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Per Davigo gli errori giudiziari non esistono, ma allo Stato costano 40 milioni all’anno

Nel corso della puntata di Porta a Porta dedicata alle ingiuste detenzioni e agli errori giudiziari, il presidente dell’Associazione Nazionale dei Magistrati Piercamillo Davigo ha più volte ribadito che le detenzioni di innocenti non sono ingiuste “ma automatiche” e che gli errori non sono commessi dai giudici, che in realtà vengono ingannati dagli imputati. Dall’assoluzione che non è sinonimo di innocenza fino alla responsabilità civile delle toghe classificata come intimidazione, l’intervista a Davigo è il perfetto decalogo di tutto ciò che il diritto non è e non dovrebbe essere.
A cura di Charlotte Matteini
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Foto LaPresse - Stefano Costantino 11/04/2016 Roma (ITA) Cronaca Il nuovo presidente dell'associazione nazionale magistrati, Piercamillo Davigo, durante la trasmissione televisiva 'Otto e Mezzo' negli studi di La7 di Roma, Italia. Nella foto: Piercamillo Davigo Photo LaPresse - Stefano Costantino 11/04/2016 Roma (ITA) The new president of the National Association Magistrates, Piercamillo Davigo, during the television program 'Otto e Mezzo' in La7 studios in Rome, Italy. In the pic: Piercamillo Davigo
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Durante la puntata di Porta a Porta dedicata agli errori giudiziari e alle ingiuste detenzioni, andata in onda mercoledì 1° febbraio su Rai 1, il presidente dell'Associazione Nazionale dei Magistrati, Piercamillo Davigo, torna sostanzialmente a ribadire l'antico assioma che lo rese celebre durante gli anni di Mani Pulite: "Non esistono innocenti, ma solo colpevoli che non sono stati ancora scoperti”. La paternità della dichiarazione, espressa nell'ambito di un'inchiesta relativa ad alcuni appalti contrattati tra partiti e imprese, è sempre stata respinta da Davigo, che più volte ha puntualizzato che la frase aveva senso all'interno del contesto dell'epoca e che la continua decontestualizzazione da parte degli avversari politici era meramente strumentale. Come anticipato, durante Porta a Porta, affrontando il tema degli errori giudiziari, che allo Stato costano all'incirca 40 milioni di euro l'anno – 648 in totale dal 1992 per le ingiuste detenzioni e 43 per gli errori giudiziari – Davigo è tornato a ribadire un concetto intriso di giustizialismo giacobino: "Le ingiuste detenzioni sono quelle in cui uno viene colpito da un provvedimento di custodia cautelare e poi viene assolto. Il che non significa che siano tutti necessariamente innocenti, anzi".

In sostanza, prosegue Davigo spiegando la sua posizione, molto spesso gli imputati vengono assolti, per esempio, a causa di meri cavilli processuali: prove raccolte durante le fasi preliminari che poi non possono essere utilizzate in fase dibattimentale, ritrattazioni, le modifiche al codice che rendono di fatto non più utilizzabili le prove a disposizione degli inquirenti e così via. Una casistica infinita, che sostanzialmente porta Davigo a sostenere, tra le righe, un concetto: non è ingiusta la detenzione di un non condannato, il magistrato non ne ha colpa. Spesso chi viene dichiarato innocente, in realtà innocente non è affatto, è solo mancata la prova per la condanna. Insomma, dalla presunzione di innocenza oltre ogni ragionevole dubbio si passa allo stigma della presunzione di colpevolezza fino a prova contraria. In dubio pro reo? Carta straccia, per Davigo.

Subito dopo il battibecco tra Davigo e il ministro Enrico Costa sulla presunta colpevolezza di chi viene assolto in seguito a un processo, Bruno Vespa manda in onda una clip dedicata alle ingiuste detenzioni e alla storia di Giuseppe Gulotta, risarcito con 6,5 milioni di euro dallo Stato per un'ingiusta carcerazione durata ben 22 anni. La vicenda di Gulotta è emblematica: quando aveva solo 18 anni, l'uomo venne torturato dai carabinieri della compagnia di Alcamo e portato a confessare l'omicidio di due militari dell'Arma avvenuto poco tempo prima, omicidio mai commesso da Gulotta. Dopo ben 22 anni, Gulotta è stato scarcerato grazie alla testimonianza dell'ex brigadiere Renato Olino e oggi, senza ombra di dubbio, può dichiararsi innocente e ingiustamente detenuto. Chiunque si scandalizzerebbe a sentire la storia di Giuseppe Gulotta e griderebbe allo scandalo. Chiunque, ma non lo stoico Piercamillo Davigo.

Nella clip "c'era un passo che va assolutamente disatteso" – sostiene Davigo – "Quello in cui si sostiene che di solito gli errori giudiziari sono errori del giudice. Non è assolutamente così. Il giudice non è presente quando viene commesso il reato, sa le cose che gli raccontano. Se gli raccontano delle bugie e lo ingannano, non è un errore del giudice […] Il caso clamoroso che è stato presentato (quello di Gulotta ndr) è stato frutto di tortura da parte delle forze di polizia nei confronti di quelle persone, che hanno pure confessato. Questo può sviare la Giustizia. Per questo è semplicistico dire che il giudice ha sbagliato, bisognerebbe dire che il giudice è stato ingannato", sottolineando che tra tutte le attività umane, quella del magistrato è quella a più alto rischio di errore. Si potrebbe ricordare che Gulotta ha sempre ribadito la propria innocenza o forse si potrebbe anche ricordare al presidente dell'Anm la celeberrima vicenda di Enzo Tortora, ma probabilmente anche in questo caso Davigo troverebbe un qualche cavillo per difendere la condotta del Pm Diego Marmo.

Dopo un breve excursus relativo alla giustizia americana e alla depenalizzazione, il ministro Costa cerca di tornare all'argomento principale, sostenendo che le ingiuste detenzioni sono relative a persone incarcerate ingiustamente, appunto, e che poi sono state assolte, dichiarate innocente. "No, ingiustamente no, è automatica", spiega piccato Davigo, sottolineando che la responsabilità civile dei magistrati, ovvero il costringere chi sbaglia a rifondere i danni pagati dallo Stato, è un'intimidazione.

Insomma, nonostante gli anni passino e scorrano placidamente, il Davigo pensiero rimane sempre strenuamente arroccato a una visione della giustizia piuttosto forcaiola e lontana dai principi fondanti dello Stato di Diritto, da perfetto Robespierre che non ammette possibilità di errore, a meno che questo errore non vengano compiuti dai colleghi di toga.

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Milanese, classe 1987, da sempre appassionata di politica. Il mio morboso interesse per la materia affonda le sue radici nel lontano 1993, in piena Tangentopoli, grazie a (o per colpa di) mio padre, che al posto di farmi vedere i cartoni animati, mi iniziò al magico mondo delle meraviglie costringendomi a seguire estenuanti maratone politiche. Dopo un'adolescenza turbolenta da pasionaria di sinistra, a 19 anni circa ho cominciato a mettere in discussione le mie idee e con il tempo sono diventata una liberale, liberista e libertaria convinta.
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