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Nelle carceri minorili italiane ancora 449 detenuti

Secondo il rapporto di Antigone, nei 16 istituti di pena per minori sono detenuti 449 ragazzi. I numeri dei reclusi sono in calo, mentre cresce il ricorso a risposte alternative. Ma il sistema presenta ancora lacune, tra differenze tra italiani e stranieri e strutture non adatte. E una legge che continua a mancare.
A cura di Claudia Torrisi
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Sono 449 i ragazzi detenuti ad oggi negli istituti di pena per minori – Ipm. Erano 8.521 nel 1940, 7.100 nel 1950, e 2.638 nel 1960. La cifra si aggira intorno ai numeri attuali oramai da una quindicina d'anni, sintomo del fatto che per quanto riguarda i minori il processo di decarcerizzazione è andato avanti. Anche se non è concluso: serve una legge che ponga un nuovo ordinamento penitenziario specifico. I dati emergono dal terzo rapporto sugli istituti di pena per minorenni – "Ragazzi fuori" – di Antigone.

Anche gli ingressi negli Ipm sono diminuiti: si è passati dai 1.888 del 1988 ai 992 del 2014, registrando un calo del 47,4%. A fronte dei pochi minori reclusi, restano stabili i reati denunciati davanti al Gip o al Gup del tribunale per i minorenni. Dimostrazione che "meno detenuti non significa più reati", come si legge nel rapporto. "Le carceri minorili hanno oramai, fortunatamente, un uso davvero residuale all’interno del sistema della giustizia dei minori. Proprio per questo, tuttavia, rischia di essere stigmatizzante. Solo i più cattivi vanno a finire in galera: è questo il messaggio che dobbiamo oggi decostruire", ha commentato in calce il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, che ha avvertito che "la direzione da percorrere – quella che di fatto abbiamo già iniziato a percorrere – deve andare verso una progressiva decarcerizzazione".

Gli Istituti penali per minori sono i luoghi dove avviene l'esecuzione della custodia cautelare o l'espiazione di pena nei confronti di minorenni o giovani adulti – cioè dai 18 ai 25 anni – che hanno commesso il reato quando erano minorenni. In Italia sono sedici, sparsi per tutto il paese: Acireale, Airola, Bari, Bologna, Caltanissetta, Catania, Catanzaro, Milano, Nisida, Palermo, Pontremoli, Potenza, Quarticciu, Roma, Torino e Treviso. Oltre agli Ipm in Italia ci sono 27 Centri di prima accoglienza – Cpa, strutture che ospitano i minorenni in stato di arresto, fermo o accompagnamento fino all'udienza di convalida che deve aver luogo entro 96 ore. Anche per i Cpa tra il 1998 e il 2015 c'è stato un andamento decrescente: si è passati da 4.222 ingressi del 1998 a 2.193 del 2012, per poi scendere ancora nel 2013 (quando sono entrati 2.020 ragazzi) e nel 2014 (1.548). Complessivamente il calo è stato del 60%. "A fronte della crescente pressione del sistema penale sulla nostra società – si legge nel rapporto – sintetizzata dalla formula del passaggio ‘dallo stato sociale allo stato penale', il sistema della giustizia minorile non abbia ceduto a questa deriva, e nei CPA si sia entrati addirittura meno che in passato".

Chi sono i minori in carcere

I 449 minori in carcere sono 410 maschi e 39 femmine. Tra loro sono compresi anche i giovani adulti fino a 25 anni. Le ragazze rappresentano una percentuale pari all'8,6% dei reclusi, cioè il doppio in rapporto a quella sulla popolazione femminile adulta. I reati per cui sono detenuti i minorenni sono in totale 159 contro la persona – tra cui 11 omicidi volontari e 12 tentati – 713 contro il patrimonio. In 80 sono passati dagli Ipm per violazione della legge sugli stupefacenti. Tra i minori detenuti, 204 sono stranieri, circa il 45,43% del totale, dodici punti in più rispetto a quanto accade tra i reclusi stranieri adulti. Ciò significa – sottolinea Antigone – che il sistema della giustizia minorile riesce a garantire opportunità alternative alla carcerazione maggiori per ragazzi italiani. Gli stranieri commettono reati meno gravi rispetto ai coetanei italiani – hanno commesso circa 1/3 degli omicidi e superano il 55% degli autori di reati contro la proprietà – ma, spiega il rapporto "quando una misura cautelare si rende necessaria, il carcere è per gli stranieri più probabile che per gli italiani". I non italiani, comunque, sono una minoranza tra i minorenni denunciati alle procure, solitamente meno del 30% in un anno. Negli istituti del nord e del centro ci sono pochi ragazzi italiani, per lo più trasferiti dal sud. Al contrario, nelle strutture del meridione e delle isole, ci sono pochi stranieri, mandati anch'essi al nord. Negli Ipm, scrive Antigone, "ci sono praticamente solo stranieri, rom e i ragazzi provenienti dalle periferie degradate delle grandi città del sud". L’alternativa alla detenzione, come per gli stranieri, è meno frequente per i ceti più disagiati.

Differenze tra italiani e stranieri

La maggioranza dei minori – 1.548 – entrati nei Cpa nel 2014 è uscita in applicazione di una misura cautelare: il 50,2% sono italiani, il 49,8% stranieri. Ma all'interno del gruppo, al 58,8% degli italiani è prescritta la permanenza in casa. Gli stranieri sono la maggioranza tra coloro per cui è previsto il collocamento in comunità e tra coloro per cui è disposta la custodia cautelare in carcere. Dall'altro lato, sono anche la maggior parte tra quanti escono dai Cpa senza misure cautelari. "Un'ipotesi interpretativa del fenomeno – dice il rapporto di Antigone – è che i minori stranieri si caratterizzino per la commissione di fatti meno gravi, per i quali il ricorso ad una misura cautelare è meno necessario, mentre è più frequente la remissione in libertà. Come detto sopra però, quando una misura cautelare si rende necessaria, il carcere è per gli stranieri più probabile che per gli italiani". Tra il 2001 e il 2014 si è passati da 1.339 collocamenti in comunità a 1.987, tendenza che in questi anni ha contribuito a contenere gli ingressi in carcere. Tendenza che, anche qui, ha coinvolto più gli italiani che gli stranieri. Anche se il divario, rispetto ad alcuni anni fa, è calato. Differenze anche nell'istituto di messa alla prova, che può portare all’estinzione del reato: solo il 17% dei minori stranieri ne usufruisce. "Il profilo di fatto discriminatorio per alcuni gruppi delle alternative alla detenzione resta dunque ancora molto preoccupante", si legge nel rapporto. Il carcere per i minori "diviene ancor più che per gli adulti il luogo degli esclusi, di coloro che, per le più disparate ragioni, non sono riusciti ad imboccare nessuno dei molti percorsi che avrebbero consentito una alternativa all’istituto penale per minori".

Strutture inadeguate

Dalle visite effettuate da Antigone nei sedici istituti italiani, sono emerse forti carenze dal punto di vista dell'istruzione. Spesso dentro le strutture ci sono docenti volontari o dipendenti degli enti locali che sopperiscono alla carenza di docenti di ruolo. Nessun istituto ha a disposizione insegnanti di sostegno, nonostante la presenza di ragazzi con difficoltà fisiche e psichiche. Tra l'altro, non esistono corsi di formazione specifica per i docenti che insegnano negli Ipm, non sono attivi corsi di aggiornamento. Ogni istituto ha una o due aule, spesso non adeguatamente attrezzate, e mancano dappertutto laboratori. Al contrario, tutti gli Ipm hanno una biblioteca, spesso anche molto ben fornita. Secondo gli ultimi dati relativi agli esiti dell’istruzione in carcere del Rapporto del Dipartimento Giustizia Minorile 2012 su 1066 iscritti ai corsi solo 201 ragazzi ottengono crediti formativi, 88 l’ammissione e 71 il conseguimento del titolo. "Questi numeri suggeriscono che andrebbe ripensato il funzionamento complessivo del sistema non solo di istruzione ma anche di detenzione minorile", si legge nel rapporto. Il buono o cattivo funzionamento è lasciato alla buona volontà di quanti lavorano nell'istituto.

Altro punto riguarda l'edilizia: per lo più si tratta di strutture vecchie e non adatte, nate per essere carceri vere e proprie. Mancano spazi ricreativi, per lo sport, connessione internet. Oltre al problema dei pochissimi operatori in grado di parlare lingue straniere.

Serve una nuova legge

"Il sistema della giustizia minorile non è del tutto completo e presenta un’incoerenza di fondo. Il minore che commette un reato può vedersi comminare le stesse pene di un adulto e può soffrire le sue stesse modalità di carcerazione. Soltanto nella fase processuale viene trattato in modo differenziato", sottolinea il rapporto. Nelle norme sull'ordinamento penitenziario del 1975, era previsto che venisse approvato uno specifico ordinamento penitenziario minorile, che è ancora atteso nel nostro paese. La Corte costituzionale ha più volte sottolineato come alcune disposizioni del sistema ordinario non possano essere estese direttamente al minore. Ad esempio, nel 1994 ha sancito la non applicabilità dell'ergastolo ai minorenni.

"Gli Ipm sono costretti a funzionare con le stesse regole, gli stessi spazi e la stessa tipologia di personale che troviamo nel sistema degli adulti. Va invece costruito un nuovo modello di permanenza, che poco abbia a che fare – tanto nelle regole di vita, quanto nell’iconografia, quanto ancora nell’immaginario – con la prigione. Il ragazzo deve poter affermare e percepire di non essere finito in un carcere", si legge nel rapporto. Dalla primavera 2015 è in discussione alla Camera dei Deputati una proposta di legge delega di riforma del codice penale, di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario. Tra i punti della legge delega, vi è la previsione di "nuove norme penitenziarie specifiche per i minorenni e per i giovani adulti". Il testo consente la costruzione di un nuovo ordinamento penitenziario minorile. "Si tratta dunque – spiega Antigone – di non limitarsi a modificare una o più norme della legge del 1975 per adattarle alle esigenze educative dei minori d’età, ma di rivedere l’intero ordinamento penitenziario, approvandone uno del tutto nuovo governato da una diversa filosofia di intervento". Un intervento che consenta anche di recuperare i minori in condizione di forte disagio per i quali una reclusione può solo peggiorare la situazione.

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