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Pressioni, accuse di sessismo e discriminazione: il lato oscuro di Uber

Mentre in Italia ancora si discute delle norme “pro o contro” i tassisti, negli USA Uber deve affrontare ben altri problemi. A partire dal boicottaggio degli utenti per il non aver supportato gli scioperi e le proteste contro l’amministrazione Trump.
A cura di Redazione
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La mareggiata che si sta abbattendo su Uber continua a dispensare i suoi effetti rovinosi. Dopo le proteste dei tassisti in Italia, l’azienda di trasporto privato negli Usa deve difendersi da accuse provenienti da più fronti: furto di segreti industriali da Google ed esercizio di una politica aziendale aggressiva e sessista nei riguardi dei dipendenti.

Criticità che si aggiungono ai dubbi manifestati da alcuni investitori e analisti circa il valore reale della società e che l'amministratore delegato Travis Kalanick dovrà fugare in vista di un'eventuale quotazione in borsa. Stando agli ultimi dati finanziari rivelati dal portale di informazione tecnologica The Information e altri media americani, il fatturato di Uber (5,5 miliardi di dollari nel 2016, secondo Bloomberg) continua a crescere. Crescita attestata però anche nelle perdite che l’anno scorso avrebbero toccato i 3 miliardi di dollari rispetto al passivo di 2,2 miliardi registrato nel 2015. Secondo Tech Crunch, altro portale di informazione specializzata, questi dati rivelerebbero che Uber spende 1.55 dollari per ogni dollaro che produce. Tendenze che difficilmente possono giustificare la valutazione di circa 68 miliardi che viene attribuita all'azienda da alcuni operatori di mercato.

Al netto della plausibilità dei dati, questa valutazione rischia in ogni caso di essere drasticamente ridotta dalla causa intentata da Alphabet – la holding che controlla Google – e dalle rivelazioni di un’ex dipendente su presunte molestie sessuali, diffuse la scorsa settimana. In una causa depositata presso una corte distrettuale della California, Alphabet sostiene che Uber abbia copiato alcune tecnologie dalla sua società – Waymo – specializzata in veicoli che si autotrasportano.

É difficile stimare quanto il procedimento in corso potrebbe danneggiare Uber ma ha senz'altro il potenziale per inferirle un duro colpo. A differenza di altre cause per furto di segreto industriale, infatti, Google non contesta solo le similitudini fra i prodotti delle due aziende ma sostiene di possedere prove concrete della sottrazione delle sue tecnologie. Stando ai documenti presentati da Google, Uber avrebbe acquistato Otto, start-up di auto a guida autonoma fondata da Anthony Levandowsky, con il solo scopo di ottenere le informazioni sottratte dall’ex dipendente.

L'altra grana che la società dovrà affrontare riguarda le dichiarazioni dell'ex dipendente Susan Fowler che, in un post sul suo blog, ha denunciato gli atteggiamenti di discriminazione e di sessismo perpetuati (e in alcuni casi solo tollerati) dai vertici dell'azienda.

La denuncia in questione è stata oggetto di un'inchiesta condotta dal New York Times che ha raccolto oltre 30 testimonianze tra dipendenti ed ex-dipendenti. Indagine che sembrerebbe confermare l'esistenza di un ambiente lavorativo dominato da soprusi e discriminazioni. Il Times però si spinge oltre e, citando un’intervista rilasciata da Kalanick a GQ, attribuisce parte delle colpe direttamente al Ceo. Kalanick infatti – nell'intervista pubblicata dal magazine – si lascia andare a spavalderie sul suo rapporto con le donne, migliorato – a suo dire – grazie al successo conseguito dalla sua azienda.

Interpretazioni a parte, c'è di vero che Uber ha da subito avviato un'indagine interna reclutando per lo scopo – fra gli altri – Arianna Huffington, già membro del consiglio di amministrazione, e il ministro della giustizia dell'amministrazione Obama, Eric H. Holder.

Compito ingrato, si direbbe, per un'azienda che in meno di 10 anni è riuscita a collezionare un significativo numero di scandali.

Solo un mese fa, Uber ha dovuto fare i conti con la cancellazione dell'app da parte di migliaia di utenti in dissenso alla scelta dell'azienda di continuare a operare a New York, nel corso delle manifestazioni contro la messa al bando degli immigrati musulmani da parte dell'amministrazione Trump. Manifestazione a cui avevano aderito anche i tassisti, ma non Uber.

Altre rogne provengono poi dalle accuse di molestie sessuali mosse ad alcuni autisti. A fine 2015, in India un guidatore Uber è stato condannato all’ergastolo per avere stuprato una cliente. Nel corso di questo mese invece in Canada un autista è stato accusato di tentata violenza sessuale.

Tutti casi che sollevano interrogativi sulle strategie di reclutamento degli autisti da parte dell’azienda.

Se non bastasse, a tutte le criticità elencate va ad aggiungersi la crescente ostilità dei tassisti che hanno subito perdite nel proprio business proprio a causa di Uber. Le proteste avvenute in Italia nei giorni scorsi sono solo infatti le ultime in ordine di tempo. Episodi simili si sono verificati a Londra, Parigi, Taiwan, Mosca e persino in Malesia. E non sembrano destinati a estinguersi.

Un groviglio di problemi irrisolti e di conflittualità interne che non sarà semplice da gestire ma che Uber dovrà necessariamente risolvere prima della quotazione in borsa, che è il prossimo obiettivo dell'azienda.

Articolo a cura di Marianna D'Alessio

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