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Occupy Wall Street: l’America che si ribella e cerca un’alternativa

“Noi siamo il 99%” è uno degli slogan che, in questi giorni di protesta, si pronunciano in tutte le città degli Stati Uniti in cui si sta espandendo il movimento di Occupy Wall Strett: un 99% che si oppone ad un intero sistema e propone un’alternativa pacifica in cui all’avidità di quell’1% venga posto un freno.
A cura di Nadia Vitali
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Un 99% che si oppone ad un intero sistema e propone un'alternativa pacifica in cui all'avidità di quell'1% venga posto un freno: è uno degli slogan di occupy wall street

Una volta si parlava di “lotta di classe”; ma, si sa, di tempo ne è passato da allora e una certa Damnatio Memoriae ha investito argomenti “scomodi” e legati alla sinistra. Eppure, evidentemente, non è bastato dimenticare una certa terminologia per porre la parola fine sulle ingiustizie e sulla ribellione che, da tali ingiustizie, scaturisce naturalmente, dopo lassi di tempo ragionevoli. Oggi, insomma, i termini sono altri, inevitabilmente, ma l’indignazione, la rabbia, la frustrazione, permangono in un mondo in cui le disparità continuano ad essere allarmanti.

Un 99% che si oppone ad un intero sistema e propone un'alternativa pacifica in cui all'avidità di quell'1% venga posto un freno: questo è occupy wall street

Non possiamo ancora dire se Occupy wall street, il movimento che da settimane sta travolgendo gli Stati Uniti mettendone in luce, una volta in più, tutti gli squilibri sociali di cui la maggior parte della popolazione è vittima silente da decenni, cambierà il corso della storia. Non possiamo certamente sapere quali saranno gli sviluppi e gli esisti della voce levatasi dalle piazze in cui gli indignati chiedono quei diritti che dovrebbero essere fondamentali, ed un freno a quell’avidità che monopolizza le risorse economiche di un paese.

Un 99% che si oppone ad un intero sistema e propone un'alternativa pacifica in cui all'avidità di quell'1% venga posto un freno: questo è occupy wall street

Eppure guardando certe immagini, non si può non pensare a come il mutamento stia entrando prepotentemente nelle vite di tutti, anche nelle nostre, divisi da un Oceano, eppure spiazzati da quella medesima crisi globale che ha messo in discussione le fondamenta dell’Occidente. Sì, perché le persone che stanno reclamando Giustizia e Libertà, in un paese che ha fatto di una certa retorica la propria fortuna divenendo per molti un miraggio, non possono essere liquidati come appartenenti ad una ristretta fascia sociale e lo sanno benissimo: essi sono, come recita un loro slogan, il novantanove per cento.

Un 99% costretto a spartirsi le briciole di quella ricchezza che resta ferma nei palazzi in cui si decidono le sorti dei più deboli, in cui si stabilisce chi può andare avanti e chi no. Che gli Stati Uniti non fossero il Paese di Bengodi era chiaro a tutti ormai da molto tempo; che l’insoddisfazione, la povertà, l’emarginazione fossero così capillari sta emergendo solo adesso. Non è bastato un Barack Obama alla Casa Bianca per rinnovare l’immagine di un territorio in cui le contraddizioni sono ancora troppo pronunciate e le disparità troppo inique; anzi, forse quell’elezione è stata solo l’inizio di un cambiamento resosi ormai necessario.

Ormai sono quattro settimane che Occupy Wall Street sta scuotendo la comunità internazionale: a quelle prime centinaia di persone, a cui immediatamente le forze dell’ordine avevano provato a porre un freno tramite l’intimidazione, si sono invece unite famiglie, anziani, sindacati di lavoratori, operai licenziati, insegnanti, giovani che in quella terra delle opportunità forse non vedranno mai l’Università o, tutt’al più, potranno frequentarla contraendo un debito esorbitante; ci sono gli ultimi, quelli che hanno dovuto pagare le cure per il cancro lavorando sette giorni a settimana per ottanta ore, quelli che ci ricordano che, forse, non ci sono stati grossi progressi dai tempi della Rivoluzione Industriale.

Tutti indignati per quel mondo che decide delle loro sorti facendo pagare le spese della crisi economica ai più poveri, in America come altrove; tutti uniti e mobilitati grazie al web, mossi dagli alti ideali a cui dovrebbe aspirare qualunque individuo, non tacendo di fronte all’ingiustizia, non accontentandosi di quel lembo, sempre più lacero, di benessere che consente loro di prendere le distanze da quegli “altri” che temono cosa potrebbe accadere loro il giorno successivo.

Un 99% che si oppone ad un intero sistema e propone un'alternativa pacifica in cui all'avidità di quell'1% venga posto un freno: questo è occupy wall street

Un giorno, forse, gli uomini che verranno, guarderanno a questo anno come ad un periodo di rinascita, in cui i paesi arabi come l’occidente hanno voluto destarsi da un torpore e spinti dalla frustrazione e, purtroppo, dalla povertà hanno ricominciato, poco alla volta, a conquistare la propria libertà e di scelta, rispetto ad un sistema che si è rivelato inefficiente a garantire il benessere di tutti gli individui, tutelando solo la minoranza privilegiata, a totale discapito di quelle che sono le vere forze di un paese.

Una cosa già da ora è certa: quel 99% non è una peculiarità ristretta agli Stati Uniti, bensì un popolo che pacificamente sta cercando un’alternativa ed una nuova maniera di esprimersi. L’insoddisfazione è crescente e si sta espandendo, i palliativi per mettere a tacere quella parte di popolazione che, in ogni nazione, potrebbe sovvertire l’ordine mettendone in luce le aberrazioni, sono finiti, spazzati via da una crisi mondiale che non ha lasciato il tempo di pensare. Gran Bretagna, Spagna, Medio oriente: le pericolose idee di giustizia e libertà si stanno appropriando della gente e la gente si sta appropriando di esse. E questo sta accadendo persino in quell’America così lontana e, ai nostri occhi confusi, così benestante.

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