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Perché Gabriele Muccino ha detto una cagata pazzesca

“Pier Paolo Pasolini non era un regista, ma usava la macchina da presa in modo amatoriale, senza stile e senza un punto di vista cinematografico sulle cose raccontate”: le parole di Gabriele Muccino hanno scatenato il web, e prendere una posizione a riguardo è d’obbligo. Una posizione che non sia di difesa spudorata a tutti i costi, o di condanna senza mezzi termini, ma riflettere, rileggere l’operato di un poeta che è stato anche regista, che piaccia o no, e che attraverso la macchina da presa ha espresso una propria visione del mondo: tralasciare questo, vuol dire aver dimenticato il significato vero e autentico, artistico, del “fare cinema”.
A cura di Federica D'Alfonso
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"La corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca!": i novantadue minuti di applausi di fantozziana memoria stavolta sono stati una valanga di insulti su Facebook, così come la "cagata pazzesca" non è il (bellissimo) film di Ejzenstejn ma sarebbe il Pasolini regista. Se il parallelismo può sembrare forzato, in realtà a ben guardare le due cose sono molto più simili di quello che sembra: entrambe, l'exploit fantozziano e le considerazioni mucciniane con tutto quello che ne è seguito, sono l'emblema di ciò che accade quando si banalizza e si semplifica fino all'inverosimile un'esperienza (artistica in entrambi i casi) che in realtà non ha proprio nulla di semplice o di immediatamente riassumibile in un aggettivo. Le parole di Muccino hanno fatto il giro del web in pochissimo tempo, e la reazione a catena che ne è scaturita ha portato alla chiusura del suo profilo Facebook e alle risposte indignate di personalità come Ninetto Davoli, che con Pasolini i film li girava, e di molti critici e docenti di cinematografia.

Non bisogna essere esperti del campo, tuttavia, per capire con un po' di buonsenso che le affermazioni di Muccino sono improbabili e assolutamente fuori luogo se si parla di un intellettuale come Pasolini, e attenzione: questo non vuol dire lodare Pasolini a tutti i costi ed eleggerlo a simbolo di se stessi senza criticità. Non condividere le affermazioni di Muccino, anzi pensare, come in questo caso, che siano loro una "cagata pazzesca", vuol dire andare molto più a fondo di quello strato di superficialità piccolo borghese che ha eletto Pasolini a totem da venerare o da scongiurare a tutti i costi; vuol dire, senza facili entusiasmi, dare alle cose il proprio nome e guardarle con oggettiva intelligenza. Un film, un regista, può piacere o non piacere, e questo è sacrosanto: ma giudicare, sentenziare, su un lavoro intellettuale come quello di Pier Paolo Pasolini a quel modo vuol dire avere le idee poco chiare riguardo il concetto stesso di arte e di libertà stilistica ed artistica.

Pier Paolo Pasolini durante le riprese di "Accattone", 1961
Pier Paolo Pasolini durante le riprese di "Accattone", 1961

Muccino ha sempre pensato "che Pasolini regista fosse fuori posto, anzi, semplicemente un "non" regista che usava la macchina da presa in modo amatoriale", un improvvisato uomo con la macchina da presa "senza stile" e senza "un punto di vista meramente cinematografico sulle cose che raccontava". A margine del proprio intervento ha anche affermato: "Ribadisco il mio rispetto per Pasolini poeta e narratore della società quando ancora in pochi riuscivano ad interrogarla, provocarla e analizzarla, il cinema però è altra cosa". Ebbene cos'è allora il cinema, esattamente, signor Muccino? Domanda spontanea, se si pensasse che la storia della cinematografia fosse fatta di schemi e tecnicismi preconfezionati, se un film raccontasse una storia solo in virtù delle tecniche perfette che può utilizzare. Una domanda sciocca, perché sciocco sarebbe voler definire l'arte secondo la tecnica: arte, e quindi comunicazione, critica e racconto, è anche scegliere di tralasciare volutamente tutto uno schema imposto di segni e immagini per privilegiare la propria idea di realtà. Se non fosse così, non esisterebbero correnti artistiche, rivoluzioni di pensiero e nemmeno il cinema d'autore, visto che di questo si parla nel caso di Pasolini.

Ecco perché le affermazioni di Muccino sono una cagata fantozziana: il regista non è solo un tecnico; chiunque, una volta apprese le regole, il significato delle inquadrature e del montaggio, potrebbe allora essere regista. Essere regista vuol dire in primis essere un artista, ed essere artista vuol dire avere una forza intellettuale tale da poter scegliere di tralasciare una tecnica che limiterebbe la propria visione di realtà. Essere artista vuol dire avere un concetto talmente elevato della vita, della realtà e dell'arte stessa che ad un certo punto la tecnica e la perfezione formale trascendono loro stesse: Picasso, Kandinskij e Warhol sono solo alcuni esempi di quella creatività artistica che senza questa consapevolezza, cessa di avere valore. Ecco perché essere regista come lo era Pasolini vuol dire saper raccontare storie con immagini anche nuove e spiacevoli, e saperle rendere comunque poesia, una poesia che vuole impegnarsi a raccontare la realtà. E la realtà purtroppo non è sempre bella, non è mai perfetta, la luce non è mai ottimale e lo sguardo sulle vicende umane può anche procedere a scatti e in modo discontinuo come gli stessi protagonisti: questo era uno dei significati che Pasolini intendeva dare al suo cinema, e questo è il significato che Muccino sembra tralasciare nella sua cruda analisi.

Utilizzare una lingua nuova per esprimere la sua visione della realtà: questo è l'approccio di Pasolini al cinema all'inizio degli anni Sessanta, dopo le esperienze di sceneggiatura con Mario Soldati, Fellini e Mario Bolognini. È vero, nessuno lo nega: Pasolini arriva a girare Accattone, il suo primo lungometraggio del 1961, senza una precisa conoscenza del mezzo cinematografico. È un cinefilo, è cresciuto con i film neorealisti dell'immediato dopo guerra, ma non ha studiato la tecnica. Impara sul set, giorno per giorno, grazie all'aiuto del direttore della fotografia Tonino Delli Colli e ai consigli pratici di un giovane Bernardo Bertolucci, che invece aveva frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia. Ma Pasolini costruisce il film in modo estremamente consapevole, seguendo un'idea che rimarrà cifra distintiva di tutto il suo cinema futuro: un'idea di cinema antinaturalistico, irrazionale, poetico, nel senso di una rappresentazione della realtà attraverso il punto di vista diretto dei personaggi. Il più delle volte gli attori sono "non" attori, vengono presi dalla strada come il più alto Neorealismo aveva insegnato, il bianco e nero è sempre angosciante, sporco, i movimenti sono effettuati su un carrello che alcune volte fa tremolare la macchina da presa, volutamente trattata come fosse un occhio umano umile che guarda il mondo circostante. Si potrebbero guardare i film di Pasolini uno dopo l'altro e fermarsi ad ogni inquadratura, su ogni primo piano, per capire come le affermazioni di Muccino non abbiano senso, nemmeno "dal punto di vista meramente cinematografico".

inquadratura tratta da "Accattone", 1961
inquadratura tratta da "Accattone", 1961

Le disamine tecniche da fare sarebbero molte e anche molto interessanti, si potrebbe davvero riflettere su ogni singola affermazione di Muccino ed usarla per andare a rileggere, rivedere e riscoprire il Pasolini di Mamma Roma, del Decameron e de I fiori delle Mille e una notte. Ma separare lo scrittore, il poeta e il critico dal Pasolini regista è, senza esagerazioni, un'eresia: il cinema pasoliniano è il riassunto perfetto di un'attività costante di riflessione reale, anticonformista, su una società che in poco tempo aveva cristallizzato se stessa in modi di rappresentazione perfetti, borghesemente ipocriti e moralisti. Pasolini era uno scrittore, certo, così si definiva lui stesso, ma la regia per lui era un altro modo di scrivere le sue storie.

Ma forse in tutta questa confusione mediatica che si è creata un aspetto positivo c'è, come in tutte le cose: che si continua a parlare instancabilmente e con la stessa forza violentemente indignata di un'intellettuale scomparso quarant'anni fa. Grazie a Muccino probabilmente chi non aveva mai visto un film di Pasolini ora andrà a cercare la ragione o il torto delle sue parole direttamente nei film, in quei film che sono inconfondibili, unici, poetici, ed esempio di un'intelligenza così sofisticata che a volte è difficile anche da cogliere.

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