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Niente giornali porno in carcere. Ma il detenuto non ci sta e fa ricorso

Il magistrato di sorveglianza aveva detto sì (“è un diritto per il recluso”), ma il Dap si rifiuta di consegnare le riviste a luci rosse ad un boss detenuto nel supercarcere di Ascoli dove sono stati ‘ospiti’ anche Vallanzasca, Cutolo e Riina.
A cura di B. C.
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Un detenuto sottoposto al regime di 41 bis nel carcere di Marino del Tronto, Ascoli Piceno, non potrà leggere le tanto desiderate riviste porno in cella. Nonostante il sì del giudice di sorveglianza di Macerata, a bloccare la richiesta è stato il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Il timore è che, nascosti tra i testi sulle pagine a luci rosse, vengano inseriti pizzini o messaggi in generale per l'ergastolano. Il recluso, però, non si arrende. Ha dato infatti mandato al proprio avvocato Mauro Gionni farà ricorso alla procura di Ascoli e a quella di Roma. “E' incredibile che un organo amministrativo come il Dap si frapponga a una decisione di un organo giudiziario", afferma a "Il Giorno" Mauro Gionni, il legale del boss, chiedendo che vengano disposti accertamenti sul carcere. Anche il magistrato di sorveglianza, sottolinea, ha stabilito che un recluso, sebbene sia sottoposto al carcere duro, ha il diritto di preservare la propria integrità psico-fisica.

Il penitenziario di Marino del Tronto è un supercarcere che, negli anni, ha ospitato il gotha delle mafie ed esponenti di spicco dell’Italia criminale: a partire da Ali Agca, Renato Vallanzasca, fino a Raffaele Cutolo, Totò Riina e tanti altri. Nell’ambito del 41-bis si possono chiedere e ottenere deroghe per piccole cose, come cambiare menù se si hanno problemi di salute o poter avere contatti fisici con i figli minorenni e far loro dei regali in occasione di compleanni o altri eventi. Ma nel caso di acquisti di oggetti, come appunto possono essere dei giornali, la procedura di controllo si fa serrata. Una volta arrivate ai cancelli d’ingresso del penitenziario dovranno essere sottoposti ad un esame per scongiurare il pericolo di dare modo ai detenuti di mettersi in contatto con il mondo esterno attraverso messaggi cifrati o di altra natura. La decisione deve essere da un magistrato di sorveglianza. Ma in alcuni casi il Dap può dire di no. Come appunto avvenuto in questa occasione.

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