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Napoli Teatro Festival 2015: al peggio non c’è mai fine

L’ottava edizione del Napoli Teatro Festival Italia che si terrà dal 3 al 28 giugno sarà un’edizione ancora più ridimensionata di quelle passate, con un direttore mandato via a pochi mesi dall’inaugurazione e un programma senza né capo, né coda.
A cura di Andrea Esposito
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Di fronte al cartellone dell’ottava edizione del Napoli Teatro Festival Italia (3-28 giugno) annunciato in conferenza stampa a Roma venerdì scorso, peraltro in concomitanza con la presentazione, sempre a Roma, di Biennale (sic!) non si può non farsi prendere dallo sconforto.

Ma vediamo nel dettaglio: “Afrodita y el juicio de Paris” di La Fura dels Baus è uno degli spettacoli di punta di questa edizione sebbene, come scrive l’incazzato Enrico Fiore, “già da qualche anno il gruppo catalano non è più tra le formazioni di teatro innovativo che contino davvero”. Ma tant’è, un paio di date le riempiranno e diranno che è stato un successo. A seguire molto attesa è la compagnia di danza inglese “Ballet Black” che presenta due coreografie (“The second coming” e “A dream within a midsummer night’s dream”); poi c’è Paco Decima con “La douceur perméable de la rosée”, Claudio Tolcachir, di cui abbiamo visto ben tre spettacoli nell’edizione 2012, che presenta “Dinamo”. E ancora, la coreografa belga Michèle Noiret che porta “Radioscopies, Court-métrage scénique” e Martin Zimmermann, senza il socio De Perrot, che pure era già passato da Napoli nelle scorse edizioni e che stavolta porta in scena uno spettacolo dal titolo “Hallo”. C’è anche Daniele Finzi Pasca ed Emio Greco, coreografi tra i più stimati della scena internazionale.

Questo quindi è il nocciolo defuschiano del programma. E il resto? Il resto è noia! Salvo qualche rara ed estemporanea eccezione come, ad esempio, la presenza del gruppo Anagoor con “P.I.A.” e “Virgilio brucia”. Altro che 60 spettacoli annunciati in pompa magna tra cui 30 prime nazionali, 6 spettacoli di danza, 10 spettacoli stranieri e 30 appuntamenti con giovani compagnie nell’ambito del programma Fringe, come recita il comunicato.

Già perché quest’anno ritorna il Fringe – et voilà! – dopo essere stato prima azzoppato, quando arrivò De Fusco nel 2011 non si sapeva bene cosa farne di questo festivalino per i giovani (troppo poco glamour), poi malamente scippato al gruppo Interno 5 che lo aveva curato fin dalla prima edizione. Il Fringe, oggi ferito a morte, era a suo tempo un’occasione unica per Napoli per posizionarsi e diventare il centro propulsore in Italia di nuove proposte, anche alla luce del fermento che poi si è registrato qui e in tutto il sud e che non trova, in uno scenario di crisi, spazi e possibilità. Se avessimo avuto un minimo di lungimiranza…

Insomma, non se la prendano i tanti napoletani presenti nel programma (non sono un po’ troppi?) ma questo cartellone non merita nemmeno la serie B. Il Napoli Teatro Festival Italia, come già abbiamo avuto modo di scrivere, poteva, anzi doveva essere, alla luce dei cospicui finanziamenti, il nostro “Piccolo”, la nostra “Biennale”, ma grazie alla sciagurata gestione di questi anni è diventato un carrozzone inutilmente costoso che serve solo alla politica. È uno spot e all'occorrenza un serbatoio di piccole clientele. E pensare che nelle intenzioni degli organizzatori avrebbe dovuto fare concorrenza a Edimburgo e Avignone. Chissà come se la ridono da quelle parti.

Risate, amare, a parte, l'occasione mancata è davvero grande e, al netto della crisi degli ultimi anni che ha rivoluzionato le nostre vite e le nostre aspettative sul futuro, la cosa è ancor più grave. Basti pensare che a Napoli, mentre tutt'intorno infuriava e tuttora continua a infuriare la tempesta, solo nel comparto cultura abbiamo bruciato un Forum mondiale (diverse decine di milioni di euro mai utilizzati) e un festival internazionale di teatro che vale poco meno di una quarantina di milioni in quattro anni. Il tutto solo ed esclusivamente in virtù di una guerra tra bande, di tornaconti personali, di clientele da quattro soldi. Ciò detto, vogliamo adesso parlare di politiche culturali? Di rilancio? Ci siamo mangiati tutto, adesso ci tocca soffrire e consolarci con un po' di tipico sciovinismo napoletano.

Avevamo nel 2010 un Festival indebitato, come poi si è scoperto, ma riconosciuto internazionalmente. Si poteva continuare a lavorare sul brand “Napoli Teatro Festival Italia”, sulla dimensione urbana della manifestazione che è la sua specificità, sugli spazi non teatrali, sui luoghi dismessi di cui la città è piena, sul mettere in cantiere un grande progetto, in sinergia con altre istituzioni, per dotare Napoli di un teatro contemporaneo, sul creare community tra artisti, pubblico e addetti ai lavori, un “campus festival” e perché no, anche un “college” come ha fatto Rigola a Venezia destinato a nuove generazioni di attori. E ancora, e soprattutto, lavorare su campagne social oriented, (come può un festival nato nel 2007 non aver investito con decisione sul web?) per creare un tessuto che si attivasse mesi prima dell’inaugurazione e che fosse la spina dorsale dell’intera manifestazione. Investire con determinazione sul Fringe che poteva diventare il “vivaio” del Festival maggiore e il trampolino per molte compagnie, non solo italiane… fiato sprecato, purtroppo così non è andata. Abbiamo lasciato lasciato fare agli esperti, a quelli che a trentadue anni ti chiamano "giovanotto" e fanno di tutto per tenerti in un angolo, ma poi non sanno di che parlano.

In conclusione, perché questo discorso potrebbe non finire mai, qual è la morale di questi ultimi cinque anni passati a scrutare, da osservatori privilegiati, la politica culturale qui in Campania? Come scrisse tempo fa il nostro direttore in un articolo diventato celeberrimo: "Se hai 20 anni, vattene dall'Italia", perché la classe dirigente che governa questa città e questo paese è ancora inchiodata allo stereotipo di borghesia da circolo nautico di lacapriana memoria, quindi se ne avete la possibilità, ma anche se non l'avete… jatevenne!

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