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Opinioni

Perché il Movimento 5 Stelle si ostina a non voler vincere

Come ampiamente prevedibile, il Movimento 5 Stelle opterà per candidature “interne” e senza deroghe al Non – Statuto. Una scelta coerente, anche se probabilmente perdente. Almeno nel breve periodo, considerando come sta cambiando l’elettorato del Movimento 5 Stelle.
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Con largo anticipo rispetto alle scadenze, il Movimento 5 Stelle ha ufficializzato le candidature a Sindaco di Chiara Appendino a Torino e di Patrizia Bedori a Milano. Si tratta di scelte del tutto “coerenti con lo spirito del Movimento”, interne a esso e funzionali alla strategia di lungo periodo dei grillini, con la sola eccezione del pasticciaccio di Bologna. Una linea che sarà seguita con ogni probabilità anche per scegliere i candidati delle altre città, dunque anche a Napoli e Roma. Insomma, in barba ai retroscenismi e alle indiscrezioni, il Movimento conferma di voler restare uguale a sé stesso: no ad accordi con altre forze politiche, no a candidature imposte dall’alto, no a candidati che occupano altre poltrone (niente parlamentari, per capirci), nessun nome esterno, no a patti di desistenza o convergenze di altro tipo su candidati della “società civile”, nessuna deroga rispetto alla formula tradizionale, con le liste che devono essere autorizzate e certificate dal team di Grillo.

Errore o valutazione giusta? Cieca ostinazione o coerenza? Controsenso o scelta prospettica?

Difficile rispondere, almeno se si resta nell'ottica delle valutazioni "result oriented".

Qualche settimana fa, nell’ambito di una riflessione sulla centralità della leadership nella politica contemporanea, sottolineavamo come fosse un limite evidente del M5S il non poter usufruire del valore aggiunto di una figura carismatica e riconoscibile, in grado, in determinate occasioni (come può essere un ballottaggio) di sovrapporsi al movimento politico, di sussumerlo, di rappresentarlo anche iconicamente. A maggior ragione, se consideriamo il carattere peculiare delle elezioni amministrative, in cui la scelta del candidato, la sua riconoscibilità, il suo carisma, la sua storia e le sue idee possono fare la differenza.

Il punto è capire qual è la risposta alla domanda base di consultazioni locali: “Affidereste mai casa vostra a uno sconosciuto con poca o nessuna esperienza?”

Per la quasi totalità degli analisti la risposta è no: i cittadini tendono a (af)fidarsi soprattutto di chi conoscono bene, magari di chi ha amministrato bene o ha in qualche modo avuto modo di mettersi in luce; le candidature – spot hanno sempre funzionato (si pensi al successo di nomi noti del mondo dello spettacolo, dello sport eccetera); l’inesperienza si paga, soprattutto sul terreno locale, dove bisogna avere a che fare direttamente con un moltitudine di soggetti diversi; il valore aggiunto del singolo candidato è sempre determinante in caso di testa a testa.

Per i grillini, invece, la risposta non è così scontata. In primo luogo perché considerano dirimente il giudizio dei cittadini: se, insomma, l’esperienza e l’abilità politica si concretizzano in corruzione, clientelismo e malcostume, allora c’è spazio per il “rinnovamento”, che deve per forza di cose passare da persone nuove, anche inesperte. C'è poi uno dei pilastri del MoVimento: la non indispensabilità delle individualità, la subordinazione del singolo alla leadership collettiva, che sostiene pensieri e proposte e surroga il pensiero personale (che acquista un senso solo solo se condiviso, e in quel caso diventa patrimonio collettivo). E, ovviamente, ci sono riscontri non proprio esaltanti delle prime "gestioni a 5 Stelle", segno anche di quanto la preparazione politico / amministrativa sia un tema centrale per il Movimento.

Infine c'è la questione centrale dell'intero progetto grillino: andare al Governo senza compromessi o cedimenti, fregarsene della realpolitik ed essere coerenti fino in fondo.

Ecco, mettere sulla bilancia queste opposte considerazioni non è operazione semplicissima. Alle Regionali questa strategia si è rivelata fallimentare, ma non è detto che lo sia anche alle Comunali (perché il trend si è invertito e soprattutto perché c'è il ballottaggio).

Perché non cambiare, allora? È solo un discorso di "coerenza" o c'è anche il timore che il passaggio di consegne avviato (non senza ambiguità e tentennamenti) da Grillo subisca un'accelerazione improvvisa, tale da esautorare i due fondatori dal controllo al livello locale=

Ripetiamo: "Se una struttura politica si basa su democrazia dal basso, responsabilità diffusa delle scelte e degli indirizzi, inclusione degli attivisti nei processi decisionali, allora tanto vale far decidere gli iscritti, no? In poche parole, visto che si chiede agli attivisti di decidere su tutto, perché non lasciare loro la possibilità di intervenire sulla struttura stessa del Movimento? Perché uno vale uno ma solo fino a un certo punto?" Se "uno vale uno", perché Grillo e Casaleggio non danno agli iscritti le chiavi anche per ripensare il Movimento, il cui "spirito" rischia di diventare un feticcio, se blindato a doppia mandata.

Il consenso elettorale: il M5S ora sfonda fra cinquantenni e disoccupati

Ma se la scelta del Movimento è prospettica, allora converrà dare un'occhiata a "chi vota 5 Stelle".

Su dati CISE per il Sole 24 Ore , è possibile effettuare, come fanno Emanuele e Maggini per la Luiss, una sorta di ricognizione sulle caratteristiche dell’elettorato del Movimento 5 Stelle.  Ebbene, i dati confermano che il M5S è il primo partito fra i giovani, con il 35,2% dei consensi, tuttavia “la novità è rappresentata dal fatto che il voto al Cinque Stelle cresce all’aumentare dell’età fino alla categoria dei 45-54enni, in cui il M5S risulta primo con quasi il doppio dei voti del secondo partito (42,3% contro il 24,5% del Pd), mentre nelle due classi di età più anziane, invece, il voto al partito di Grillo crolla, in linea con le analisi del passato (tra coloro che hanno più di 65 anni, il M5S è terzo con il 13,6%)”.

Sta cambiando, del resto, anche la composizione “sociale” del voto ai 5 Stelle, che cominciano a incontrare il favore di fasce sociali “tradizionalmente moderate”. Segno evidente che l’elettorato sta cambiando struttura e che leggere la situazione attuale con coordinate vecchie rischia di essere decisamente fuorviante. Il M5S non solo è il primo partito tra operai e disoccupati, ma anche tra la cosiddetta “borghesia” (siamo nel quadro di una autovalutazione), fra quelli che guadagnano dai 25mila ai 50mila euro annui, tra gli impiegati pubblici e privati (i quadri). Insomma, il voto ai 5 Stelle è trasversale a fasce d’età, profili sociali, provenienza geografica e livello d’istruzione.

È tecnicamente la base di partenza migliore proprio sul livello locale, con la possibilità "potenziale" di parlare a tutti. Il punto è che, come detto, sul livello locale, la figura di "chi" parla è decisiva.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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