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“Negro” e “nano”, le didascalie offendono: dopo le statue, si censurano i quadri

Il Rijksmuseum di Amsterdam sta portando avanti un progetto per cambiare il titolo dei quadri e dei disegni che contengono parole considerate offensive, razziste o sessiste: termini come “negro” o “nano” verranno cancellati dalle didascalie delle opere. “Laddove esistono titoli ormai storicizzati per noi restano quelli”, ha replicato Eike Schmidt, direttore della Galleria degli Uffizi. Ed è lecito porsi una domanda: modificare il modo di chiamare una cosa, elimina effettivamente il disagio o la difficoltà che abbiamo di rapportarci ad essa?
A cura di Federica D'Alfonso
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Simon Maris, Giovinetta negra
Simon Maris, Giovinetta negra

Si possono lasciare le parole "negro" o "nano" nei titoli dei quadri esposti nei musei? Oppure si deve sostituirli con termini "politicamente corretti"? È la domanda che si sono posti negli ultimi mesi in Olanda: il dibattito è partito dal Rijksmuseum di Amsterdam, che sta modificando i termini ritenuti offensivi e razzisti dalle opere esposte. Fra i termini tabù anche "indiani", riferito alle popolazioni native americane. "Noi olandesi veniamo chiamati ‘kaas kops', teste di formaggio, e non ci piacerebbe trovarlo scritto nella descrizione di un quadro", dice Martine Gosselink, a capo di questo progetto. L'Italia non è nuova a questo genere di cose, ultimo il caso della copertura delle statue in occasione della visita di Rohani, ma per fortuna questa volta, qualcuno non la pensa così.

Il dipinto dell'artista olandese Simon Maris, titolato "Giovinetta Negra", conservato al Rijksmuseum di Amsterdam, è divenuto così "Giovane donna con ventaglio". Nel corso del 2016 il Rijksmuseum cambierà il titolo di altri 300 tra quadri e disegni: il progetto prevede un aggiornamento delle didascalie di migliaia di opere d'arte che risentono dell'influsso della "mentalità coloniale" tra Otto e Novecento, e che oggi risultano contenere parole considerate offensive, razziste o sessiste.

Le posizioni sono contrastanti: i britannici del Guardian hanno precisato come "pochissimi sono gli artisti che hanno dato alle loro opere dei titoli, che invece sono stati poi attribuiti da storici e musei". Lo spagnolo El Pais ha messo in guardia dagli eccessi del politicamente corretto, citando anche il "masochismo occidentale" teorizzato dal filosofo francese Pascal Bruckner nell'opera "La tirannia della penitenza". Alla pinacoteca di Brera il problema non si pone: "La maggior parte dei dipinti è di soggetto sacro. Non abbiamo titoli scorretti".

Il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, si è nettamente discostato dalla proposta olandese: "Laddove esistono titoli ormai storicizzati per noi restano quelli". E perché? Un insulto alla cultura egualitaria e rispettosa dell'altro? Forse qualcosa di molto più semplice:

Mi viene in mente il famoso ritratto "double face" che abbiamo nella Sala del Bronzino. È dedicato al Nano Morgante, personaggio noto alla corte di Cosimo I de' Medici, considerato quasi di famiglia. Proprio la volontà di esporre le opere con i nomi storici, non abbelliti sotto il segno del politically correct, ricorda a tutti l'inferiorità e la sofferenza di queste persone nei secoli passati, inducendoci a una riflessione e a portare avanti la necessità dell'integrazione di ogni individuo, con le proprie abilità e disabilità, nella società.

Termini storicizzati, che fanno parte in primis della storia del quadro, e in secondo luogo anche della cultura che ha prodotto certi tipi di rappresentazione. Modificare il modo di chiamare una cosa, può eliminare il disagio o la difficoltà che abbiamo di rapportarci ad essa? Oppure attuare un'operazione di questo genere su un quadro può essere considerata un'operazione intellettualmente scorretta, in quanto si mette un tabù di oggi su una cosa che invece testimonia un modo di vedere le cose passato, snaturando in qualche modo la funzione educativa e rappresentativa di quel quadro?

Agnolo Bronzino, Ritratto del Nano Morgante come bacco,1552, Galleria degli Uffizi
Agnolo Bronzino, Ritratto del Nano Morgante come bacco,1552, Galleria degli Uffizi

Lavorare sul modo di rappresentazione dell'altro è fondamentale, soprattutto negli ultimi tempi: ma in che modo? In modo che l'educazione che si cerca di dare, per esempio a un bambino portandolo a vedere una mostra, sia tale da permettergli di giudicare negativamente un certo tipo di categorizzazioni.

Si coprono le statue, si vietano le esposizioni di opere che mettono in discussione i principi fondanti della nostra identità socio-culturale: che non si riesca più a fare i conti con il peso della nostra identità culturale? Che si sia generata, negli ultimi tempi. una forza centrifuga che espelle fuori tutto il precipitato di contraddizioni che sono però costitutive della nostra stessa cultura?

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