già fatto capire che senza la revisione della filiera dell’immigrazione legale, con misure che facilitino l’ingresso dei migranti economici nella Ue, non si riuscirà ad affrontare in maniera organica il problema. Ciò comporterebbe una revisione “comune” delle politiche di immigrazione da parte della Ue: nulla di più complicato, considerando i diversi approcci fra i Ventotto e il modo in cui si sta rispondendo all’emergenza, tra muri di filo spinato, campi profughi e incertezze legislative.

"Il dialogo sta procedendo in maniera franca e rispettosa", ha ammesso Juncker, scoprendo le carte: "Abbiamo un problema comune sulle due sponde del Mediterraneo e dobbiamo sostenere l'Africa perché hanno un problema più grande rispetto a quello che abbiamo noi". E sulla bilancia l'Ue ha messo, appunto, un fondo per le emergenze. Un'offerta, 1,8 miliardi a carico Ue più una cifra simile a carico dei singoli Stati europei, che per la verità si scontra con la condotta adottata finora: in cassa ci sono solo 100 milioni di euro, di cui 10 messi dall'Italia. Uno dei pochi inguaribili ottimisti resta il nostro Presidente del Consiglio che ripete: "Si può anche guardare il bicchiere mezzo vuoto e discutere sul fatto che il fondo Ue deve essere più cospicuo ma, primo, l’Italia non è più sola sulla questione dei rifugiati, secondo, l’Africa è una priorità".

Che aria tira in Europa

Le cose non vanno meglio nemmeno se si volge lo sguardo alle questioni europee. Nell'attesa che i negoziati con la Turchia portino a qualcosa di concreto (Ankara continua a chiedere “3 miliardi di euro per la gestione dei campi, l'inserimento nella lista dei ‘paesi sicuri' e l'apertura di 6 capitoli nel pluridecennale negoziato per l'adesione alle Ue”), bisogna fare i conti con le autonome scelte dei Paesi membri. Già detto di Germania e Slovenia, e considerata l'irriducibilità ungherese, bisogna aggiungere la temporanea sospensione di Schengen da parte della Svezia e il fatto che molti Stati continuino a disattendere le raccomandazioni del Consiglio sulla piena attuazione delle misure di ricollocazione dei profughi. Meglio vanno le cose per il programma di reinsediamento di 20mila persone, approvato a giugno.

Nel vertice dei Ventotto (che poi erano 24…), sempre a Malta, si è provato anche a fare un passo in avanti sulla cosiddetta "gestione integrata delle frontiere", che secondo l'indirizzo del Consiglio dovrebbe / potrebbe essere affidata (in parte) a Frontex (si pensa di dotare l'agenzia di una sorta di corpo speciale, che possa agire alle frontiere). Va detto che il potenziamento ulteriore di Frontex, con una guardia di frontiera e una guardia costiera europee, con la possibilità di schierare squadre di intervento rapido (chiamata RABITs, Rapid Border Intervention Teams), non convince tutti (e tutto sommato non entusiasma nemmeno il nostro Governo).

Del resto, è in piena attuazione la fase 2 della missione EUNAVFOR MED (a guida italiana), che secondo Gentiloni ha avuto un ruolo nella riduzione dei flussi nel Mediterraneo. Diciamo che probabilmente a incidere è stato il mutamento delle rotte, con i profughi siriani e afghani che preferiscono quella balcanica, ma in ogni caso la pressione sulla "Central Mediterranean Route" è notevolmente diminuita.

Insomma, dopo mesi di incontri, vertici e negoziati, le questioni sono ancora tutte sul tappeto. E la sensazione è che i passi in avanti fatti (innegabili) non siano sufficienti a stabilizzare la situazione. Come si legge tra le righe del documento approvato durante il vertice del 9 novembre:

  • gli Stati membri devono intensificare gli sforzi per l’accoglienza e ampliare la capacità ricettiva e velocizzare le identificazioni, anche per permettere alla Commissione di valutare le risorse aggiuntive da destinare;
  • Italia e Grecia devono accelerare la messa a regime degli hotspot, che devono essere pronti per la fine di novembre;
  • il programma di ricollocamento deve subire una accelerazione, con gli Stati chiamati a predisporre una struttura adibita allo scopo entro il 16 novembre;
  • gli Stati membri non devono abdicare al loro ruolo di controllo delle frontiere, nelle more del coinvolgimento di Frontex e dello sviluppo delle truppe di intervento rapido
  • gli Stati devono continuare a esaminare le proposte legislative in materia di un meccanismo di ricollocamento automatico dei migranti
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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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