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Orlandi, il ‘documento choc’ che non prova niente

La ‘nota spese’ del Vaticano sul caso Orlandi, apparsa negli ultimi giorni sulle prime pagine dei quotidiani non ha alcun fondamento di veridicità.
A cura di Angela Marino
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Eccola di nuovo, Emanuela Orlandi, riapparire dall'ombra del suo mistero trentennale attraverso un nuovo, incredibile e controverso, documento. Quasi duecento pagine che costituiscono il cuore di una nuova pista sul caso della scomparsa della ragazzina col flauto avvenuta a Roma 34anni fa. L’inchiesta, pubblicata in un libro in uscita e anticipata sulle pagine di Repubblica, è firmata dal giornalista Emiliano Fittipaldi, già in passato impietoso critico degli scandali del Vaticano e ora detentore di un documento dalla provenienza sconosciuta, che il giornalista fa risalire a personaggi vicini al Vaticano e che pubblica integralmente ne ‘Gli impostori'. Un documento – bollato come ‘ridicolo' falso dalla Santa Sede – che non può non destare perplessità.

La ‘nota spese'

Dopo le notizie – smentite dal Vaticano – di un presunto dossier ‘Orlandi' conservato negli archivi pontifici, il giornalista napoletano presenta in anteprima sul quotidiano diretto da Luigi Calabresi, una lettera di accompagnamento a una corposa ‘nota spese'. Cinque pagine vergate dal cardinale Lorenzo Antonetti, alle quali sono allegate fatture e ricevute che rendiconterebbero i costi sostenuti dalla Santa Sede per gli spostamenti e il mantenimento della figlia del postino di Woytila in vari paesi fino al trasferimento in Vaticano, nel 1997 e relativo ‘disbrigo pratiche finali'. Oltre 483 milioni di vecchie lire, quasi mezzo miliardo. Di questo documento è lo stesso Fittipaldi a sottolineare le incongruità. "Leggendo il resoconto – scrive l'autore – e seguendo le tracce delle uscite della nota sembra che il Vaticano abbia trovato la piccola rapita chissà da chi, e che abbia deciso di ‘trasferirla' in Inghilterra, a Londra. In ostelli femminili. Per 14 anni le avrebbe pagato ‘rette, vitto e alloggio', ‘spese mediche', ‘spostamenti'.

Come entra la chiesa nel caso Orlandi

Facciamo un passo indietro. Cerchiamo di capire come e perché per il Vaticano è finito al centro di un caso di scomparsa. All'indomani della sparizione di Emanuela, avvenuta a Roma, nel giugno del 1983, alcune telefonate anonime rivendicano quello della studentessa come un rapimento, chiedendo una linea diretta con la Segreteria pontificia. Intanto, un comunicato diffuso in quei giorni a firma dei Lupi Grigi, l'organizzazione terroristica del turco Alì Agca – l'uomo che sparò a Giovanni Paolo II in piazza San Pietro – propone un baratto tra la liberazione della ragazza e la scarcerazione dell'attentatore. Mentre per le telefonate sussistono ancora numerosi dubbi, il comunicato risulta essere un falso messo in circolazione per depistare le indagini.

Depistaggi e suggestioni

Non sarà il primo ne l'unico depistaggio, purtroppo. Anni dopo a intorbidare il caso spunta un sedicente ‘testimone', il fotografo romano Marco Accetti. È il 2013 e l'allora 58enne si autoaccusa di aver avuto un ruolo nel rapimento della studentessa e di quello di un'altra giovane, la coetanea di Emanuela, Mirella Gregori, sparita nello stesso periodo. È nel contesto della dura politica anticomunista di Giovanni Paolo II, delle spericolate manovre finanziarie del vescovo Paul Marcinkus, il ‘faccendiere' dello IOR che faceva affari con il Banco Ambrosiano, del pericoloso intreccio economico-criminale con la banda della Magliana, che Accetti inserisce il rapimento della figlia del messo pontificio. Secondo il ‘supertestimone' – sul quale pesa oggi una condanna per l'omicidio di un bambino – Emanuela venne rapita per ‘dare un segnale' nell'ambito di una ‘guerra' tra fazioni tra loro avverse del Vaticano. Di questa tesi, però, non è mai emersa alcuna prova e Marco Accetti è stato denunciato dalla Procura per calunnia e autocalunnia.

La teoria della ‘guerra vaticana'

In questa scia –  percorsa anche da Sabrina Minardi, ex amante del boss della Magliana, ‘Renatino' De Pedis, che raccontò del rapimento come di un ordine di Marcinkus – si inserirebbe dunque il documento al centro dell'inchiesta del giornalista di Repubblica, Emiliano Fittipaldi. Nella scia, ovvero, della guerra tra fazioni opposte. Non si spiega altrimenti ‘il salvataggio' di Emanuela dalle mani di ignoti aguzzini e il suo successivo trasferimento (perché non è stata liberata, a proposito?) in vari luoghi. "Delle due l'una – chiosa l'autore de ‘Gli impostori' – o il documento è vero, e apre squarci clamorosi e impensabili sulla storia della Orlandi. O è un falso, un apocrifo che segna una nuova violenta guerra di potere tra le sacre mura."

Ecco, non sarebbe stato meglio accertare l'autenticità del dossier prima di riaccendere le luci sul caso? Senza la verifica di veridicità ‘il documento choc' non segna alcuna svolta. Scrive – come se ce ne fosse ancora bisogno – l'ennesima pagina di uno storytelling mediatico in cui Emanuela ha perso la propria identità di vittima per diventare ma un'eroina noir, l'irreale protagonista di un romanzo da salotto.

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