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Parlamento, tetto di 240mila euro ai dipendenti, ma i sindacati non ci stanno

I tagli agli stipendi dei dipendenti di Camera e Senato non vanno giù ai sindacati di categoria.
A cura di D. F.
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In tempo di crisi e "tagli alla casta" nessuno viene risparmiato: il monito, lanciato mesi fa dai presidenti di Camera e Senato, non è però andato giù ai lavoratori del Parlamento: dagli assistenti ai burocrati, passando per impiegati e funzionari, i lavoratori sembrano pronti a ribellarsi ai tagli ed hanno dato vita a un serratissimo confronto con Marina Sereni e Valeria Fedeli, le due vicepresidenti con delega al personale che ieri pomeriggio hanno tentato di dialogare con i rappresentanti sindacali dei lavoratori.

Oggetto del contendere la cosiddetta "Ridefinizione delle retribuzioni dei dipendenti", un testo di cinque pagine e dieci articoli il cui scopo è attuare una sorta di piccola "spending review" interna: i tagli ammonterebbero a circa 60 milioni di euro per la Camera e 36 milioni per il Senato. A Montecitorio i lavoratori coinvolti sarebbero 1600, mentre a Palazzo Madama 799. L'operazione va portata a compimento entro la fine del 2018, ma prenderà il via dal gennaio del 2015. I sindacati, tra i quali anche la CGIL, hanno dichiarato che la manovra è irricevibile e si apprestano a presentare ricorso al giudice del lavoro.

Ma cosa prevede il piano dei tagli? Per i consiglieri il tetto di stipendio sarebbe fissato a 240mila euro; gli stenografi al massimo guadagnerebbero 170mila euro, i documentaristi 160mila e i coauditori 115mila. I commessi, invece, 99 mila euro. Si tratta, con ogni evidenza, di retribuzioni non propriamente basse.

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