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Perché Luca Lotti non si è dimesso da ministro (e non è stato sfiduciato)

Perché in questo caso un ministro indagato resta al suo posto? Perché stavolta, a differenza di quanto avvenuto in passato con Cancellieri, Lupi (neanche indagati) e Idem, la maggioranza renziana non ha ritenuto necessario chiedere al ministro un passo indietro?
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Il ministro dello Sport Luca Lotti, fedelissimo di Matteo Renzi, è indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento dalla Procura di Napoli, in una indagine stralciata dal filone principale sulla corruzione e ora a Roma per competenza territoriale. Stando all’accusa, il ministro avrebbe avvertito Luigi Marroni, l’amministratore delegato di CONSIP, l’azienda che si occupa degli acquisti della pubblica amministrazione, di una inchiesta nei suoi confronti, quella di cui vi abbiamo parlato diffusamente qui (e che vede indagato, tra gli altri, anche il padre del segretario del Partito Democratico, per traffico di influenze illecite). Per gli inquirenti Lotti avrebbe danneggiato l’inchiesta, poiché dopo la sua segnalazione Marroni avrebbe fatto bonificare il proprio ufficio dalle microspie e avrebbe preso delle precauzioni per non essere intercettato.

Il ministro ha sempre respinto le accuse, negando di aver parlato delle inchieste con l’amministratore delegato della CONSIP e dichiarandosi tranquillo. Marroni è da sempre considerato vicino a Renzi e Lotti e, prima di essere nominato al vertice di CONSIP dal Governo Renzi era stato assessore alla sanità in Regione Toscana. Nello stesso filone d’inchiesta sono indagati anche il comandante dei Carabinieri Tullio Del Sette e il comandante della Legione Toscana Emanuele Saltalamacchia, conoscente della famiglia Renzi.

Nei confronti del ministro è stata appunto presentata una mozione di sfiducia, avente come prima firmataria la capogruppo del MoVimento 5 Stelle Michela Montevecchi. Il concetto intorno a cui ruotava la richiesta di sfiduciare Lotti è che “i fatti indicati minano fortemente la credibilità del Ministro e pongono un grave pregiudizio sulle sue capacità di svolgere liberamente le delicate funzioni alle quali è chiamato, nonché sull'opportunità della sua permanenza a ricoprire una carica governativa di primo piano e di piena rappresentanza politica”.

L’Aula del Senato non ha ritenuto fondata tale motivazione e ha respinto la mozione di sfiducia. Lotti, dunque, resta al suo posto.

Ma il punto politico resta in tutta la sua rilevanza e centralità. Perché in questo caso e solo in questo caso un ministro indagato resta al suo posto? Perché stavolta, a differenza di quanto avvenuto in passato con Cancellieri, Lupi (neanche indagati) e Idem, la maggioranza renziana non ha ritenuto necessario chiedere al ministro un passo indietro? Perché di fronte ad accuse così gravi non si pensa a ragioni di opportunità politica?

Hanno provato a chiederlo gli esponenti della minoranza durante la discussione della mozione di sfiducia. Tra i retropensieri, alcuni dei quali improponibili, della Taverna, le perplessità della destra e le accuse di altri gruppi di minoranza, il punto chiave è la fragilità della posizione del ministro Lotti, evidente anche dal suo intervento in Aula. Perché Lotti è chiamato in causa direttamente da Marroni, che è ancora al comando di CONSIP. O Marroni dice il falso oppure Lotti è implicato e questo saranno i giudici a stabilirlo. Ma perché Lotti non ha preso le distanze dalla ricostruzione del manager? Perché non lo ha querelato? Perché non ha tutelato se stesso e, dunque, anche l'istituzione che rappresenta se quella dell'ad di CONSIP è solo una calunnia?

L'inchiesta ha tempi lunghi e forse si sgonfierà, ora tocca alla magistratura e la politica dovrebbe tacere. E, tanto per ribadire l'ovvio, fino a prova contraria l'avviso di garanzia è semplicemente una tutela per Lotti. Il punto è la risposta delle istituzioni di fronte all'ipotesi che anche la centrale acquisti dello Stato sia scalabile, sia influenzabile nelle pratiche, prima ancora che nelle assegnazioni (Marroni ha escluso di aver mai ceduto a pressioni, non vi è traccia del giro di denaro di cui parlano gli inquirenti e via discorrendo).

Il ministro si è difeso: "Questa presunta rivelazione non c’è mai stata, qui si cerca di colpire me non per quello che sono, ma per quello che io rappresento. Si cerca di mettere in discussione lo sforzo riformista di questi anni e si vogliono colpire i risultati raggiunti da questo Governo". In sostanza, con un brevissimo intervento, ha spiegato di rifiutare la "gogna mediatica" e di basare la propria decisione sul supporto del Governo, evidente anche dallo schieramento di ministri presente in Aula.

Lotti, invece, non ha chiarito nulla dal punto di vista della complessità politica, limitandosi a ripetere la solita storia del garantismo (che peraltro nessuno mette in dubbio). E, di fatto, legittimando l'idea che la sua presenza in Consiglio dei ministri risponda a logiche tutte politiche. Poco, davvero poco. Serviva una piena assunzione di responsabilità, oltre che la rivendicazione dell'irreprensibilità dei propri comportamenti, che nessuno può mettere in dubbio, fino a prova contraria. L'estraneità ai fatti la dimostrerà in Tribunale, l'opportunità politica nel rimanere in carica avrebbe dovuto dimostrarla in Aula.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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