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Opinioni

Non cedere alla paura, non arrendersi all’odio. Soprattutto ora

L’ideologia del terrore da una parte, la politica dell’emergenza ed il controllo sociale dall’altra. E a noi, spettatori passivi e distratti, cosa resta? La responsabilità individuale e la consapevolezza di poter resistere, singolarmente e collettivamente. Senza cedere alla paura.
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Non avrei mai voluto riprendere questo pezzo. Ma i tragici fatti di Parigi mi hanno quasi obbligato a farlo. Ora il terrorismo mostra il suo volto più brutale e l'Occidente sembra voler rispondere nel modo più "normale", diretto, semplice. E così Hollande dice di pensare alla chiusura delle frontiere e allo stato di emergenza. Una condizione che permetterebbe al Governo di controllare la stampa e "entrare nelle case dei cittadini", senza giustificato motivo. Una prospettiva tremenda. Terribile. Tutto ciò che non vorremmo mai vivere.

Ed è anche per questo che non dobbiamo arrenderci alla paura e all'odio. Non ora.

Terrorismo. Guerra. Invasione. Ebola. Islamismo radicale. Sono questi solo alcuni degli esempi recenti di come si eserciti costantemente l’uso politico della paura come forma di controllo sociale (un tema sul quale peraltro il dibattito è lungo e complesso). Lo spauracchio Isis, che domina le cronache e proietta la sua ombra nella sfera della sicurezza individuale, opera dunque secondo un canovaccio già noto, collaudato, sperimentato. Anche, forse soprattutto, dai “comunicatori” del califfato, che hanno mostrato di conoscere perfettamente non solo il meccanismo di “propagazione del terrore”, ma anche i ragionamenti sulla penetrazione del messaggio, sull’effetto straniamento, sulla disintermediazione e sul superamento della dimensione “singolare” dell’esistenza. Basti solo pensare alle decapitazioni, alle esecuzioni e alle rappresaglie che vengono inserite in un unicum narrativo, dalla carica ideologico – propagandistica fortissima.

Dal piano comunicativo a quello ideologico, i due “sistemi”, quello del califfato e quello Occidentale, mostrano di avere molto in comune, come nota Zizek: “I fondamentalisti sono già come noi; segretamente hanno già introiettato i nostri parametri, alla luce dei quali misurano se stessi […] Le recenti vicissitudini del fondamentalismo islamico confermano la vecchia intuizione di Benjamin per cui «ogni ascesa del fascismo reca testimonianza di una rivoluzione fallita» […] Il fondamentalismo è una reazione (una reazione falsa, mistificante, com’è ovvio) a un difetto vero del liberalismo, e per questo viene generato di continuo dal liberalismo”. Il fondamentalismo è un prodotto dello stesso sistema cui si oppone, da cui mutua anche tecniche comunicative e riferimenti ideologici: e una conferma arriva proprio dai meccanismi di controllo sociale e di penetrazione di messaggi complessi, basati appunto sulla paura, sull’induzione del senso di vertigine, insicurezza, crollo imminente. Dal meccanismo della paura, insomma. 

La paura genera il bisogno di sicurezza ed è sempre funzionale alla conservazione del sistema, proprio perché agisce in profondità: “Una società morbosa chiede una “securizzazione” universale che protegga dalla paura e dal fastidio. In entrambi i casi un sistema di potere diventa sistema di dominio e ne trae vantaggio autoalimentandosi. La conseguenza, lo abbiamo visto, è la progressiva ineluttabile limitazione della libertà individuale e collettiva” (fonte). Leggere la quotidianità secondo queste coordinate significa cominciare a discernere la propaganda dalla realtà dei fatti, significa ribellarsi al meccanismo di omologazione della narrazione e rifiutare la logica dell'impotenza appresa. Significa resistere al bombardamento incessante e cruento, senza arrendersi all'ineluttabilità del male, o peggio alla cessione di spazi vitali in cambio di protezione e sicurezza.

Che ciò accada quotidianamente in Occidente appare pacifico, come ben evidenziato da riflessioni datate ma ancora attuali di Noam Chomsky. Il filosofo statunitense, con le sue “dieci regole per il controllo sociale” ha avuto il merito innegabile di aver evidenziato i meccanismi di intervento sull’opinione pubblica, sia nelle forma plurale che in quella individuale, secondo dinamiche che non è difficile riscontrare anche nei casi di cui parlavamo in apertura di pezzo. In particolare, dirimente appare la volontà di “usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione”. Scrive Chomsky: “Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti…”.

La leva dell’emotività si accompagna ad una comunicazione banale, mediocre, semplicistica, che ha uno scopo chiaro, profondo: “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno”. E infine, si pensi solo alle emergenze costruite a tavolino, alla “scoperta dell’allarme”, ai momenti in cui un problema emerge da nulla, il giochetto è sempre lo stesso: “Creare il problema e poi offrire la soluzione. […] Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare”.

Ed è per tutta questa serie di considerazioni che l'unica scelta che ci è concessa è quella della consapevolezza. La consapevolezza di essere parte del meccanismo e allo stesso tempo di poter resistere, singolarmente e collettivamente (che poi è la stessa cosa), e forse agire. La responsabilità individuale come argine alla corrente, al flusso indistinto ed omologante; la consapevolezza del peso che ogni singola scelta individuale può, o almeno potrebbe, avere; la consapevolezza che ciò che ci viene prospettato come rifugio sicuro è in realtà una prigione.

 

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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