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Potremmo davvero rilasciare dei permessi ai migranti affinché lascino l’Italia?

L’Italia starebbe valutando l’ipotesi di concedere permessi umanitari temporanei per far circolare i migranti nei paesi Ue, secondo alcune fonti. Si tratterebbe, in realtà, di una mossa per fare pressione politica più che di una reale opzione.
A cura di Stefano Rizzuti
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Il braccio di ferro tra l'Italia e alcuni paesi dell’Ue sulla questione migranti prosegue a suon di minacce. Negli ultimi giorni, in particolare, si è riacceso lo scontro tra Roma e Vienna dopo un articolo del giornale britannico Times nel quale si diceva che l’Italia stava valutando l’ipotesi di predisporre dei permessi temporanei che permettessero ai migranti di circolare liberamente nei paesi dell’Unione. La replica austriaca non si è fatta attendere, con la reiterata minaccia di chiudere il confine al Brennero in caso di approvazione di questa misura.

Ma cosa sono i permessi temporanei di cui si sta discutendo in questi giorni? E l’Italia può davvero applicarli?

I permessi umanitari temporanei consentirebbero ai migranti di circolare liberamente nell’Ue, senza dover rimanere confinati nel paese di prima accoglienza, come attualmente previsto dalla normativa europea. I permessi sono validi per un periodo limitato di tempo. La possibilità della loro applicazione è stata lanciata sul Times: secondo cui l’Italia sta vagliando l'ipotesi di applicare 200mila permessi per i migranti. Numeri considerati esagerati anche dal viceministro degli Esteri italiano, Mario Giro, che tornando sull’argomento ha parlato di “cifre molto più basse”. Secondo il Times, l’idea dei visti servirebbe per attenuare la pressione dei migranti sull’Italia e per sbloccare il congestionamento delle strutture di accoglienza. Il governo italiano, in realtà, ha smentito di essere vicino ad applicare i permessi temporanei – definiti dal Times come “opzione nucleare” – e ha anzi sostenuto che il Viminale al momento non sta valutando realmente l’ipotesi.

Sulla questione è intervenuto anche il senatore del Pd Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti umani di Palazzo Madama. Proprio quest’ultimo ha fatto sapere di aver parlato con il ministro degli Interni Minniti il quale “ha detto che verrà esaminata” la proposta dei permessi temporanei. “L’Italia non concederà unilateralmente permessi umanitari temporanei per l’area Schengen per ora, ci sarà prima un tentativo di mediazione con l’Ue”, aveva affermato invece un’intervista a Formiche.net Mario Giro. Il viceministro degli Esteri ha spiegato che “rilasciare questi permessi è già nelle possibilità delle commissioni territoriali alle quali vengono sottoposte le domande di asilo”. E, nel caso in cui questa opzione venisse portata avanti, se altri paesi dovessero rifiutarsi di far entrare i migranti, “si assumerebbero la responsabilità di far saltare Schengen”.

Cosa sono i permessi temporanei

Le strade per concedere la protezione umanitaria temporanea, che "garantisce" i permessi, sono due: una porta a Bruxelles mentre l’altra è prevista da una norma di diritto interno. Nel primo caso, il riferimento è alla direttiva 55 del 2001, discussa e approvata dall’Ue “per far fronte ai momenti di grande emergenza”, come spiega Giro. Una misura che “permette agli stati membri di agire in deroga al regolamento di Dublino quando ci si trova davanti a un afflusso massiccio di sfollati”. A livello procedurale, spiega ancora il viceministro, “l’Italia dovrebbe presentare un’istanza formale alla Commissione ai sensi dell’articolo 5 della direttiva affinché la Commissione proponga poi al Consiglio un piano di protezione temporanea”. Giro, però, non esclude anche un’altra ipotesi riguardante gli eventuali accordi con l’Ue. Esiste anche la possibilità di “concludere un accordo di cooperazione rafforzata con alcuni soltanto degli stati membri dell’Ue, in questo modo i permessi temporanei varrebbero solo tra chi ha aderito alla cooperazione rafforzata”. E questa ipotesi sembra realizzabile “con la Germania”, mentre è “più difficile con la Francia”.

C’è poi la strada italiana “prevista dalla legge Bossi-Fini. Secondo Giro, però, “sarebbe un gesto unilaterale a cui gli altri reagirebbero male”. Per il momento, allora, l’obiettivo dell’Italia è continuare “a fare pressione con tutti gli strumenti che esistono: è bene che tutti sappiano che c’è pure questa possibilità”.

La direttiva Ue 55/2001

Come detto, l’Italia potrebbe far ricorso ai permessi umanitari temporanei avvalendosi di quanto stabilito dalla direttiva 55/2001/CE, riguardante le “Norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi”. Una normativa che “stabilisce un dispositivo per affrontare afflussi massicci di cittadini stranieri nell’Ue che non possono rientrare nei loro paesi, soprattutto a causa di guerre, violenze o violazioni dei diritti umani”. Lo scopo è quello di introdurre una “protezione immediata e temporanea per gli sfollati”. La direttiva “non impone la distribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo nei paesi dell’Ue” e la Danimarca “non partecipa” a questa misura.

La durata dei permessi temporanei è di un anno, ma può essere estesa – di sei mesi in sei mesi – fino a un massimo di due anni. La protezione dei migranti può terminare nel momento in cui il Consiglio ritiene “sicuro il rimpatrio degli sfollati nei loro paesi di origine”. Alcune persone possono essere escluse dalla protezione temporanea, se si tratta di individui sospettati di “crimini contro la pace, crimini di guerra, crimini contro l’umanità, reati gravi di natura non politica, atti contrari ai principi delle Nazioni Unite e di costituire un pericolo per la sicurezza del paese ospitante”.

I paesi dell’Ue devono fornire un titolo di soggiorno a chi ha ottenuto la protezione temporanea, documento che deve essere valido per tutta la durata della protezione. Chi gode della protezione ha il diritto di “esercitare attività di lavoro, accedere all’istruzione per adulti e alla formazione professionale, ottenere un alloggio adeguato, ottenere assistenza sociale, sostegno economico e cure mediche”. Chi di loro ha meno di 18 ha diritto ad accedere all’istruzione alle stesse condizioni dei cittadini del paese ospitante. Chi gode di protezione temporanea, inoltre, deve avere la possibilità di presentare una domanda d’asilo, in quel caso di competenza del paese che accoglie la persona. I paesi hanno comunque la possibilità di stabilire che una persona che ha ottenuto la protezione temporanea non abbia diritto allo status di richiedente asilo.

L’applicazione della direttiva sulla protezione temporanea deve essere proposta dalla Commissione europea, fornendo alcuni elementi riguardanti la misura specifica, come: la descrizione dei gruppi specifici di persone a cui si applicherà la protezione; la data di decorrenza della protezione temporanea; la stima della portata dei movimenti degli sfollati. Una volta trasmessi questi elementi al Consiglio europeo, ad esso spetterà anche il compito di raccogliere le informazioni fornite dagli stati membri sulle loro capacità ricettive.

La direttiva europea nasce nel 2001 come risposta alla crisi in Kosovo. Per la sua applicazione è necessario che ci sia un’approvazione a maggioranza qualificata da parte del Consiglio europeo. Finora, dal momento della sua nascita, la direttiva non è mai stata applicata. Nel 2011 il governo italiano, allora guidato da Silvio Berlusconi e il cui ministro dell’Interno era Roberto Maroni, aveva proposto insieme a Malta l’attivazione della protezione temporanea. L’Ue rifiutò la richiesta, con l’opposizione di quasi tutti i paesi. “È una cosa prematura, la maggioranza dei paesi ritiene che la direttiva possa essere utilizzata ma che non siamo ancora al punto di farlo”, aveva detto l’allora commissario Ue per gli Affari Interni Cecilia Malmstrom, ricordando che la direttiva è nata per la situazione del Kosovo, quando si parlava di “centinaia di migliaia di profughi”.

La storia recente e la freddezza – quando non l’aperta ostilità – di alcuni paesi verso una proposta del genere sembrano quindi escludere la possibilità di un accordo che porti all’approvazione dei permessi temporanei con una maggioranza qualificata all’interno del Consiglio europeo. Nonostante l’ipotesi sia quindi difficilmente realizzabile, l’Italia l’ha paventata più a finalità politiche che non per provare realmente a mettere in campo un’operazione di questo tipo.

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