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Non è colpa del 2016 ma della mancanza di riferimenti nuovi, contemporanei al nostro tempo

Il 2016 è un anno triste. E’ l’anno di Bowie, Alì, Fo, Fidel. La non è colpa del 2016 ma della mancanza di riferimenti nuovi, contemporanei all’epoca in cui viviamo.
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Abbiamo salutato Bowie e Prince. Cohen ed Eco, Alì e Scola passando per FoFidel, Cruyff e la Marchesini. Un "pantheon" variegato ma per sua stessa natura completo. Un pantheon che abbraccia la cultura italiana (e mondiale) del secolo che fu. Ma la colpa del vuoto che proviamo non è da ricercare nel 2016 ma nella sensazione che non ci sia nessuno pronto a colmarlo. Quella sensazione che ci fa sentire orfani di "padri" e soli nel cammino del nuovo millennio.

Nel 2016 sono morti molti di quelli che hanno "fatto", ci restano quelli che "parlano". È questa la differenza tra il ‘900 e gli anni 2000. Il ‘900 è l'epoca dell'industria, del prodotto, il XXI secolo è l'epoca dei "servizi", delle presentazioni powerpoint: del vuoto digitale. Del sé diviso dagli altri fatto di bit e meme che però custodisce la bellezza del thé e delle arance di Suzanne, dell' "uomo delle stelle", dei pugni di Alì, del credo di Fidel. Una bellezza alla quale aggrapparsi come ci si aggrappa alle foto di chi non c'è più per conservarne il ricordo.

Ci aggrappiamo a loro perché non abbiamo riferimenti nuovi, contemporanei all'epoca in cui viviamo. Non abbiamo "uomini che fanno". E anche quando ci aggrappiamo a qualche leader – più o meno moderno – lo facciamo scegliendo il meno peggio mentre chi ci ha lasciato ci ha sempre fatto scegliere con il cuore. Quando guardavamo la Marchesini in tv, quando ammiravamo la forza di Alì, i dribbling di Cruyff, quando ascoltavamo Bowie, eravamo partecipi di un processo di amore collettivo, di rappresentanza collettiva che oggi ci manca più che mai.

Suzanne era l'America che si univa alle melodie di De André per un mondo migliore. Oggi non ci resta molto. Ci restano i particolarismi del digitale. Le comunità liquide che nascono e scompaiono con un clic. Ci restano politici di carta che scomparirebbero davanti a uomini come Fidel. Ci resta questa solitudine digitale che non ha ancora trovato il modo di diventare, davvero, rete.

Ci restano slogan e politici che guardano indietro (Make America Great Again!) mentre chi ci  ha lasciato non si è mai voltato indietro nemmeno per un attimo: ha sperimentato, ha osato.

Nel 2016 se ne sono andati rivoluzionari che creavano strade, oggi non ci restano che reazionari capaci solo di seguire sentieri indicati da altri.

Per questo ora più che mai dobbiamo dare spazio a chi osa, non aver paura delle loro idee "stravaganti". È il nuovo millennio, ha bisogno di uomini e donne nuove, di uomini e donne che creano, sperimentano. Di paradigmi nuovi che non ci facciano essere schiavi di reazionari da talk show. È l'ora dei millennials, è l'ora di essere padri ma in modo che vada oltre il "superomismo" del leader e siamo davvero un processo di intelligenza collettiva, di rete. È l'ora di spezzare le catene della nostra solitudine digitale.

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Ex direttore d'AgoraVox, già professore di Brand Strategy e Comunicazione Pubblicitaria Internazionale presso  GES -  Grandes Écoles Spécialisées di Parigi. Ex Direttore di Fanpage.it, oggi Direttore di Deepinto.
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