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Yara, sentenza d’appello: Massimo Bossetti condannato all’ergastolo

I giudici della Corte d’Appello di Brescia hanno confermato, al termine di una lunga camera di consiglio, l’ergastolo per Massimo Bossetti, già condannato lo scorso anno per il delitto di Yara Gambirasio.
A cura di Davide Falcioni
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Ergastolo per Massimo Giuseppe Bossetti. Si è chiuso oggi, di fronte alla Corte D'Assise d'Appello del Tribunale di Brescia, il secondo capitolo del processo sull'omicidio di Yara Gambirasio che ha visto – come unico imputato – Massimo Bossetti, il muratore bergamasco già condannato all'ergastolo in primo grado. La sentenza è arrivata solo a tarda serata, dopo una lunga camera di consiglio. I giudici della corte d'assise d'appello di Brescia si erano ritirati per decidere alle 9.30 del mattino e alla fine la sentenza d'appello è arrivata dopo mezzanotte e mezza. Una sentenza per Bossetti che ha ricalcato in pieno quella di primo grado.  La moglie di Bossetti, Marita Comi, non è riuscita a trattenere le lacrime dopo il verdetto: la donna era in aula con gli avvocati e la madre dell'imputato. Prima che Bossetti fosse riportato in carcere ha salutato Ester Arzuffi e la sorella del muratore, Laura. E dopo la sentenza, nella gabbia riservata agli imputati detenuti, ha pianto lo stesso Bossetti.

Gli avvocati di Bossetti: “Abbiamo assistito alla sconfitta della giustizia”

Per Claudio Salvagni, uno degli avvocati di Bossetti, “questa sera si è assistito alla sconfitta del diritto”. “Aspettiamo le motivazioni – hanno detto Salvagni e il collega Camporini subito dopo la sentenza – ma il ricorso in Cassazione è scontato. Questa sera abbiamo assistito alla sconfitta della giustizia”. “Giustizia è stata fatta”, ha commentato invece l’avvocato di parte civile Enrico Pelillo.

Processo Yara: le parole di Massimo Bossetti

L'udienza si era aperta con le dichiarazioni spontanee da parte dell'uomo, che ha chiesto scusa per "il comportamento scorretto" tenuto nella prima udienza quando era sbottato alle affermazioni del sostituto pg. "Pensate però come può sentirsi una persona attaccata con ipotesi fantasiose e irreali", aveva detto, leggendo dei fogli estratti da una cartella rossa. "Poteva essere mia figlia, la figlia di tutti noi – aveva aggiunto Bossetti -, neanche un animale avrebbe usato tanta crudeltà". In un passaggio della sua lunga dichiarazione Bossetti aveva poi detto: "Voi siete liberi di credere o non credere ma io vi ribadisco la mia innocenza. Se fossi stato io il colpevole non avrei resistito, avrei confessato, non sarei stato più in grado di gestire nessun aspetto della mia vita. "Bossetti – ancora in terza persona – non è capace di violenze, non ho mai fatto male a nessuno e l'unico sentimento che mi tiene in vita è l'amore per la mia famiglia".

Dopo le dichiarazioni di Bossetti i giudici – due togati e sei popolari – si sono riuniti in camera di consiglio per emettere il verdetto. Erano quattro le opzioni in campo: conferma della sentenza di ergastolo, riforma parziale del primo grado – l'accusa ha chiesto l'ergastolo con isolamento diurno per sei mesi -, assoluzione oppure esame sul Dna, in particolare sulla traccia trovata su slip e leggings della ragazzina attribuita a Ignoto 1 poi identificato in Bossetti.

Il confronto intorno al DNA di Bossetti

I giudici hanno ripercorso gli ultimi sette anni, a partire da quel 26 novembre del 2010 – giorno della scomparsa della giovanissima ginnasta di Brembate di Sopra (Bergamo) – fino all'arresto di Massimo Bossetti. Negli ultimi mesi si è molto ragionato intorno all'assenza del Dna mitocondriale del muratore che tuttavia – secondo il rappresentante dell'accusa Marco Martani – "non inficia il risultato: è solo il Dna nucleare ad avere valore forense". "Quel Dna non è suo, non c'è stato nessun match, ha talmente tante criticità – 261 – che sono più i suoi difetti che i suoi marcatori", sostengono i difensori di Bossetti Claudio Salvagni e Paolo Camporini che hanno chiesto di risolvere l'"anomalia" con un accertamento alla presenza delle parti.

Gli altri indizi a carico di Massimo Bossetti

Non c'è però solo l'esame del Dna: la prova scientifica – per l'accusa "assolutamente affidabile" – va valutata insieme agli altri indizi di un'indagine che non ha tralasciato nessuna ipotesi. Il cadavere della 13enne venne ritrovato il 26 febbraio del 2011 in un campo di Chignolo d'Isola: la caccia al killer prese le mosse da quel giorno. Secondo i risultati dell'autopsia Yara è morta in quel campo dopo una lunga agonia. Per la difesa, invece, la ragazzina è stata uccisa altrove. Contro l'imputato ci sono altri elementi: dal passaggio del furgone davanti alla palestra alle fibre sulla vittima compatibili con la tappezzeria del suo Iveco; da tracce di elementi metallici sul corpo di Yara che rimandano al mondo dell'edilizia all'assenza di alibi per Bossetti. Indizi che la difesa respinge.

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