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Processo Eternit, tomba per gli operai e per la giustizia italiana

L’amianto ha fatto un’altra vittima: la giustizia italiana. Seppellita da chi ha il potere di difendersi a suon di cavilli. Le zone del Paese uccise dall’Eternit non sono più parte della Repubblica: non siamo state capaci di tutelarle né di proteggere le persone che ci vivevano.
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L'Eternit è stata una tomba per centinaia di persone, ma oggi l'amianto ha seppellito anche la giustizia italiana. Avere i miliardi e affrontare un processo in Italia significa trovare il modo di tirare la molla della giustizia, estenderla fino al punto di rottura e poi, godersi una prescrizione che chiude la vicenda giudiziaria e ai parenti delle vittime non assicura nemmeno l'ultimo scampolo d'idea di giustizia: il risarcimento dei danni. No, non è un film americano in cui l'avvocato coraggioso, il malato terminale e un giudice illuminato riescono a inchiodare alle responsabilità il vecchio industriale senza cuore. In Italia la sceneggiatura è diversa, c'è un finale amaro e senza consolazione alcuna. Il processo Eternit è prescritto, la colpa è di tutti (quindi di nessuno) chi muore giace e chi vive si dovrà dare pace. Ma esisterà pace nei cuori di coloro che videro morire gli affetti più cari per negligenze e omissioni? Da Casal Monserrato e Cavagnolo, Piemonte a Napoli-Bagnoli, fino a Rubiera in Emilia Romagna: togliamo dalla mappa questi luoghi attraversati dalla morte: la Repubblica Italiana non è stata in grado di proteggerli e tutelarle chi lì abitò e morì.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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