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Palestina, storia di uno Stato che non c’è

In questi giorni i leader dell’Autorità Nazionale Palestinese si trovano a New York per chiedere il riconoscimento di uno Stato che prenda il nome di Palestina. L’entità statuale reale, che tecnicamente comprenderebbe i confini segnati nel 1967, è un’ipotesi realizzabile per un territorio ormai dilaniato dalle divisioni? Un breve escursus sulla divisione del territorio palestinese a partire dalla dichiarazione di Balfour del 1917. Un nuovo nome cambierà la realtà dei “Territori Occupati”?
A cura di Simona Saviano
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Nella mia veste ufficiale di presidente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina e capo della rivoluzione palestinese, mi appello a voi perché accompagniate il nostro popolo nella sua lotta per ottenere il diritto all’autodeterminazione […] Mi appello a voi perché collaboriate al rientro del nostro popolo nella sua terra natia da un esilio forzato impostogli con le armi, con la tirannia e l’oppressione, così che possiamo riconquistare la nostra proprietà, la nostra terra, e vivere così nella nostra patria nazionale, libera e sovrana, godendo di tutti i privilegi della nazionalità […] Oggi sono venuto portando un ramoscello d’ulivo e il fucile di un combattente per la libertà. Non lasciate che il ramoscello d’ulivo mi cada di mano

Era il 13 novembre del 1974 quando l'ex leader dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), Yasser Arafat pronunciava questo discorso dinnanzi all'Assemblea Generale dell'ONU. Nel discorso compaiono i principi chiave dell'organizzazione: la lotta (legittima) dei palestinesi per la propria libertà e l'autodeterminazione nazionale. Dalle fila dell'OLP è nata, in seguito agli accordi di Oslo del 1994, la non meglio identificata "entità" che prende il nome di Autorità Nazionale Palestinese (nata con lo scopo di governare principalmente su alcuni territori della Striscia di Gaza e della Cisgiordania ma che oggi è il primo interlocutore del popolo palestinese) che si appresta nei prossimi giorni a chiedere il riconoscimento ufficiale dello Stato palestinese.

sostenitori del leader dell'OLP nella città di Ramallah, nella West Bank

Il lungo cammino dei palestinesi verso l'indipendenza

Durante la Prima GuerraMondiale gli inglesi avevano spronato la rivolta del popolo arabo contro l’Impero Ottomano, promettendo loro l’indipendenza una volta smantellato l’Impero; ma gli accordi di Sykes-Picot e la Dichiarazionedi Balfour tradirono queste aspettative, causando delle conseguenze che si fanno sentire ancora oggi. Nel 1916 il plenipotenziario inglese Mark Sykes e il plenipotenziario francese François Picot firmavano una serie di intese, conosciute come Accordi Sykes-Picot in base a quali alla Gran Bretagna veniva riconosciuta una sfera di influenza "esclusiva" nella zona posta a sud della Mezzaluna Fertile, dalla Palestina al Golfo Persico; mentre alla Francia veniva riconosciuta un'influenza esclusiva dalla Siria al Libano. Questo il "riassetto" del Medio Oriente all'indomani del crollo dell'Impero Ottomano: dal1920 ha inizio in Palestina il Mandato inglese, frutto di questi accordi. Formalmente l'intento del Mandato era quelli di aiutare popolazioni "incivili" nella creazione di istituzioni politiche, fino a quel momento assenti, in previsione di un ritiro delle Potenze coloniali nella regione: nulla da eccepire sela Palestina avesse fatto parte di un impero coloniale, cosa che così non era.

Le implicazioni della Dichiarazione di Balfour furono ancora più gravi di quelle degli accordi precedenti. Già nel 1897 il Congresso sionista di Basilea auspicava ad un ritorno degli ebrei dalla diaspora in Palestina: grazie all'opera di attivisti e propagandisti come Chaim Weizman il congresso riuscì ad ottenere la promessa di impegni da parte del governo inglese. Si deve a Weizman la dichiarazione del Ministro degli Esteri lord Balfour, con il quale si rese noto che

"Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni. Le sarò grato se vorrà portare questa dichiarazione a conoscenza della federazione sionista. Con sinceri saluti, Arthur James Balfour"

I motivi reali di questa dichiarazione sono diversi: all'epoca gli inglesi non avevano interessi strategici in Palestina e non esistevano forti correlazioni tra il sionismo e il Regno Unito, ed è possibile che i sudditi di sua Maestà abbiano voluto assicurarsi un appoggio nel Vicino Oriente, rendendo così i sionisti alla stregua di "europei nella zona". Inoltre ha influito quello che lo viene definito come "il moralismo vittoriano desideroso di ricompensare un popolo, quello ebraico, da secoli costretto all'esilio e alle persecuzioni". Qualunque sia stato il motivo scatenante, da quel momento in poi questa dichiarazione fu una sorta di "lasciapassare" per i sionisti che iniziarono una sorta di "emigrazione legale" nella terra dei loro padri.

Nella foto, un gruppo di ebrei arriva nel porto di Haifa

I flussi migratori furono esigui per molto tempo; nel 1922 si contano 80.000 ebrei in Palestina (su una popolazione di 750.000). Il sionismo era un movimento che aveva radici etniche, più che religiose: significativo era l'elemento dell'identità nazionale ebraica. L'occupazione avvenne sia con metodi "legali" come il semplice acquisto presso proprietari terrieri arabi, che attraverso mezzi come l'espropriazione violenta. La convivenza acquisì da subito un carattere problematico: furono istituite delle commissioni, come la Commissione Peel nel 1937 che propose un piano di spartizione del territorio palestinese così da costituire due stati, uno ebraico e l'altro arabo. E' proprio in questi anni, a seguito delle persecuzioni hitleriane, che il flusso migratorio nella regione si intensificò. La situazione era totalmente sfuggita agli inglesi, ancora responsabili per quanto stava accadendo nella Palestina di cui risultavano mandataria: cercarono di correre ai ripari pubblicando nel 1939 il Libro Bianco, una sorta di documento programmatico in cui si poneva un tetto preciso all'immigrazione ebraica in Palestina.

Il piano di spartizione della Palestina

spartizione Palestina mandataria

Il documento conclusivo della Commissione Peel divenne la base per la spartizione della Palestina: nel 1947 l'Assemblea Generale ONU, con la contrarietà dei paesi arabi, adotta la risoluzione n.181 in cui, dopo aver preso atto dell'impossibilità di una convivenza tra i due popoli, si dividevala Palestina (ancora sotto mandato britannico) creando due stati, uno ebraico e uno arabo, e dando a Gerusalemme uno status internazionale.

Inoltre mentre la frontiera tracciata aveva inglobato la gran parte dei villaggi ebraici all'interno dello "Stato ebraico", non accadde lo stesso per la maggior parte dei villaggi arabi, che risultavano incorporati nella zona ebrea. A ciò si aggiunge che lo "Stato arabo" così creato non aveva sbocchi sul Mar Rosso e sul Mar di Galilea; la situazione finale vedeva assegnata la maggior parte del territorio alla popolazione ebraica che costituiva un terzo della popolazione totale.

Nel 1948 gli inglesi si ritirano dalla Palestina, ponendo fine al mandato nella regione e i sionisti proclamarono lo "Stato d'Israele", con Gerusalemme come capitale (uno dei nodi critici di questa lotta è proprio lo status di questa città, che la Legge Fondamentale israeliana del 1980 continua a dichiarare propria capitale). Il riconoscimento internazionale arrivò subito da parte di USA e Urss, una tappa fondamentale per la legittimità della nuova "formazione".

Nel maggio 1948 gli eserciti di Egitto, Siria, Libano, Iraq e Transgiordania, attaccarono Israele, che però riuscì (approfittando delle frizioni interne agli Stati arabi) a costringerli ad arretrare, distruggendo centinaia villaggi e obbligando nella sostanza i palestinesi all'esilio. L'anno 1948 è meglio conosciuto come al-Nakba "catastrofe", a simboleggiare l'espulsione dei palestinesi e arabi dalla Palestina. La guerra terminò con la sconfitta araba definitiva nel maggio del 1949 con l'esercito israeliano che aveva occupato un territorio ben più ampio di quello promesso dal piano ONU (solo il 21% della Palestina restò agli arabi); la Striscia di Gaza passò sotto il governo egiziano,la Giordania aveva occupatola West Bank (che designa letteralmente "la sponda occidentale del fiume Giordano", conosciuta in italiano come Cisgiordania) e la parte araba di Gerusalemme.

La nascita dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina

Nella foto bambini a Nablus con le chiavi che simboleggiano il diritto al ritorno in patria

Diversi anni sono serviti ai palestinesi per risollevarsi dalla Nakba del 1948: è solo nel 1959 che iniziò a formarsi un movimento di liberazione per il territorio palestinese, ad opera di Yasser Arafat, che prese il nome di Al-Fatah (letteralmente "vittoria", in realtà è anche l'acronimo di Movimento per la Liberazione della Palestina"). Nel 1964 si è tenuto il primo congresso nazionale palestinese che portò alla nascita dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, nel cui testo fondamentale rivendicava il diritto dei palestinesi all'autodeterminazione e condannava la creazione di Israele. Per tutti gli anni Cinquanta gli ebrei in Israele si divisero tra sionisti più intransigenti, come dimostrato anche dal Caso Lavon (Pinhas Lavon fu un ministro israeliano che nel 1954 autorizzò degli agenti segreti israeliani a compiere attentati in Egitto fingendosi arabi, al fine di minare le relazioni arabe con le potenze occidentali) e i moderati del partito Mapai (Partito dei Lavoratori) che governarono fino al 1961.

Nel 1956 dopo la nazionalizzazione del Canale di Suez da parte del Presidente egiziano Nasser e dopo l'intervento militare e politico anche di Gran Bretagna e Francia, gli israeliani costrinsero gli egiziani alla ritirata e conquistarono il Sinai (restituito all'Egitto dopo gli accordi di Camp David). Da quel momento in poi si sono susseguite una serie di polemiche e scontri lungo il confine tra Egitto e Israele.

insediamenti israeliani in Palestina

A maggio del 1967 l'Egitto chiuse lo stretto di Tiran alla navigazione israeliana (condizionando quindi i commerci) chiedendo il cambio ritiro delle forze sioniste dal Sinai; contemporaneamente continuavano gli attacchi palestinesi e la Siria persisteva nelle sue provocazioni pubbliche contro lo Stato di Israele che si sentiva così accerchiato e vulnerabile. L'esercito israeliano attaccò in quella che viene definita “Guerra dei Sei Giorni”, combattuta grazie all'avallo statunitense e all'immobilità sovietica. Gli israeliani riuscirono ad annientare in brevissimo tempo le forze egiziane, occupando il Sinai e Gaza; a nord conquistarono le alture siriane del Golan arrivando alle porte della città di Damasco. Per quanto riguarda l'offensiva diretta alla Giordania si impadronirono della Cisgiordania e di Gerusalemme.

Il problema dei rifugiati da questo momento in poi si fece sempre più drammatico; migliaia di palestinesi migrarono in Libano e in Giordania. Proprio in questo paese il preoccupato re Hussein intervenne attaccando alcune roccaforti palestinesi, giungendo quasi sul punto di una guerra inter-araba. La dura repressione del re giordano avvenne in quello che divenne il famoso “Settembre Nero” del 1970. La stessa locuzione ha designato un gruppo di terroristi palestinesi responsabili di diversi attentati, tra cui quello più famoso nel 1972 durante le Olimpiadi di Monaco ai danni di alcuni atleti israeliani.

Gli anni Settanta e i negoziati per la risoluzione del conflitto

La condizione problematica del popolo palestinese ha avuto ripercussioni sui vicini Stati mediorientali: in Libano scoppiò una guerra civile nel 1969 e nell’anno successivo terminò la “Guerra d’attrito” tra Egitto e Israele (iniziata nel 1968). Tutte furono provocate dalla rabbia dei popoli arabi di fronte allo strapotere militare di Israele; tipiche di questo momento storico furono gli attacchi a sorpresa dei guerriglieri dell'OLP che confidavano nella formazione di uno Stato indipendente palestinese. Se la Guerra dei Sei Giorni sancì lo status quo della Palestina ormai occupata dagli israeliani, il morale dei paesi arabi si risollevò dopo il conflitto del Kippur, scoppiato nello Yom Kippur (una festività ebraica, letteralmente “giornata dell’espiazione”) nel 1973, durante il quale le forze panarabe (Egitto, Siria) misero in atto una serie di attacchi nel Sinai e nel Golan che portarono all’inizio di negoziati con Israele.

Il conflitto venne interrotto con l’intervento dell’ONU per il “cessate il fuoco” (gli Stati Uniti furono i principali mediatori nel conflitto, e grazie al proprio intervento tra Israele ed Egitto, in piena Guerra Fredda riuscirono nell’intento a spingere l'Egitto fuori dall'influenza sovietica). Il 22 giugno del 1973 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvò la risoluzione n. 242, con la quale venne istituita la cosiddetta Green Line, linea posta a delimitare i territori destinati alla creazione dello Stato Palestinese (La Cisgiordania con Gerusalemme est ela Striscia di Gaza).

i tre presidenti

La fine delle guerre arabo-israeliane portò ad una momentanea distensione, anche se persistevano elementi di forte tensione. Un esempio su tutti fu lo storico discorso del Presidente egiziano Anwar Sadat alla Knesset (sede del governo israeliano) nel 1977; l'importanza di tale discorso (al di là delle accuse di corruzione che sarebbero arrivate di lì a poco nei confronti di Sadat) è storica: per la prima volta un leader arabo ha infranto la barriera (simbolica e fisica) che separava gli arabi da Israele, e il contenuto di questo enunciato simboleggiava la speranza di Vicino Oriente pacificato. "Terra in cambio di pace" fu lo slogan che ha guidato da questo momento in poi i negoziati.

Sadat affermò (sebbene nella realtà fece l’inverso) di non voler firmare alcun accordo che non avesse preso in considerazione i diritti dei palestinesi

Qualsiasi accordo che non tenga conto dei diritti dei palestinesi non avrebbe alcun senso, né potrebbe contribuire a riappacificare l'area mediorientale […] la richiesta di una pace giusta e permanente, basata sul rispetto per le risoluzioni delle Nazioni Unite, è ormai diventata la richiesta di tutto il mondo. Per quanto riguarda la causa palestinese, nessuno può negare che fosse il nocciolo di tutto il problema […] Dato che il popolo palestinese e i suoi legittimi diritti non sono più negati da nessuno, non è di alcuna utilità fare orecchie da mercante alla sua voce clamorosa, che viene udita il giorno e la notte, o chiudere gli occhi davanti alla sua realtà storica

Dopo gli Accordi di Camp David tra Israele ed Egitto del 1978 (Israele accettato dall’Egitto in cambio del Sinai), negli anni Ottanta lo Stato di Israele poté concentrarsi sulla distruzione della sua principale minaccia interna rappresentata dagli attacchi terroristici palestinesi. Con la proclamazione di Gerusalemme capitale (condannata da risoluzioni ONU non vincolanti), Israele dette il via all’operazione "Pace in Galilea", con la quale si prevedeva la creazione di una zona priva di insediamenti palestinesi intorno ai confini settentrionali, così da creare una sorta di “cuscinetto” per la sicurezza di Israele.

massacri durante l'operazione Pace in Galilea

Israele invase così il Libano spingendosi fino a Beirut e l'OLP dovette trasferire la propria sede in Tunisia. L'immagine simbolo dell'operazione israeliana è rappresentata dai massacri dei campi profughi di Sabra e Shatila, nella periferia di Beirut perpetrati da Elie Hobeika e dalle forze filo-israeliane dell'esercito del Sud-Libano. la successiva inchiesta che accertò dure responsabilità in Israele si concluse con le dimissioni di Ariel Sharon, fino ad allora Ministro della Guerra.

la rivoluzione delle pietre

Nel 1987 un nuovo moto rivoluzionario, meglio conosciuto come Prima Intifada letteralmente “brivido, scossa", ha tentato di combattere l'occupazione israeliana dei Territori Occupati con scioperi e disobbedienza civile (oltre che con al lancio di pietre, mezzo che suscitò grande impressione nel mondo occidentale). L'Intifada venne repressa duramente dall'esercito israeliano (secondo alcune stime fino agli accordi di Oslo del 1993 si conterebbero 1600 palestinesi uccisi a fronte di 84 israeliani). Nel 1988 ad Algeri viene proclamato lo “Stato palestinese indipendente" da parte del Consiglio Nazionale Palestinese (organo legislativo dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina); ma lo Stato proclamato non è mai stato effettivamente indipendente, perché non c’è mai stata sovranità sul territorio in questione.

I primi segnali di distensione tra arabi e israeliani sono iniziati durante la Conferenza di Pace interaraba che si è svolta a Madrid nel 1991. Le trattative sono culminate negli Accordi di Oslo nel 1993: dopo 6 mesi di negoziati segreti lo Stato di Israele e l’OLP si sono riconosciuti a vicenda e hanno firmato una dichiarazione circa un'autonomia palestinese transitoria di 5 anni (è in questi anni che si costituisce l’Autorità Nazionale Palestinese guidata oggi da Abu Mazen). L’accordo fu storico e si dovette alle capacità di mediazione tra il premier Israeliano Rabin e il capo dell'Olp Yasser Arafat, che si proclamò Presidente dell’ANP appena formato. Nel 1996 il conflitto sembrava avviato ad una soluzione: Israele si ritirò dal 70% della Striscia di Gaza e dall'enclave cisgiordana di Gerico. Arafat, Rabin e Shimon Peres ottennero il premio Nobel per la pace. Tra il 1995 e il 1998 sono proseguiti i negoziati per il ritiro graduale degli israeliani dalla Cisgiordania, che venne posta sotto l'autonomia palestinese, che si conclusero senza discussioni significative.

Nel 2000 è fallito il Vertice di Camp David tra Arafat e il nuovo premier israeliano Ehud Barak; i punti di disaccordo sono stati gli stessi nodi che restano da sciogliere ancora oggi: il rientro dei profughi palestinesi e lo status della città di Gerusalemme. Nello stesso anno è scoppiata una seconda Intifada, in cui sono morti 5000 palestinesi.

Parte del muro della vergogna costruito dagli israeliani

Il 2002 rappresenta un anno cruciale. Da una parte il presidente americano George W.Bush auspicò per la prima volta la soluzione dei "due stati per due popoli", enunciando il piano della Road Map, in base al quale l’obiettivo ultimo sarebbe dovuto essere la creazione di uno Stato palestinese indipendente a fianco di Israele, in pace. Il quartetto formato da USA, ONU, Russia, Ue ha previsto la fine della violenza palestinese e della colonizzazione ebraica (grazie alla creazione di uno stato palestinese) entro il 2005. Significativa è la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia nel 2004 con la quale si conferma che i territori occupati dallo Stato di Israele oltre la "Linea Verde" del 1967 continuano ad essere "territori occupati", insieme alla parte est di Gerusalemme.

A dispetto del rispetto di qualsiasi negoziato, il 29 marzo 2002 iniziò “l’operazione muro difensivo”: l'esercito di Israele invase Ramallah e circondò la Mukata, quartier generale di Arafat che vi rimane prigioniero. Il "muro della vergogna" , così come viene definito, è rappresentato da 750 Km di mura in cemento, alto 8 metri, comprensivo di fossato, filo spinato e recinzione elettrificata, dotato di numerose torri di controllo, sensori elettronici, sistemi di rilevazione termica e telecamere, torrette per i cecchini. Lo scopo ultimo era di impedire fisicamente ogni intrusione di terroristi palestinesi nel territorio nazionale; il muro non ha ricevuto la "dovuta" attenzione; si pensava che seguisse la Green Line, ma nella realtà il muro penetra profondamente nella Cisgiordania. Il 25% della popolazione della Cisgiordania ha perso la sua terra, restando imprigionata in veri e propri ghetti.

Striscia di Gaza

Nel frattempo peggiora la situazione nella Striscia di Gaza: nel 2001 i palestinesi lanciano il primo razzo Qassam diretto agli israeliani, che rispondono con una durissima repressione messa in atto con "l'Operazione Arcobaleno".

Intanto acquisiva per diversi anni una grande legittimazione popolare l'organizzazione palestinese di Hamas, fondata all'inizio della Prima Intifada per combattere l'occupazione israeliana palestinese. Hamas è un'organizzazione di ispirazione religiosa islamica, di carattere politico e paramilitare, e dal 2006 ha vinto le elezioni legislative nei territori palestinesi. In seguito alla vittoria elettorale, il mondo occidentale si è chiesto se e in che modi è possibile dialogare con Hamas e l'ANP (spesso hanno pareri e modus operandi diversi, non ultime le critiche di Hamas per il mondo in cui Abu Mazen sta portando la questione del riconoscimento dello Stato Palestinese in sede internazionale): l'Unione Europea, ad esempio, ha vincolato il sostegno ai seguaci di Abu Mazen a patto che Hamas rinunci alla lotta armata, riconosca il diritto di Israele ad esistere e appoggi il processo di pace in base agli Accordi di Oslo.

Ramallah, West Bank

Per tutta risposta, nel 2007 Hamas ha occupato con le armi la Striscia di Gaza, rendendo vani i negoziati tra i due popoli. Dopo una serie di operazioni militari e di tregue che hanno messo a dura prova la popolazione civile palestinese, Israele nel 2008 ha portato avanti l'Operazione Piombo fuso (durante la quale hanno perso la vita 1400 civili palestinesi): una campagna militare con l'intento di colpire l'amministrazione di Hamas per pacificare e rendere "sicura" la Striscia di Gaza nel tempo. Attualmente gli israeliani portano avanti un vero e proprio blocco per la cittadinanza della Striscia, nonostante gli inviti delle Nazioni Unite a rimuovere il blocco nel più breve tempo possibile. Nel 2009 il premier Netanyahu accetta per la prima volta l'idea di uno stato palestinese, ma con limiti severissimi quali il riconoscimento di Israele come Stato ebraico, quindi con la rinuncia da parte dei palestinesi a ritornare in patria. La proposta è stata rifiutata dai leader palestinesi, per i quali i nodi da risolvere restano sempre gli stessi di 20 anni fa.

A nulla sono serviti i negoziati in cui il Presidente Obama ha fatto da intermediatore nell'ultimo anno. A maggio scorso Obama nel Piano Marshall per il Medio Oriente ha chiesto alle colonie israeliane di ritornare ai confini stabiliti nel 1967; ma il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è detto totalmente contrario ad un ritorno ai confini del 1967.

A Nablus, i sostenitori dell'ANP manifestano

Abu Mazen è attualmente impegnato nella sua campagna per il riconoscimento dello Stato Palestinese: difficile fare un pronostico sui risultati. Ma la richiesta così com'è (gli stessi leader di Hamas definiscono i contenuti di tale richiesta "vaghi" e che lasciano inesplorati diversi punti) difficilmente potrà essere presa in considerazione. La strada scelta dal leader dell'ANP di ricorrere al Consiglio di Sicurezza per vedere (con tutta probabilità) la propria proposta bloccata sul nascere da un "no" statunitense oppure rifiutata da almeno 7 paesi membri del Consiglio di Sicurezza sapientemente convinti da Obama sulla necessità di un ritorno ai negoziati.

Bisognerebbe ritornare al tavolo dei negoziati, così come auspicato dal Presidente Nicolas Sarkozy (che ha proposto per ora l'entrata della Palestina alle Nazioni Unite in veste di Paese Osservatore), e chissà se in quest'occasione l'Europa potrà esprimere una voce fuori dal coro, magari diversa da quella americana, per certi versi troppo legata ai condizionamenti interni e ai legami di lunga durata con Israele. Una riforma della struttura del Consiglio di Sicurezza potrebbe essere un progetto di lunga durata, forse utopico se si pensa che per presentare una proposta del genere bisognerebbe ottenere prima un assenso dai 5 paesi che siedono permanentemente in Consiglio. Per il momento ci si potrebbe accontentare di porre la parola "fine" ad un conflitto che dura da troppi decenni, ma il punto di partenza dovrebbe essere (com'è giusto che sia) una nuova "arte della negoziazione", in cui le parti interessate non siano perennemente ferme sulle loro convinzioni e aspettative.

Parte storica: fonte Wikipedia

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