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Nel carcere di Volterra con i detenuti-attori della Fortezza (SPECIALE VIDEO)

Siamo andati nel carcere di Volterra a vedere lo spettacolo “Santo Genet” della Compagnia della Fortezza, un gruppo costituito da detenuti-attori guidati dal regista Armando Punzo.
A cura di Andrea Esposito
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Lo scorso fine settimana siamo andati a Volterra, un incantevole comune di circa diecimila abitanti immerso nella campagna pisana, per seguire Volterra Teatro 2014, un festival molto speciale, giunto quest’anno alla sua ventottesima edizione. La peculiarità di Volterra Teatro è rappresentata dall’avvenimento clou intorno al quale ruota l’intera manifestazione: lo spettacolo della Compagnia della Fortezza, un gruppo costituito da detenuti-attori che, ogni anno, trasforma il penitenziario della città, la Fortezza per l'appunto, in un grande teatro aperto al pubblico.

Per chi non conoscesse la Compagnia e il suo fondatore e direttore artistico Armando Punzo, rimandiamo alla videointervista realizzata alcuni mesi fa, in cui è lo stesso regista a spiegare approfonditamente le ragioni del suo lavoro. In soldoni, la storia è più o meno la seguente: Armando Punzo, correva l’anno 1983, lascia Napoli molto giovane, in rotta con la tradizione e l'avanguardia dell'epoca. Giunge a Volterra per unirsi ad un gruppo (L'Avventura) e qualche anno dopo decide di entrare nel carcere per lavorare con i detenuti: “autoreclusione”, la definisce lui. L' obiettivo era, ed è tutt’oggi, quello di formare una compagnia stabile che, anno dopo anno, portasse in scena i suoi lavori.

Quest’anno abbiamo deciso di raccontarvi la singolare esperienza nella Fortezza attraverso una videosintesi dello spettacolo "Santo Genet", più interviste ai detenuti e al regista. Tra questi vi è anche un nome ormai noto nel mondo dello spettacolo, Aniello Arena che due anni fa fu scelto da Matteo Garrone per il ruolo di protagonista in “Reality”. Abbiamo parlato con Arena della sua esperienza cinematografica e non solo nella videointervista che trovate qui.

A questo punto, lo scoglio più impervio: recensire lo spettacolo. Non è una cosa semplice. Anche perché il punto di partenza di chi, come noi, si è avvicinato al lavoro di Punzo solo da pochi anni, è gravato dal peso del giudizio, pressoché unanime, che la critica ha del suo lavoro: straordinario a prescindere. Il che per la verità più che rappresentare una garanzia, ci sembra vagamente ricattatorio. Parlando del regista, diciamo subito che il fascino suscitato dalle sue posizioni e dalla coerenza con cui sono portate avanti, è indubbio. Punzo è un’artista nell’accezione per noi più limpida del termine: è uno che ha dedicato la vita a una cosa, una soltanto, facendola diventare una vera missione. Guai però a intenderla in una prospettiva, per così dire, messianica o più semplicemente di recupero sociale. Come spesso ha ripetuto: “Non sono entrato in carcere per loro (i detenuti), ma per me. Non mi interessa il recupero sociale, a me interessa il teatro”. Quindi nessun dubbio nel sostenerlo.

Sul valore artistico degli spettacoli, invece, almeno di quelli visti nelle ultime edizioni, qualche dubbio c’è, o meglio, qualche precisazione va fatta. Ma andiamo con ordine. Pur non avendo seguito il percorso della Compagnia fin dagli esordi, anche per questioni anagrafiche, siamo abbastanza convinti che l’impatto dell’intera operazione (ingresso in carcere – costituzione di una comunità – spettacolo – uscita) non è certo come quello di una ventina di anni fa. Qualcosa deve essersi perso. Basta dare un’occhiata alle fotografie dell’epoca, peraltro raccolte in una bellissima pubblicazione dal titolo “È ai vinti che va il suo amore” (Edizioni Clichy), per capire che allora si respirava per davvero un’atmosfera pregna di "sudore e sangue". Mentre oggi, lo spettacolo della Fortezza ha assunto i connotati di una festa, di un rito borghese, che poco ha a che vedere con il tipo di lavoro che svolge Punzo che, almeno secondo noi, necessiterebbe di molta più sobrietà data la delicatezza del tema. È il connubio tra la dimensione festival e quella della Compagnia della Fortezza che ci lascia un pò perplessi.

Sugli allestimenti in sé, diciamolo pure: sono degli spettacoli sicuramente studiati e ben congegnati, ma non ci sembra aggiungano molto a un discorso contemporaneo. Spiego meglio: Punzo è solito costruire delle drammaturgie molto articolate e imbastite, stando su ciò che abbiamo visto, così ha fatto con Shakespeare nel suo “Mercuzio non vuole morire” e “Hamlice” e così quest’anno con “Santo Genet” . Nessuno discute la qualità. Dopodiché, lo spettacolo ruota fondamentalmente intorno alla sua persona che in scena declama o legge dei passi, e contemporaneamente con lo sguardo detta i tempi, fa da guida ai suoi attori. Questi ultimi però finiscono col rappresentare solo un contorno, fatta eccezione per alcuni che, dotati di maggiore talento, si prestano come aiutanti (vedi Aniello Arena). Ciasuno recita il suo breve monologo, altri tacciono. Insomma, se è vero, come è evidente, che il teatro della Compagnia della Fortezza è un unicum, difficilmente ascrivibile a questa o quella categoria, ciò vale nel bene, ma anche nel male. Come si fa, ci chiediamo leggendo molte recensioni, a non porre mai l’accento sui limiti artistici di una simile operazione? D’accordo va giudicata di per sé, ma non parliamo di novità linguistica…

In definitiva, secondo noi Punzo svolge molto bene quel lavoro di sintesi, che però va inteso più come un onesto compromesso, tra le possibilità del suo teatro (limitate) e la resa spettacolare (ormai imprescindibile): non a caso scenografie, costumi e musiche hanno grandissimo peso (che sfocia talvolta nel sovrappeso, proprio perchè troppo caricate). A questo va aggiunto il lavoro di regia, che qui assume la concretezza di "tenuta insieme" della sua Compagnia, che però tende abbastanza chiaramente al caos. Insomma, l'impressione è che la sua sia una macchina molto fragile, che potrebbe esplodere da un momento all’altro. Ci vuole troppa fede sedimentata negli anni per farsi catturare veramente, o comunque pur provandoci non dura, ti tiene fuori. Per non parlare, tra le cose che non ci convincono, di quel tunnel mortale che è l’interno del carcere, in cui il surplus di senso, sostenuto dal barocchismo degli allestimenti, “’a meraviglia”, fa il paio però con una confusione che finisce, in breve, col diventare frustrante. Certo, lo stare tutti ammassati come buoi richiama bene la condizione incivile in cui sono costretti i carcerati, ma succede solo a noi di finire col non capirci più un tubo? E poi questo escamotage, ammesso che funzioni, non si logora col tempo?

A SEGUITO DELL'ARTICOLO, il regista Armando Punzo si è prodotto in questo scritto, apparso ieri sulla sua pagina facebook "Armando Punzobis" e tuttora presente, taggandomi e poi staggandomi. Lo allego perchè è una testimonianza implacabile dello stato del dibattito sul teatro in Italia.

Ad Andrea Esposito di Fanpage

A volte, gli anagraficamente giovani come te, credono di essere grandi, fanno di tutto per rendersi grandi, smaniano mala-mente applicando la vecchia rivolta contro i padri per poter emergere, per sgomitare, per poter apparire diversi dagli altri. Tu sei l'unico a vedere, gli altri non vedono niente, sono ottenebrati dalle scene, dai costumi, dalle musiche, dal carcere, dal rito divenuto, tra le tue mani, borghese, mentre prima era sobrio, e lo vedi nelle foto del mio libro, ma non c'eri.
Che formazione credi di avere? Di quale verità ti illudi di essere paladino?
Tu vedi il carcere dove c'è il carcere, vedi un detenuto dove c'è un detenuto. Non ti fai fregare tu, non ti fai fottere tu, la realtà per te è la realtà e non va mistificata, addolcita, a te piace il puzzo del carcere con il suo sapore di cronaca nera, ti sei ben documentato, secondo te, su Aniello Arena, hai scritto del suo essere delinquente, assassino, affiliato di camorra, non lo sapevamo, aspettavamo te che ce lo dicessi, che ce lo ricordassi, anche Matteo Garrone, si è distratto, o peggio ancora, ha voluto fare qualcosa di strano, un altro assurdo e inutile capriccio d'artista,
d'Artista (?), hai fatto bene a ricordarlo a tutti che è un ergastolano. Ti sei eletto a Giudice, l'hai imprigionato ancora una volta, se lo meritava. Nessuno si era accorto che si stava cercando di liberare dal suo ruolo un furioso delinquente. Solo e unicamente questo è. Assomigli in pieno ai commentatori anonimi di provincia che gridano allo scandalo e chiedono la testa del mio teatro. I detenuti in galera! A ognuno il suo ruolo, a te quello triste e cretino di chi vuole essere il primo della classe, che non si pensi mai di poter essere altro, non ti fai fregare tu, come gli altri, tu sei il guardiano della realtà, l'unico tuo punto di riferimento, sei un conservatore dalla apparente giovane età, potresti aver successo in qualche giornalino di provincia dove si racconta quella che sembra essere la realtà, la più ovvia e banale, un editore di provincia, non farebbe molta fatica con te a convincerti a rimestare nel torbido, faresti tutto da solo, potresti anche essere in qualche redazioncina del tg1, tg5, Italia 1 e via dicendo, e saresti fiero, non ti vergogneresti, ti piacerebbe molto, ti sentiresti dalla parte dei giusti. Se non lo sai, ma forse lo sai e questo cerchi in fondo, sei questo e non di più. Sicuramente ligio al dovere di cronaca della verità, la tua, parzialissima, sostenuta dal tuo narcisismo giornalistico, da gazzettiere di periferia, verrebbe tutta a galla, come viene su la merda.
Perché è questo che mastichi, è di questo che ti piace trattare e rinforzare. La merda della vita. Tu credi ancora – quanto sei vecchio ed inutile doppione di altri milioni di individui che pensano come te, la maggioranza- che raccontando la realtà per quella che è, secondo te, tu assolvi ad una visione di verità, gli altri, tutti gli altri, noi, mentiamo al mondo e a noi stessi. Sei come tutti quelli che, in questi anni, mi hanno ricordato che ero in un carcere e che quelli erano dei delinquenti pericolosi. Grazie, non lo sapevo, mi ero illuso di essere un artista, di saper far qualcosa, di essere un attore, drammaturgo, regista, autore. Ora che so di non essere niente di tutto ciò, di non capire niente, posso anche avviarmi ad una sana vita comune, disperdermi nella folla, smettere di avere strane ansie pseudo-artistiche. Ti ringrazio di averci riportati tutti, soprattutto gli altri giornalisti ed operatori, con i piedi per terra e di aver svelato l'inganno, questo è il tuo ruolo, un ruolo difficile, di quelli che ti mettono contro tutti, peccato che non è però il tuo, il tuo è quello di essere solo un banale ripetitore di domande che nascono da pensieri altrettanto scontati e banali. Imbarazzanti le tue domandine e il tuo piglio da giornalista fatto, strafatto, ma io sono abituato per cultura a dare una possibilità a tutti, a tutti, anche a te.

Non per offenderti, sono abituato ad avere a che fare con i delinquenti, come ti piace tanto ricordarci, e tu sei un delinquente, ma devo dirti che non eccelli nemmeno in questo, sei un delinquentello culturale di provincia. Di quelli che partecipano a creare ancora più confusione e dolore, ma si credono innocenti. Hai la stessa formazione e mentalità. Puoi sempre salvarti, una possibilità bisogna darla a tutti, ma devi lavorare tanto su te stesso e le tue divoranti ambizioni.

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