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Opinioni

Nomine, Renzi premia Moretti e dimentica la battaglia sugli stipendi dei manager

Solo qualche settimana fa Mauro Moretti sbraitava contro il taglio degli stipendi ai top manager ipotizzato da Renzi. Ora la promozione al vertice di Finmeccanica, senza tetto allo stipendio, ovviamente. Mentre i tagli ci saranno (forse) per i presidenti.
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Tra le tante chiavi di lettura delle nuove nomine delle società partecipate dallo Stato decise dal Governo si tende quasi automaticamente a privilegiare quelle della parità di genere, più formale che sostanziale per la verità, e del "rinnovamento anagrafico", con l'abbassamento dell'età media che solo in parte compensa l'ennesima anomalia italiana (come nota Coldiretti, infatti, "gli amministratori delegati delle principali società a partecipazione statale hanno una media di 62 anni, l’età media dei presidenti e degli amministratori delegati dei principali gruppi bancari italiani è di 69 anni e hanno in media una età di 62 anni anche i presidenti di tutte le associazioni di impresa operanti nell’industria, nel commercio, nell’artigianato, nei servizi e nell’agricoltura"). C'è poi la valutazione di merito sulle scelte, che spesso risponde ai relativi posizionamenti nel campo politico, ed infine c'è un aspetto sulla cui rilevanza si è dibattuto fin troppo negli ultimi mesi. Si tratta della questione economica, del costo per lo Stato degli stipendi dei supermanager, del peso che hanno nei bilanci aziendali e del loro rapporto con i salari dei dipendenti.

La questione è complessa e ovviamente non può essere affrontata con la pretesa di completezza ed esaustività, né con i canoni del qualunquismo e della demagogia. È però centrale, proprio perché rappresenta uno dei cardini della "narrazione renziana", della pretesa discontinuità della nuova stagione dell'esecutivo. Matteo Renzi ne ha fatto uno dei punti di forza della sua comunicazione, esplicitando anche in sede di presentazione del Def l'intenzione di ridurre il tetto massimo degli stipendi dei manager fino ai 270mila guadagnati dal Presidente della Repubblica. Un provvedimento che non riguarderà le società quotate (i cui vertici saranno pagati secondo le valutazioni di mercato), quindi i neo-nominati possono stare sereni, ma che era stato suffragato anche dal richiamo di Renzi alle parole di Olivetti secondo il quale "un amministratore delegato di un'azienda non deve prendere più di dieci volte lo stipendio dei suoi dipendenti", che rappresenta una sorta di richiamo di principio, un obiettivo verso cui tendere. Certo, come da indicazione del Consiglio dei ministri il tetto ci sarà per i Presidenti, salvo diversa espressione dei consigli di amministrazione. E allora, qual è lo scandalo?

Il punto è che se autorizzi una narrazione del genere, se ingeneri la speranza del cambiamento anche attraverso atti simbolici e strizzi l'occhio al populismo, allora dovresti comportarti di conseguenza. E se premi, con una promozione chiara ed evidente, chi ha contestato il ragionamento sulla necessità di un "sacrificio", sull'opportunità di un ridimensionamento delle pretese economiche in un momento di grande incertezza e difficoltà della gran parte delle famiglie italiane, allora evidentemente non sei credibile sul punto. Perché la questione è semplice: o ha ragione Moretti quando difende la consistenza dei guadagni di un top manager (perché "questo è uno dei lavori più duri che si possa immaginare in Italia e nel resto del mondo"), oppure ha ragione il Renzi – Olivetti della decenza del rapporto fra le retribuzioni e via discorrendo. Sfumature, distinguo, separazioni dei piani concettuali non sono ammessi proprio perché la partita si gioca sul piano della propaganda. Per scelta di Renzi, che ora ha nominato Moretti a Finmeccanica e ha mostrato la distanza fra annunci e pratica dell'agire.

Eppure si poteva (si potrebbe) impostare un ragionamento di senso, come ad esempio aveva provato a fare Massimo Mucchetti su L'Unità, a partire dalla considerazione che "alla fine della corsa all’Eni il big boss prende 73 volte il dipendente medio, 62 volte all’Enel, 47 a Terna e 19 a Finmeccanica" e che una tale sperequazione non è sostenibile, a prescindere dal fatto che la pubblica amministrazione richieda la presenza ai vertici di manager qualificati e competenti e che dunque possa esserci la necessità di "inserire nei mandati un’informale clausola di sobrietà e pretendere l’impegno a legare la crescita delle remunerazioni dei generali a quelle dei sottufficiali e della truppa". Invece quella che finora sembra aver trionfato è la politica del doppio binario, quella degli annunci pubblici e dei compromessi sul campo, quella delle misure di facciata e dell'attenta valutazione degli equilibri politico – economici, quella della rottura sul piano formale e della conservazione sul piano sostanziale.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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